Emergenza Coronavirus e lavoro di servizio sociale d’urgenza


Andrea Mirri | 22 Maggio 2020

La discussione sulle emergenze nel servizio sociale

In tempi di coronavirus appare ancora più necessario, impellente, doversi confrontare con il tema delle emergenze. E il servizio sociale avverte la necessità di avviare riflessioni e di mettersi in discussione su questo tema, segno di vitalità e di capacità di una comunità professionale di fare di una situazione di crisi un momento evolutivo e di cambiamento, di ‘scatto in avanti’.

Una prima considerazione da fare è che quello sulle emergenze (sociali) è stato un dibattito mancato per il servizio sociale, che invece oggi, per l’appunto, sembra aver ripreso una certa vitalità. È bene ricordare che questa discussione riguarda due ambiti, quello relativo alle c.d. ‘emergenze personali e familiari’ e quello relativo alle emergenze di massa.

 

Sul primo, alcuni autori1 hanno scritto nei primi anni del 2000, subito dopo l’uscita della L. 328/2000, costruendo le prime riflessioni su quello che avrebbe dovuto essere un livello essenziale di assistenza (il pronto intervento sociale, novellato dall’art.22, c. 4, lettera b di quella norma), e che invece è rimasto nel ‘dimenticatoio’ delle politiche sociali, tanto che oggi, a distanza di vent’anni, ci troviamo ancora di fronte ad un quadro non omogeneo, estremamente diversificato e caratterizzato da discontinuità progettuale.

 

Sull’altro ambito, quello dei disastri, c’è stato, forse, un impegno più marcato del servizio sociale, soprattutto dopo il terremoto de L’Aquila del 2009, quando si è finalmente assistito all’avvio di ricerche e discussioni su questo tema, con la pubblicazione di alcuni contributi (vedi bibliografia) che hanno svolto l’importante compito di cominciare a costruire un quadro maggiormente organizzato di riflessioni teoriche ed esperienziali sul tema, che ha poi portato alla nascita di Asproc2. Essa, a livello nazionale e regionale, ha segnato l’ingresso della comunità professionale degli assistenti sociali sul terreno dell’impegno concreto e organizzato nella gestione dei disastri, nell’ambito della Protezione Civile.

 

Quindi fa bene al servizio sociale ricominciare a discutere, a studiare e a scrivere di emergenza: ma in che direzione?

Io penso e sostengo che lo si debba fare nella direzione del riconoscimento della necessità e dell’opportunità di ‘rimettere insieme’ questi due piani di studio e di impegno (che non devono più essere considerati come separati e non comunicanti): quello del servizio sociale nei disastri e quello nelle emergenze personali e familiari. Entrambi, infatti, vanno ricondotti allo sviluppo di un nuovo ambito culturale e professionale: il lavoro del servizio sociale dell’emergenza-urgenza, unico grande ‘campo’, settore professionale e disciplinare specifico, settore di indagine e di studio che ha bisogno di un suo metodo specifico, di una sua piena evidenza analitica e teorica, e della definizione di una precisa processualità secondo ordinate sequenze operative3.

 

Il lavoro di servizio sociale dell’emergenza

La pandemia da virus Covid-19 ha prodotto la grande emergenza sanitaria che stiamo affrontando, a cui, tuttavia, stanno facendo seguito anche quella economica e sociale. Esse metteranno, e stanno già mettendo, di fronte alla scena pubblica, tante, e anche nuove, situazioni personali e familiari di fragilità e di marginalità sociale che, in maniera ancor più significativa che in tempi ‘ordinari’, si troveranno in forti difficoltà e di vera e propria crisi.

Questa fase storica rappresenta, dunque,  per il servizio sociale quella opportunità, finora non colta, per lavorare con maggior lena a saldare esperienze, conoscenze, riflessioni teoriche e culturali affinché si possa individuare concretamente questo nuovo grande ambito di competenza del servizio sociale. Si consentirebbe così a questa comunità professionale di svolgere un ruolo essenziale sia in contesti di emergenza che riguardano un’intera collettività, sia di fronte alle tante storie di vita personale e familiare che esitano in emergenze individuali e che impongono una presenza immediata, o comunque tempestiva, dei servizi sociali.

Affermava a questo proposito Nila Stanulovic (2005)4, psicologa dell’emergenza: «in realtà anche il trauma del singolo ha sempre un risvolto più ampio nell’ambiente e nel contesto in cui l’individuo vive. Così come anche le calamità di massa hanno un risvolto individuale in ogni persona coinvolta».

 

Emergenze di massa ed emergenze individuali sono due facce di una stessa medaglia, espressioni, seppur ognuna con la propria tipicità, di un ambito di lavoro, di un campo disciplinare con una sua coerenza interna e che, seppur molto articolato, richiede metodologie di lavoro che partono dagli stessi presupposti teorico culturali.

