Reddito di inclusione e reddito di cittadinanza: benefici millantati, differenze, convergenze


Emanuele Ranci Ortigosa | 16 Maggio 2018

Il Reddito di cittadinanza garantirà a tutte le famiglie un reddito che le farà uscire dalla povertà: non è quello, o meglio tutto quello, che sta scritto nelle proposte del Movimento Cinque Stelle (M5S), ma è la voce che esso ha lasciato correre nel Paese durante la campagna elettorale, voce che ha sedotto soprattutto quanti sono in situazione di bisogno e sono meno attrezzati a leggere con senso critico una tale promessa. Renzi (ed altri del PD), ha concorso ad alimentare questa interpretazione dicendo in campagna elettorale, e ripetendo ancora il 30 aprile nell’intervista da Fazio a “Che tempo che fa” che: “con il Reddito di cittadinanza il M5S promette a tutti un reddito fino a 780 euro mensili per un single (rispetto ai 188 del Rei) senza che debbano lavorare. Noi siamo per dare lavoro, non assistenza gratuita”.

 

Queste affermazioni non rispettano la verità, ignorando per opposta convenienza propagandistica una parte essenziale della proposta grillina, e cioè che i beneficiari del reddito di garanzia non solo dovranno avere redditi non superiori a una certa soglia, ma dovranno anche lavorare. Se non sono occupati dovranno infatti cercare attivamente un lavoro e, se non aderiranno alle offerte a loro proposte, al terzo rifiuto verranno “puniti” perdendo il beneficio economico.

 

Ambedue le misure stanno nel campo dei redditi universalistici e selettivi

Il nome scelto dal M5S per il reddito proposto è quindi illusorio e fuorviante, e si presta a usi opportunistici, sia dei sostenitori che degli avversari del Movimento. La misura proposta non appartiene infatti alla famiglia dei redditi di cittadinanza, che dovrebbero essere erogati a tutti senza alcuna condizione, ma invece a quella dei redditi minimi, la cui erogazione è sottoposta a varie condizioni, reddituali e di comportamento. Ne possono infatti beneficiare solo quanti sono sotto una certa soglia di reddito e intendono lavorare. E che, come già spiegato sopra, se un lavoro non ce l’hanno, si devono impegnare a ricercarlo, iscrivendosi anche ai centri per l’impiego, e a non rifiutare le offerte che ricevono. Al terzo rifiuto perdono anche il beneficio economico.

 

Reddito di inclusione e Reddito di cittadinanza appartengono tutte e due alla famiglia dei redditi minimi europei, universalistici e selettivi, ma questo non significa che fra le due misure, la prima già in atto, l’altra ancora semplice proposta, non vi siano significative differenze. Esse riguardano l’individuazione dei beneficiari, i criteri di selezione (reddito e patrimonio, o solo reddito), la soglia di accesso e il livello di integrazione del reddito (povertà assoluta, rischio di povertà definito dall’UE, parte dell’una o dell’altra soglia, ecc.), le misure di sostegno e accompagnamento (progetto personalizzato, riferimento prioritario ai servizi sociali o ai centri per l’impiego, servizi da potenziare), l’ammontare molto differenziato della spesa prevista1.

 

La diversa selettività sulla condizione economica

Le soglie di accesso al Rei assumono come riferimento essenziale l’Isee, definito già nella sua legge istitutiva livello essenziale di assistenza, strumento quindi che andrebbe utilizzato ogni volta che si introducono criteri di selettività economica. Al Rei possono accedere le famiglie di un solo componente con Isee non superiore a 6.000 euro annui, con reddito Isre non superiore a 3000 euro, con patrimonio mobiliare non superiore a 10.000 euro, e patrimonio immobiliare non superiore a 20.000, euro oltre la casa di abitazione2. Per le famiglie con numero superiore di componenti si stabiliscono delle soglie equivalenti. Il reddito di cittadinanza fa invece rifermento solo al reddito annuo netto, senza ulteriori dettagli. Mi pare questa una lacuna da correggere, dovuta forse al fatto che il progetto originale era stato elaborato circa cinque anni fa, e necessiterebbe di una attualizzazione facendo almeno i conti con l’Isee.

