Diritti essenziali e coprogrammazione


Ugo De Ambrogio | 22 Ottobre 2020

Negli ultimi giorni sono accaduti due importanti fatti che, messi insieme, potrebbero rappresentare altrettanti importanti segnali per uno sviluppo del welfare sociale nel prossimo futuro in Italia.

 

Il primo, in senso cronologico, è stata la sentenza 131 della Corte costituzionale del 26/6/2020. Tale sentenza, interviene a proposito della LR 2/2019 della Regione Umbria a seguito dell’azione del Governo che ritiene illegittima la scelta della Regione Umbria di ampliare le previsioni dell’art. 55 del Codice del Terzo settore anche alle cooperative di comunità. La Corte afferma la legittimità dell’art. 55 evidenziandone la diretta derivazione Costituzionale e il fondamento nella natura peculiare degli Enti di Terzo settore. Tale sentenza ribadisce inoltre la compatibilità dell’art. 55 con il “diritto eurounitario” richiamando come lo stesso diritto dell’Unione mantenga “in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà”.

Gli articoli di Gianfranco Marocchi e Alceste Santuari pubblicati nei giorni scorsi su welforum.it si sono già ampiamente soffermati sull’importanza di tale sentenza come punto di svolta, che determina il fatto che Terzo settore e Pubblico sono da considerarsi partner che, insieme per perseguire il valore della solidarietà sociale, concorrono con pari dignità e valore, alla costruzione delle politiche sociali pubbliche.

 

Il secondo fatto importante è un emendamento al Decreto Rilancio approvato dalla Camera dei deputati venerdì 3 luglio 2020. Si tratta dell’emendamento 89.1 a firma di Lisa Noja (IV) e Elena Carnevali (Pd), che introduce il principio che i servizi sociali, socio assistenziali e sociosanitari per le persone con disabilità e per chi è in difficoltà sono servizi pubblici essenziali, volti ad assicurare diritti costituzionalmente tutelati.

Il comma dell’art 89 precisa infatti che «I servizi previsti all’articolo 22, comma 4, della legge 8 novembre 2000, n. 328, sono da considerarsi servizi pubblici essenziali, anche se svolti in regime di concessione, accreditamento o mediante convenzione, in quanto volti a garantire il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati. Allo scopo di assicurare l’effettivo e continuo godimento di tali diritti costituzionalmente garantiti, le regioni e le province autonome, nell’ambito delle loro competenze e autonomie organizzative, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione, con proprio atto, definiscono le modalità per garantire l’accesso e la continuità dei servizi sociali, socio assistenziali e socio sanitari essenziali di cui al presente comma anche in situazione di emergenza, sulla base del progetto personalizzato, tenendo conto delle specifiche e inderogabili esigenze di tutela delle persone più esposte agli effetti di emergenze e calamità. Le Amministrazioni provvedono all’attuazione della presente disposizione nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza maggiori oneri per la finanza pubblica».

 

Tale emendamento, approvato anche per evitare che non si ripetano in futuro interruzioni dei servizi sociali come si sono manifestate durante il lockdown, rappresenta un’importante svolta che va ben oltre la situazione specifica del momento. Infatti, come afferma Livia Turco in un post pubblicato su facebook il 4 luglio: “ieri è stato approvato un emendamento importante che rende obbligatorio da parte delle Regioni realizzare il comma 4 dell’ art. 22 della legge 328 del 2000 relativa ai livelli essenziali. In concreto: servizio sociale professionale, segretariato sociale per informare i cittadini, servizi di pronto intervento per le situazioni di emergenza sociale, assistenza domiciliare, strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità, centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario sono Diritti esigibili”, si tratta cioè di servizi che debbono essere obbligatoriamente realizzati in ciascun territorio.

 

L’emendamento al Decreto Rilancio stabilisce anche che tutte le Regioni e Province Autonome avranno 60 giorni di tempo per adottare un piano che in caso di emergenza garantisca l’accesso e la continuità di tali servizi, tenendo conto delle specifiche e inderogabili esigenze individuali.

Sembra, finalmente, un passo concreto verso una definizione più puntuale di quei livelli essenziali di assistenza sociale che da oltre 20 anni attendiamo da parte dello stato.

 

Perché coprogettazione e diritti essenziali, visti assieme, sono segnali importanti?

Perché finalmente, qualora i principi sottostanti a tali atti normativi venissero effettivamente applicati, ci troveremmo in un sistema di welfare sociale integrato al quale concorrono con pari valore e dignità e moltiplicando forze ed energie, i soggetti pubblici e quelli del terzo settore, contribuendo insieme a soddisfare i diritti di cittadinanza sanciti dalla costituzione, in particolare rivolgendosi ai soggetti più deboli e fragili.

Per questo motivo comprendiamo che molte organizzazioni di primo e di secondo livello del Terzo settore in questi giorni abbiano accolto con entusiasmo la sentenza della Corte e allo stesso tempo che organizzazioni professionali come il Cnoas abbiamo accolto con entusiasmo l’emendamento 89.1 del Decreto Rilancio.

 

Il mio auspicio è quello che vengano colte assieme le opportunità fornite dal “combinato disposto” fra questi due interventi normativi e si possano avviare percorsi di sviluppo di forme effettive e durature di coprogettazione di interventi e servizi e soprattutto di coprogrammazione di politiche sociali pubbliche.

Una coprogrammazione da costruire attraverso tavoli misti Pubblico e Terzo settore, e che sia promossa ai diversi livelli di Governo: nazionale, regionale e territoriale. Tali coprogrammazioni dovrebbero essere finalizzate a costruire quel welfare dei diritti che da molti anni faticosamente promuoviamo attraverso la valorizzazione di specifiche buone prassi (vedi il premio Irs-Cnoas Pss “Costruiamo il welfare dei diritti sul territorio” giunto alla sua quarta edizione) ma che fa fatica a decollare a causa della frammentazione e delle diseguaglianze presenti fra i diversi territori e le diverse Regioni, non essendo sanciti, fino all’emendamento 89.1, diritti essenziali esigibili.

 

Sperando che il fondo nazionale politiche sociali o altre fonti finanziare possano essere potenziate nella direzione richiesta dalla attuazione dell’emendamento 89.1, i piani regionali per l’attuazione di tale emendamento possono essere una prima importante occasione per lavorare in questa direzione, nella logica proposta dall’art. 55 del CTS ovvero di una “co-programmazione finalizzata all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili”. Parallelamente sarebbe auspicabile un tavolo nazionale di coprogrammazione che, costruendo un nuovo piano sociale nazionale (l’unico precedente risale a 20 anni fa) possa finalmente, e nel dettaglio, determinare livelli essenziali di assistenza sociale come diritti esigibili di cittadinanza.

Tali opportunità, se colte, potrebbero dare nuovo impulso alla programmazione, territoriale, nella promozione di un welfare comunitario e dinamico in governance mista, (ma con regia pubblica) che costruisca davvero le condizioni migliori per rendere concreto quel “non lasciare indietro nessuno” che altrimenti continuerà ad essere uno slogan retorico e inattuato.


Commenti

POSITIVISSIMO.
SEMPRE TANTE TEMATICHE RICCHE DI RIFLESSIONI INTELLIGENTI.
GRAZIE.
DR.SSA ANTONELLA CITTERIO