Il lavoro di servizio sociale d’urgenza e il pronto intervento sociale

Di fronte ai nuovi scenari sociali, dunque, il servizio sociale, e non solo, è chiamato a rivedere complessivamente il proprio disegno organizzativo e le proprie modalità di presenza sui territori, oltre che strategie operative e strumenti professionali che andranno aggiornati rispetto ai nuovi problemi sociali e ai nuovi comportamenti da adottare: insomma il servizio sociale non si può più muovere secondo modalità di ‘routine’, senza rimettere in discussione parte dell’impianto del proprio operato.

In questo impegno complessivo di ripensamento e di sforzo ‘riformatore’, ritengo che assuma una particolare impellenza e necessità il tema del pronto intervento sociale e della funzione che esso può assumere anche e in particolare in queste circostanze, per garantire, anche con maggiore efficacia ed efficienza, quel fondamentale ruolo del servizio sociale di prossimità verso i cittadini.

Questa emergenza fa esplodere vere e proprie crisi improvvise, quelle ‘emergenze personali e familiari’ (la L. 328/2000 già citata): situazioni tutte caratterizzate dal fatto di essere gravi, improcrastinabili, non (sempre) previste, che comunque richiedono un intervento tempestivo o immediato dei servizi sociali5.

 

Queste continue e sempre più complesse situazioni pongono al servizio sociale la necessità di avere a disposizione risorse specifiche, come, per fare solo qualche esempio, posti di pronta accoglienza di varia tipologia o forme di assistenza e sostegno domiciliare attivabili in tempi strettissimi nei più disparati momenti della giornata e anche in giorni festivi, e tanto altro. Ma quello di cui il servizio sociale ha prima di tutto bisogno è di disporre di una struttura organizzativa appositamente dedicata alla gestione di queste situazioni e dei relativi interventi, per non mandare in sofferenza tutta l’attività ordinaria già assai complessa e impegnativa. Il servizio sociale non si può più permettere, per garantire qualità e appropriatezza degli interventi, di gestire, secondo modalità indifferenziate e non specificatamente organizzate, le attività programmate e ‘ordinarie’ e quelle di urgenza (c.d. ‘sistema della doppia cappa’6): il rischio è quello che di fronte ad una chiamata o ad una ‘irruzione’ improvvisa e non derogabile di una persona in grave crisi, l’assistente sociale venga colto/a di sorpresa, rimanga spiazzato/a da un evento non previsto nell’agenda di lavoro, e sia costretto/a ad affrontare un evento di grande rilevanza sociale e di grande delicatezza sul piano professionale come un evento che rappresenta inevitabilmente un ‘incidente di percorso’ in una programmazione giornaliera già molto complessa.

Scriveva a questo proposito Samory nel 2001: “l’attuale modo di operare non è produttivo perché non ha supporti organizzativi adeguati (…) Quelli attuali degli assistenti sociali sono atteggiamenti improntati all’improvvisazione, di preparazione affrettata, o di vera e propria impreparazione o, comunque, di una preparazione che li espone gli assistenti sociali a un elevato rischio di scadimento del livello di qualità della prestazione professionale e di efficacia degli interventi ”7, per poi affermare con decisione: “a nostro avviso […] è arrivato il momento di organizzare un servizio di pronto Soccorso Sociale integrato con le grandi aree della vita sociale complessiva, strettamente collegato ed in collaborazione con il pronto soccorso sanitario”8.

E su questa stessa linea anche gli psicologi Franco De Felice e Claudia Colaninno, più recentemente, spiegano come “lavorare in servizi di intervento sulla crisi o essere medici, psicologi, consulenti o assistenti sociali, non garantisce la competenza sufficiente per gestire un’emergenza”, perché la capacità di lavoro nell’emergenza “non può essere ricondotta in un’abilità di routine, ma richiede una preparazione specifica”9.

 

È necessario che il servizio sociale dia vita finalmente al pronto intervento sociale.

Dunque, io affermo che il problema delle risorse, e di risorse specifiche, e in parte nuove, non può che essere la conseguenza del fatto che il servizio sociale costituisca un nuovo approccio specifico e specializzato per gestire queste emergenze personali e familiari: il lavoro di servizio sociale d’urgenza che, con modalità metodologicamente diverse da quello ‘ordinario’, realizzi finalmente quel servizio di pronto intervento sociale (PIS), che deve avere le caratteristiche di un vero e proprio servizio, specifico, dedicato e specializzato all’interno dell’offerta pubblica di servizi sociali, con una sua propria struttura organizzativa, standardizzabile a livello nazionale, in forma qualitativamente e territorialmente omogenea10.

 

Qualche giorno fa mi sono trovato coinvolto, come coordinatore di un servizio di emergenza sociale, in una vicenda accaduta in un piccolo borgo dell’appennino toscano: protagonista una donna anziana, non autosufficiente, il cui fratello convivente, caregiver, con gravi sintomi, è stato ricoverato in urgenza all’ospedale essendo risultato positivo al coronavirus. La donna è rimasta improvvisamente sola, in condizioni igienico-sanitarie molto precarie. Per lei non c’è stata disponibilità di ricovero perchè, dal punto di vista sanitario, non veniva valutato che ci fossero patologie in atto che giustificavano tale tipo di intervento e la rete familiare non era in grado di intervenire.