L’entità dei benefici erogati

Quanto all’ammontare del sostegno economico mensile per un singolo privo di altri redditi, sarà per il Rei, dal 1 luglio 2018, di 250 euro (un terzo della soglia Istat di povertà assoluta di un piccolo Comune del Sud), per il Rdc di 780 euro (6 decimi del reddito mediano equivalente familiare, che si rifà alla soglia europea del rischio di povertà). Come si vede le soglie di povertà di riferimento sono diverse: per il Rei la povertà assoluta Istat deprivata delle sue declinazioni territoriali, per il reddito di cittadinanza il rischio di povertà (relativa) delle statistiche europee. Povertà assoluta e rischio di povertà UE sono misure validate, ma di diverso significato e livello. Le loro soglie di povertà sono diverse e ancor più si differenziano perché il Rei assume come riferimento un livello pari a solo un terzo della soglia territorialmente più bassa della povertà assoluta Istat.

 

I beneficiari devono impegnarsi a… Ma il lavoro non sempre basta

Per il Rei, il beneficio è condizionato alla sottoscrizione di un Progetto personalizzato di attivazione e inclusione sociale e lavorativa, costruito con i servizi sociali del Comune o dell’Ambito sulla base di una valutazione multidimensionale riferita all’intero nucleo famigliare. Se la condizione di povertà è determinata prioritariamente dalla mancanza di lavoro, il progetto è sostituito da un Patto di servizio, o da un Programma di ricerca intensiva di lavoro gestito dai CPI. Sono previste sanzioni graduali nel caso di inosservanza degli impegni assunti con gli atti ora citati, fino alla decadenza dal beneficio.

Il Reddito di cittadinanza, come si è detto, prevede l’obbligo a iscriversi ai CPI, l’accettazione di uno dei primi tre lavori offerti, frequenza di corsi di formazione o riqualificazione professionale, ricerca attiva del lavoro per almeno due ore al giorno, comunicazione tempestiva di qualsiasi variazione del reddito. Il coinvolgimento dei servizi sociali è previsto solo per casi che presentino seri problemi assistenziali. In caso di dichiarazioni mendaci o di lavori in nero, è prevista la perdita del beneficio e il rimborso di quanto già avuto.

L’obbligo al lavoro  è quindi chiaro in ambedue le misure, il problema effettivo è semmai posto dalla carenza di offerta di occupazione e dalla debolezza dei CPI. Non a caso ambedue le misure considerate prevedono investimenti anche economici per il loro potenziamento.

Non possiamo inoltre ignorare che aumentano sempre più le famiglie in cui c’è chi ha un lavoro, che offre però un reddito che lascia quella famiglia in condizione di povertà. Sempre più lavorare non basta. E sempre più altri fattori di debolezza e precarietà di una famiglia non sono risolti dall’avere una occupazione, se ad essa non si affiancano altre misure di sostegno all’inclusione dei componenti, soprattutto minorenni, della famiglia.

 

Un beneficio elevato disincentiva al lavoro?

Va però riconosciuto che il livello molto elevato del beneficio previsto dal Reddito di cittadinanza corre maggiori rischi di disincentivare al lavoro, soprattutto per lavori a bassa retribuzione. Per portare a casa un compenso analogo o poco superiore al beneficio assicurato dal reddito di cittadinanza, molti possono ritenere più conveniente stare a casa, accudendo alla famiglia, coltivando l’orto, o acquisendo qualche lavoretto retribuito in nero! Non a caso le analoghe misure di contrasto alla povertà degli altri paesi europei a noi più comparabili, o anche con reddito medio più elevato del nostro, prevedono soglie di integrazione più contenute3. E frequentemente prevedono anche che i compensi derivanti da nuove attività lavorative non vengano detratti tutti e subito dall’entità del beneficio monetario erogato, ma solo parzialmente e gradualmente, appunto per non scoraggiare l’accesso e il mantenimento del lavoro.

La forte centratura del Reddito di cittadinanza sul lavoro, sui disoccupati poveri, può anche comportare la sottovalutazione di tutta una serie di condizioni personali o famigliari che rendono difficile svolgere un’attività lavorativa, e che necessitano anzi di specifici interventi di sostegno economico e socio assistenziale. Interventi che invece il Rei prevede e dovrebbe assicurare con l’analisi e progettazione sulla famiglia e l’accompagnamento da parte dei servizi comunali e di ambito.

