Gli ETS e la sospensione delle attività a causa del Covid-19


Alceste Santuari | 27 Aprile 2020

L’emergenza sanitaria collegata alla pandemia Covid-19 ha, da un lato, evidenziato la “prontezza di riflessi” e una certa capacità innovativa da parte delle organizzazioni di volontariato nell’affrontare i bisogni e le domande di servizi della società civile. Dall’altro, tuttavia, non si può sottacere che la pandemia ancora in corso incida (e molto probabilmente inciderà) oggettivamente e significativamente sulle modalità e gli strumenti attraverso i quali gli ETS erogano i servizi di interesse generale.

 

È necessario ricordare che i servizi di cui trattasi costituiscono la risposta positiva dello Stato sociale che, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione, è chiamato a garantire il diritto fondamentale alla salute (art. 32 Cost.; l. 833/1978 e d. lgs. n. 502/1992 e ss.mm.ii.) e all’assistenza sociale (artt. 3 e 38 Cost.; l. 328/2000).

Da quanto sopra discende che gli ETS, unitamente agli enti pubblici deputati, assicurano i livelli essenziali delle prestazioni sociali, risultando coinvolti non soltanto nell’erogazione dei servizi ma anche nella loro fase programmatoria (specie a livello territoriale e locale).

È muovendo da questa funzione pubblica assegnata agli ETS che è possibile analizzare le disposizioni contenute nell’art. 48 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Decreto Cura Italia). L’analisi è orientata a valutare le ricadute applicative della norma in oggetto sui rapporti giuridici intercorrenti tra P.A. ed ETS che disciplinano la gestione e l’erogazione di servizi, quali, per esempio, asili nido, centri diurni per anziani, centri socio-occupazionali et similia.

 

L’art. 48, rubricato “Prestazioni individuali domiciliari”, prevede quanto qui riportato.

Seguendo l’ordine dei commi che compongono l’art. 48 in oggetto è possibile rintracciare tre distinti livelli su cui il legislatore ha inteso intervenire. Il primo livello riguarda la possibilità di “convertire” i servizi e le prestazioni standard, oggetto degli specifici accordi tra ETS e P.A., in prestazioni e servizi a distanza ovvero di “rimodulare”, “tramite coprogettazioni”, i suddetti servizi e prestazioni rispettando le misure protettive e sanitarie a tutela dei lavoratori e degli utenti. Le disposizioni di cui al primo comma dell’art. 48 prima facie individuano due soluzioni alternative che, tuttavia, possono risultare anche integrate, implementabili sulla base della capacità gestionale ed organizzativa degli enti gestori non profit e del sistema complessivo di welfare in cui quei servizi e prestazioni sono collocati. Nello specifico, si segnala che il termine “coprogettazioni” impiegato dal legislatore debba essere interpretato quale sinonimo di “revisione” ovvero di “rimodulazione” delle prestazioni e dei servizi che per vero possono essere l’esito di procedure di coprogettazione già esperite dalla P.A. A causa dell’emergenza sanitaria, i servizi e le prestazioni oggetto del “dialogo” formalizzato in procedure di co-programmazione e successive procedure di co-progettazione necessitano di essere rimodulati, rivisti e tarati sulla scorta della temporanea impossibilità di erogarli “in presenza” e dell’obbligo di rispettare le prescrizioni in materia di igiene e salute pubblica contenute nei provvedimenti governativi. In altri termini, si tratta di obbligazioni già contrattualizzate, che richiedono – a causa della pandemia Covid-19 – di essere adeguate alle nuove esigenze e non di servizi, progetti ovvero attività oggetto di nuove procedure di affidamento, la cui nuova “fisionomia organizzativa” è frutto di un confronto tra le parti.

 