Una situazione di ‘emergenza per il servizio sociale’ perchè grave, imprevista, non derogabile, che richiede un intervento immediato. E che chiama in causa, appunto, i servizi sociali con modalità urgenti, organizzate, preparate. E quindi la necessità di attivare appunto quel PIS novellato dalla L. 328. Il sindaco ha chiamato appunto il PIS (e non i servizi sociali territoriali), attivo h24, che prontamente, e soprattutto senza delegare ad altri soggetti ciò che è di competenza del servizio sociale professionale, ha svolto il proprio intervento, facendo una valutazione da servizio sociale e predisponendo tutte quelle iniziative opportune, indispensabili e inderogabili per trovare una risposta tempestiva e idonea per mettere in protezione la signora che certamente non poteva essere lasciata da sola in quella casa senza più assistenza.

Chi doveva fare la valutazione professionale sulle azioni da intraprendere, sulle risorse da attivare, sulle opzioni da scegliere; chi doveva agire prontamente? Il servizio sociale professionale, certamente. Ma non quello territoriale ‘ordinario’, che è predisposto per un altro tipo di lavoro, ma uno preparato specificatamente ad intervenire nelle emergenze, organizzato e dedicato a questo.

Sento già sorgere la domanda: ma come!? Perchè non poteva fare quell’intervento sociale, invece, proprio il servizio sociale territoriale di quel Comune? Che ragione c’è di costituire un altro servizio? Potrei rispondere, come faccio sempre e come ho scritto11, che anche il servizio sociale dovrebbe fare lo stesso percorso che ha fatto la medicina costruendo, in più di un secolo, da Carlo Calliano in poi12, il proprio percorso che ha portato alla costruzione del dipartimento di emergenza urgenza, con 118 e pronto soccorso, e alla specializzazione in medicina di urgenza. E questo non ha prodotto un depauperamento della professione medica, ma un suo sicuro nuovo protagonismo sulla scena pubblica e una parallela valorizzazione della professione medica13.

 

Il lavoro di servizio sociale d’urgenza è specifico e specializzato, tempo-dipendente, perché c’è poco tempo per agire e per prendere decisioni, ciò che accade è imprevisto e grave e non derogabile. È un lavoro di servizio sociale diverso da quello ordinario (Mirri, 2018).

Per carità, non voglio assolutamente dire che tutti i problemi si risolvono dando vita ad un servizio sociale specifico strutturato come il pronto intervento sociale. Anzi, per quella che è la mia esperienza14, qui cominciano tanti problemi da risolvere, a partire da tutta la nuova interlocuzione con altri Dipartimenti e, più in generale, con altri Soggetti pubblici segnalanti, a partire dalle forze dell’ordine. Ma quando un servizio sociale scende ‘in campo’, sulla linea di pronto soccorso, posso assicurare che c’è grande attenzione e grande apprezzamento, e si avviano collaborazioni del tutto nuove.

 

È una nuova posizione, è un nuovo ruolo, del servizio sociale nelle politiche di welfare.

  1. Edda Samory (2001), Pronto Intervento Sociale: individuazione degli elementi e indi­cazioni per definire il modello operativo, in AA.VV.. (2001), pp. 34-48; Lippi A. (2004), Il pronto intervento sociale nei livelli essenziali di assistenza, in “Studi Zancan”, 6, pp. 11-28.
  2. Asproc, costituitasi nel 2015, è l’associazione degli assistenti sociali per la protezione civile.
  3. Andrea Mirri, “Emergenze, urgenze e servizio sociale. Teoria, metodologia e tecniche”, Carocci, Roma, 2018
  4. Nila Stanulovic (2005), Psicologia dell’emergenza. L’intervento con i bambini e gli adolescenti, Carocci, Roma, p. 41.
  5. Angelo Lippi (2013), “Pronto Intervento Sociale”, in Annamaria Campanini (a cura di) (2013), Nuovo dizionario di servizio sociale, Carocci, Roma, pp. 495-7.
  6. Mirri, op. cit.
  7. Samory (2001), op. cit. , pp. 45-46.
  8. Edda Samory, “Emergenza/urgenza sociale e il pronto intervento sociale”, in Manuale di scienza di Servizio Sociale, Clueb, Bologna, 2004, p. 266.
  9. Franco De Felice, Claudia Colaninno (2003), Psicologia dell’emergenza, FrancoAngeli, Milano, p. 32.
  10. Mirri, cit.
  11. Mirri, cit.
  12. Carlo Calliano, ‘illuminato’ medico torinese di fine Ottocento, possiamo considerarlo colui che ha scritto il primo manuale di pronto soccorso pubblicato in Italia (“Soccorsi d’urgenza”, 1884).
  13. Mirri, cit.
  14. Rosella Boldrini, Andrea Mirri, “Un modello di pronto intervento sociale. Il servizio emergenza urgenza sociale”, Prospettive Sociali e Sanitarie, n. 2, Primavera 2020.