 

Il reddito deve essere tale da assicurare una esistenza dignitosa

Se i 780 euro posti come soglia di integrazione dal Reddito di cittadinanza peccano forse per eccesso, certamente del tutto inadeguata è invece la soglia di integrazione del reddito di 188 euro, pur con l’aumento previsto a 250 euro, assunta dal Rei. L’impostazione del Rei è nell’insieme convincente ma la lentezza con cui negli anni della crisi la misura è stata varata, i forti protratti limiti categoriali, il livello del tutto inadeguato cui i redditi delle famiglie povere venivano e vengono tuttora integrati a fronte del dilagare delle situazioni di povertà, e anche di rischio di impoverimento, spiegano il favore che la promessa del Reddito di cittadinanza ha raccolto, con evidenti ricadute anche sulla redistribuzione del consenso elettorale.

Naturalmente la gradualità del varo e dello sviluppo del Rei trova delle giustificazioni nei vincoli della spesa pubblica e anche nei necessari tempi di preparazione e adeguamento delle istituzioni e amministrazioni coinvolte per la gestione sui territori di una misura come questa molto innovativa. Ma un’enunciazione e programmazione più coraggiosa, la rinuncia a disperdere su tanti rivoli le risorse pubbliche disponibili, una più convinta valorizzazione politica e comunicativa che superasse perduranti perplessità e resistenze entro lo stesso governo e la sua maggioranza, avrebbero potuto raccogliere e riscuotere a favore del Rei un’attenzione e un consenso più competitivi nel confronto con la proposta del M5S. Sono osservazioni non “col senno di poi”, che io ed altri andiamo ripetendo da anni.

 

Attenzione, vanno comparati costi omogenei

Infine se anche nella lunga fase post elettorale il Pd fosse andato a “vedere le carte” sulle due diverse proposte di contrasto alla povertà qui considerate, raccogliendo la sfida del M5S senza chiudersi in sdegnato silenzio, il confronto avrebbe potuto essere chiarificatore e molto interessante, anche sul punto che appare più critico della proposta M5S, quello del finanziamento. La grande differenza di spesa fra le due misure è dovuta infatti anche alle due diverse prospettive temporali correntemente usate. Il Rei propone una misura compatibile con il finanziamento già previsto in finanziaria, spingendosi poco oltre, e lasciando molte famiglie povere addirittura fuori dalla misura o con integrazioni reddituali inadeguate a una vita dignitosa per il livello di sviluppo e le aspettative e sensibilità proprie della nostra società. Se fosse considerato anch’esso “a regime”, costerebbe fra gli 8 e i 10 miliardi, sostegno ai servizi compreso, pari a più di tre volte la spesa attuale. Il costo del reddito di cittadinanza invece, nelle varie stime, è calcolato sempre “a regime”. Che lo si ponga a 15 miliardi di euro, come affermano il Movimento e anche Istat, o a 30/37 miliardi come stimano alcuni esperti4, e anche l’Inps, appare arduo che una tale somma possa venire raccolta e impegnata sul Reddito di cittadinanza nel giro di uno o due anni. Bisognerebbe quindi confrontare il dimensionamento e lo sviluppo delle due proposte in un analogo arco di tempo, per avere un confronto anche economico significativo. E bisognerebbe anche applicare a tutte e due un analogo take up rate, cioè un analogo tasso di accesso e utilizzo entro la platea dei potenziali beneficiari, che in queste stime viene invece considerata nella sua totalità. Fatto che nella realtà mai si verifica.

 

Valorizzare quanto finalmente fatto, per andare oltre

Se il governo che si prospetta nascerà, il suo programma potrà offrire ulteriori elementi di valutazione comparata. Con il mio recente libro “Contro la povertà” ho voluto evidenziare come possibile e auspicabile che chi governerà riconosca il carattere concettualmente non contrapposto delle due misure qui considerate, confronti le declinazioni specifiche sui vari temi che abbiamo trattato per assumere le opzioni più promettenti, dia nei fatti un riconoscimento a quanto finora è stato fatto con il Rei, per utilizzarlo, estenderlo, e via via caratterizzarlo anche secondo le proprie sensibilità e prospettive. Sarebbe questo un segno di maturità politica e di rispetto e attenzione per quanti più soffrono difficoltà e precarietà economiche e occupazionali, che hanno dato fiducia con i loro voti alle promesse enunciate e che ora vedranno e valuteranno quanto verranno effettivamente attuate.