Il secondo livello su cui insiste l’art. 48, coincidente con il secondo comma della disposizione, è quello relativo alle obbligazioni giuridiche di cui sono responsabili le P.A. committenti. In primo luogo, giova segnalare che dette obbligazioni hanno un “peso specifico” diverso in forza del diverso titolo giuridico che vincola la P.A. agli enti non profit. Mentre, infatti, nel caso di convenzioni (siano esse l’esito di una procedura di co-progettazione ovvero l’accordo sottoscritto ex art. 56 del Codice del terzo settore con associazioni di volontariato e di promozione sociale) l’attività svolta prevede il solo rimborso delle spese, nel caso di appalti o concessioni si deve applicare il d. lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici). In secondo luogo, il comma 2 stabilisce una “autorizzazione” a monte riconosciuta in capo alle P.A., le quali distinguono (e quindi ripartire il pagamento delle prestazioni oggetto dell’accordo), a seguito di apposite verifiche e controlli, tra prestazioni già effettuate precedentemente alla sospensione e quelle invece rimodulate a seguito della sospensione. Il legislatore si preoccupa di garantire agli enti gestori la remunerazione completa, così come indicato nei bilanci preventivi delle singole P.A., ancorché i corrispettivi – nelle diverse forme – dovranno contemplare una riduzione corrispondente “alle eventuali minori entrate connesse alla diversa modalità di effettuazione del servizio”.

 

Il terzo livello riguarda il necessario collegamento stabilito dall’art. 48, comma 3 tra i pagamenti che la P.A. è autorizzata a liquidare e gli istituti di protezione dell’occupazione previsti dalla legislazione ordinaria.

Sebbene l’articolo 48 non brilli per eccessiva chiarezza, esso rappresenta un tentativo di gestire con ragionevolezza la situazione di emergenza determinatasi con il Covid-19 e al canone giuridico della ragionevolezza e della proporzionalità devono essere ricondotte le interpretazioni relative alla sua applicazione che sconta, allo stesso tempo, due necessità: da un lato, quella di assicurare i diritti fondamentali dei cittadini, specie quelli più fragili e, dall’altro, quella di tutelare l’azione delle pubbliche amministrazioni.

 

In questa prospettiva, di seguito si ricostruiscono, in via sintetica, le diverse modalità di rapporti tra P.A. ed enti non profit gestori al fine di analizzarne i contenuti specifici.

a. Convenzioni

Al fine di poter beneficiare del contributo stabilito in convenzione, gli enti non profit sono tenuti a presentare una dettagliata rendicontazione delle spese sostenute per lo svolgimento delle attività dedotte nella convenzione medesima. La P.A. procede con la liquidazione del contributo ad esito di una propria attività di controllo e monitoraggio svolta in virtù delle previsioni contenute nella convenzione e, più in generale, ai sensi dell’art. 12, l. n. 241/1990.

b. Appalti

In questo caso, vengono in considerazione le disposizioni normative previste nel d. lgs. n. 50/2016 e, per quanto di interesse in questa sede, l’art. 30 e l’art. 106, comma 1, lett. c).

c. Concessioni

Nel caso di rapporti concessori, le parti devono tenere in debito conto la previsione di cui all’art. 165 del Codice dei contratti pubblici, che dispone in ordine al “rischio operativo” e, quindi, alla possibilità, vista l’emergenza sanitaria in corso, di alterare l’equilibrio economico-finanziario della concessione.

 

Il legislatore ha individuato quale priorità la continuità nell’erogazione dei servizi oggetto dell’art. 48, comma 1 e, conseguentemente, ha disposto la possibilità di operare “anche in deroga a eventuali clausole contrattuali, convenzionali, concessorie”.

Com’è possibile interpretare l’inciso virgolettato: esso corrisponde ad una (implicita) deroga all’art. 106, d. lgs. n. 50/2016 ovvero legittima le parti a flessibilizzare il contenuto degli accordi in essere al fine di renderli adeguati alle esigenze di cui al decreto legge in parola?

 

In considerazione della priorità fissata dal legislatore (continuità dei servizi essenziali), la disposizione normativa sembra orientata a ribadire un processo naturale di adeguamento nel caso delle convenzioni, che peraltro spesso prevedono tale eventualità anche in caso di condizioni “normali” e di modifica dell’oggetto e del corrispettivo nel caso di appalti e di concessioni. E ciò in un contesto di revisione concertato e condiviso (coprogettazioni) che, conseguentemente e necessariamente contempla la revisione dei contenuti degli accordi contrattuali sulla base di intese tra le parti.

L’assenza di riferimenti espressi al Codice dei contratti pubblici può verosimilmente far ritenere che le disposizioni in commento non abbaino inteso introdurre né modifiche radicali ex lege ai contratti in essere né tantomeno una “modifiche sostanziali” ai contratti ex art. 106, comma 4, d. lgs. n,. 50/2016. Di qui l’impossibilità di applicare quanto previsto dall’art. 108, comma 1, lettera a) del Codice dei contratti pubblici in materia di risoluzione del contratto, fattispecie che si ritiene assorbita dalle condizioni previste dall’art. 106, comma 1, lett. c) sopra citato.

