Il 27 settembre Welforum promuove a Bari un nuovo seminario nazionale sulle politiche per la disabilità 1. Un campo di interventi dove si è fatto molto negli ultimi anni, e tuttavia oggi incerto nei suoi sviluppi.

Le persone con una qualche forma di disabilità in Italia sono stimate essere almeno tre milioni e mezzo (Istat). Per la maggior parte si tratta di anziani ultra 65enni, circa l’80 per cento, mentre sono oltre 730.000 i disabili giovani e adulti.

Concentriamoci su questi ultimi. Che tipo di aiuti, sostegni e assistenza ricevono? Qual è il grado di inclusione nella vita attiva, nella scuola, nel lavoro, nelle opportunità di socialità che i territori offrono? Sono domande cui è difficile dare una risposta certa e uniforme per tutto il Paese, dove le differenze territoriali marcano la stessa possibilità di accesso e fruizione dei servizi, e dove ancora tanta parte del bisogno sfugge dalle “maglie” del sistema dei servizi e finisce per autoprodursi risposte e aiuti.

Vogliamo in particolare fare il punto su due, tra i tanti, temi su cui si giocano oggi fortemente le possibilità di un’inclusione attiva: quella nel mondo del lavoro, e quella di un’autonomia che possa realizzarsi nel “durante” e “dopo di noi”.

Disabilità e lavoro: perché ancora non ci siamo

Con il Jobs Act sono state riviste le procedure in materia di inserimento mirato. Con una completa riorganizzazione dei servizi per l’impiego e delle politiche attive, nuove regole che prevedono servizi personalizzati sulla base della stipula di un “patto di servizio”, l’incremento delle competenze del Fondo regionale per l’occupazione dei disabili, la revisione degli incentivi all’assunzione. E’ tempo di iniziare a tirare le somme, in un contesto in cui perdura:

  • la carenza (per qualifiche e formazione delle persone con disabilità iscritte alle liste di collocamento mirato) di figure professionali richieste dalle imprese;
  • la propensione delle aziende a pagare sanzioni e/o esoneri parziali piuttosto che ad assumere le persone con disabilità o ad utilizzare convenzioni con le cooperative sociali a causa della insufficiente conoscenza della legislazione e della loro limitata consapevolezza sul tema disabilità;
  • la difficoltà di mantenere al lavoro le persone con disabilità come confermato dal fatto che la maggior parte delle assunzioni avviene con contratti a tempo determinato.

 

Durante noi, dopo di noi

Sono trascorsi più di due anni dalla legge 112 recante “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”, una legge innovativa richiesta da tempo e a gran voce dalle componenti associative delle persone con disabilità. Con il provvedimento lo Stato ha inteso indirizzare la programmazione delle regioni prevedendo un Fondo nel Bilancio pluriennale, con funzione di “catalizzatore” di risorse, e ripartendo i finanziamenti con relativa tempestività.

A livello territoriale il percorso attuativo sta registrando velocità diverse: in alcuni territori sono stati pubblicati gli avvisi pubblici per la presentazione dei progetti e in questi mesi sono in via di erogazione i primi contributi finalizzati, in altri si attendono ancora prime indicazioni operative da parte regionale.

L’attenzione va posta sul piano della metodologia con la quale valutare le singole situazioni personali, sui percorsi integrati di progettazione individualizzata, sull’informazione e formazione dei familiari alla luce della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, sul rapporto fiduciario con la rete dei servizi.

Due bivi

Gli ultimi anni hanno visto un ampio lavoro di confronto, a livello nazionale e nelle regioni, sulle politiche nazionali per la disabilità, culminato nel secondo “Programma di Azione Biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità”, varato alla fine dell’anno scorso e mai menzionato nel contratto di governo. Ancora da decifrare sono le direzioni su cui intende muoversi il nuovo esecutivo, ma ben chiari sono almeno due alternative, due bivi che si aprono di fronte al decisore, sia esso nazionale, regionale, locale, in ambito sia pubblico che privato.

  1. Moneta o servizi? Le prestazioni monetarie sono, come è risaputo, la forma più estesa di copertura della domanda di assistenza: nella forma di pensioni, indennità, assegni. Un welfare, quello monetario, che assorbe la più parte della spesa sociale, a scapito di una rete di servizi abissalmente difforme da regione e regione, per estensione, possibilità di accesso, qualità, efficacia. Le erogazioni monetarie vanno riformate, rese più congrue alle caratteristiche del bisogno, ricomposte e semplificate, collegate a un sistema dei servizi da potenziare, fare crescere. Ciò di cui proprio non si sente il bisogno è il ritorno a un passato di “mance” distribuite a pioggia, che lasciano persone e famiglie in balia di sé stesse.
  2. Comanda l’offerta o il progetto di vita? Nel contesto di bisogni che sovrastano le possibilità di risposta, si è spesso tentati di “rispondere con quel che c’è”. La rete dei servizi fatica a tenere il passo con condizioni di vita che cambiano rapidamente. E così centri diurni, assistenza a domicilio, residenze sono ancora il perno di ciò che si è in grado di proporre, mentre servirebbe molto altro e di diverso. L’innovazione nei servizi, a partire dalla figura del case manager come orientatore e counselor per le persone con disabilità – che hanno il diritto di costruire un proprio progetto di vita – e per le famiglie, le molte sperimentazioni di vita indipendente e di budget di progetto saranno ambiti di confronto nel seminario di Bari. Nei termini di un primo, circostanziato bilancio che si avvantaggerà del confronto tra contesti territoriali diversi.
  1. La partecipazione al seminario è gratuita previa iscrizione, fino ad esaurimento posti. Si veda questi link per programma e iscrizioni