  1. Per analisi e confronti aggiornati fra il Reddito di inclusione e il Reddito di cittadinanza vedere oltre che il capitolo dedicato del libro da me scritto (Ranci Ortigosa E., Contro la povertà. Analisi economica e politiche a confronto, Francesco Brioschi Editore, Milano, 2018, in particolare cap- 7, pp.97-110), FraGRa, Reddito di cittadinanza: chi ha ragione e chi ha torto?, Etica e economia, menabò nn. 80 e 81, 20.3.2018 e 4.4.2018; Labartino G., Mazzolari F., Quaglia M., Rei e reddito di cittadinanza a confronto, Confindustria Centro studi, 18.4.2018. Per il finanziamento vedere Baldini M, Daveri F., Le proposte dei partiti contro la povertà, welforum.it, 6 febbraio 2018 e Baldini M., I beneficiari di Sia e Rei e i controversi costi del Reddito di cittadinanza, welforum.it, 4 aprile 2018. Relativamente al tema lavoro vedere anche Giubileo F., Tutti i rischi del reddito di cittadinanza, lavoce.info, 23.02.18.
  2. Per maggiori dettagli: Mesini D., Il Reddito di inclusione: caratteristiche e attenzioni attuative, in Ranci Ortigosa E., Contro la povertà, Francesco Brioschi Editore, Milano, 2018.
  3. Crepaldi C., Le misure di redito minimo in Europa, in Ranci Ortigosa E, op. cit.
  4. Baldini M, Daveri F., Le proposte dei partiti contro la povertà, in welforum.it, 6 febbraio 2018 e Baldini M., I beneficiari di Sia e Rei e i controversi costi del Reddito di cittadinanza, in welforum.it, 4 aprile 2018

Commenti

L’articolo è nell’insieme assai interessante. Un’unica annotazione: dal primo luglio 2018 è prevista la scomparsa dei soli vincoli familiari per l’accesso al REI, non anche un aumento dell’importo massimo (per il singolo a 250€) così come invece indicato. Tale aumento sarebbe peraltro del tutto auspicabile poiché renderebbe un po’ più cospicuo il sostegno economico ancora inadeguato a fare uscire le famiglie dalla condizione di povertà assoluta. Il primo passo per aumentare l’importo dovrebbe essere proprio quello di eliminare il coefficiente di abbattimento dello 0,75 oggi previsto nel calcolo del REI, che tra l’altro determina una discrepanza tra soglia nominale di accesso e soglia effettiva. Questo provocherebbe proprio un aumento dell’importo mensile da 188€ a 250€. Ma per fare ciò è necessario aumentare le risorse dedicate allo strumento. Dunque bisognerà attendere almeno il 2019, sempre che si decida di procedere in tal senso con la prossima Legge di Bilancio.

Caro Lusignoli hai perfettamente ragione. Ho scambiato un wishfull thinking dell’Alleanza, e anche tuo e mio, per un’ulteriore acquisizione. Stupito anch’io, l’ho assunto nello scritto per verificarlo, e poi distratto da altre urgenze, mi sono scordato di farlo. Scusa quindi ai lettori e grazie agli amici esperti che mi correggono!

Ottimo articolo! Spero che contribuisca a chiarire le idee ai non addetti ai lavori, perché è fondamentale informarsi prima di dare credito al politico che promette di più.
Come assistente sociale impegnata sul campo spero vivamente che si consolidino i finanziamenti ma non si tocchi la struttura faticosamente costruita in questi pochi anni di SIA-ReI.
D’accordo, ci sono alcuni correttivi da apportare, ma nel complesso il ReI è una misura ben congegnata, che pone al centro i servizi sociali e finalmente li mette in connessione con le politiche per il lavoro.
Dobbiamo avere il tempo e la serenità di mettere a regime la macchina, senza lo spauracchio che basti un cambio di governo per rimettere tutto in discussione.
In particolare, bisogna lavorare molto sulla creazione di reti con il territorio e di servizi per il lavoro che prendano in carico tutti i lavoratori: da quelli con invalidità, a quelli in condizione di svantaggio sociale, a quelli un po’ più attrezzati ma non abbastanza, via via fino a quelli più competenti. Perché è facile dire che i poveri devono lavorare; più difficile creare tessuti produttivi accoglienti.
Servono quindi servizi di intermediazione tra il mondo del lavoro e i suoi esclusi: servizi complessi, in grado di parlare il linguaggio educativo e sociale ma anche aziendale.
Lasciateci il tempo di farlo!