Chiarita la possibilità di rimodulare l’oggetto (e anche, eventualmente quota parte del corrispettivo) dell’obbligazione prevista in convenzione o nei contratti di appalto o convenzione, rimangono da analizzare gli oneri in capo alle P.A.

 

Per quanto riguarda i profili sostanziali, la rinegoziazione / rimodulazione del servizio dovrà essere preceduta ad una approfondita istruttoria e inequivocabilmente ancorata ai presupposti normativi e fattuali previsti dall’art. 48, d.l. n. 18/2020. Detta istruttoria risulta viepiù importante attesa la priorità fissata dal legislatore: l’attività di verifica che spetta alla P.A. è orientata a garantire la continuità dei servizi essenziali, i quali anche se modificati in termini di oggetto e di organizzazione rimangono un presidio imprescindibile per assicurare la coesione sociale.

 

In ordine agli aspetti formali, la rimodulazione/rinegoziazione delle modalità gestionali, organizzative e dei contenuti economici degli accordi tra P.A. ed enti gestori devono essere assunti attraverso apposita delibera dirigenziale nel caso delle convenzioni e da apposita determina a contrarre nel caso di appalti e concessioni.

Alla luce delle su esposte valutazioni, è possibile ribadire che:

  1. L’art. 48 non identifica una mera facoltà ma, coerentemente con un sistema di welfare socio-sanitario ed educativo caratterizzato dalla necessità di garantire i livelli essenziali delle prestazioni civili e sociali (art. 117, comma 2, lett. m) Costituzione), un obbligo di risultato. Obbligo che si sostanzia nella continuità di erogazione dei servizi essenziali sia da parte della P.A. nel caso sia essa ad esserne responsabile in via diretta ovvero da parte degli enti gestori convenzionati, concessionari o appaltatori.
  2. La continuità dei servizi è – stante la condizione emergenziale – assicurata attraverso l’accordo pattizio tra le parti, finalizzato a rimodulare e rivedere le modalità con le quali l’oggetto sociale del servizio deve essere realizzato.
  3. La P.A. non opera alcuna discriminazione tra operatori economici né tantomeno può incorrere nella responsabilità erariale in quanto l’art. 48, da un lato, legittima gli enti locali a rinegoziare le modalità operative di erogazione dei servizi essenziali con le organizzazioni già “ingaggiate” e, dall’altro, è tenuta a liquidare le somme soltanto a seguito dei riscontri e delle verifiche di cui all’art. 184, comma 2, TUEL.

 

In ultima analisi, l’art. 48 appare in grado di raggiungere un adeguato e certamente delicato equilibrio tra esigenze che (apparentemente) potrebbero apparire in contrasto le une con le altre?

In termini generali, la risposta sembra essere affermativa. Da un lato, infatti, la previsione normativa de qua conferma la necessità che i servizi essenziali continuino ad essere erogati, anche con forme innovative, che possono prevedere modalità gestionali e organizzative, nonché livelli occupazionali diversi. Dall’altro, la norma (nello specifico, l’art. 48, comma 3) prevede una soluzione “mista” basata sull’erogazione di servizi sostituivi ridotti rispetto alle originarie pattuizioni da assicurare con l’impiego di una sola parte del personale contrattualizzato negli accordi iniziali e il ricorso alla CIG per le unità residue non impiegate nei servizi rimodulati.

Tuttavia, non è ipotizzabile dare concreta applicazione all’art. 48 senza un decisivo intervento regionale, richiesto per almeno due ordini di motivi. Il primo riguarda l’identificazione dei servizi essenziali di cui all’articolo in parola: essi sono infatti disciplinati, in larga parte, da normative regionali. Ne consegue che la loro sostituzione, rimodulazione e revisione non può prescindere da linee di indirizzo e orientamento comuni a livello regionale. Il secondo motivo, in stretta connessione con il primo, attiene alla coprogettazione: al fine di evitare soluzioni fantasiose o peggio peggiorative della qualità dei servizi erogati, è necessario che la coprogettazione sia definita in una cornice di livello regionale che, avuto riguardo ai fini di interesse generale perseguiti dall’art. 48, sia capace di orientare interventi e attività verso una effettiva garanzia dei diritti sociali.