1.6. Reti di prossimità: obiettivi del PNRR e nodi da approfondire


Giulio Fornero | 2 Agosto 2021

Si propongono alcune riflessioni, a riguardo delle priorità di scelta rispetto alle reti di prossimità, alla luce delle attuali indicazioni internazionali e delle proposte contenute nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

 

Indicazioni internazionali

Le principali indicazioni per la salute e la sanità a livello internazionale si stanno rapidamente aggiornando, alla luce dell’esperienza della pandemia da Covid-19, o meglio (come precisa R. Horton, in un editoriale di The Lancet, September 26, 2020) della sindemia in atto, poichè due categorie di malattie interagiscono all’interno di popolazioni specifiche, diverse per età e per fragilità: le infezioni da SARS-CoV-2 e una serie di malattie croniche non trasmissibili (NCD).
Le attuali linee di indirizzo sono tutte volte a investire per la salute responsabilizzando i governi e i cittadini, rafforzare i sistemi sanitari centrati sulle persone, creare ambienti favorevoli e comunità resilienti, investire a favore di professionisti ed operatori sanitari e socio-sanitari.

 

Cosa prevede il PNRR

La missione Salute del PNRR si articola in due componenti:
• Riforma 1: Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale: (…) rafforzare le prestazioni erogate sul territorio grazie al potenziamento e alla creazione di strutture e presidi territoriali (come le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità), il rafforzamento dell’assistenza domiciliare, lo sviluppo della telemedicina e una più efficace integrazione con tutti i servizi sociosanitari.
• Riforma 2: Innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale.

 

La Riforma 1 prevede due attività principali:
• La definizione di standard strutturali, organizzativi e tecnologici omogenei per l’assistenza
territoriale e l’identificazione delle strutture a essa deputate (…)
• La definizione (…) di un nuovo assetto istituzionale per la prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico, in linea con l’approccio One-Health

 

Investimento 1.1: Case della Comunità e presa in carico della persona
La Casa della Comunità diventerà lo strumento attraverso cui coordinare tutti i servizi offerti, in particolare ai malati cronici. Nella Casa della Comunità sarà presente il punto unico di accesso alle prestazioni sanitarie. La Casa della Comunità sarà una struttura fisica in cui opererà un team multidisciplinare di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute e potrà ospitare anche assistenti sociali. La presenza degli assistenti sociali nelle Case della Comunità rafforzerà il ruolo dei servizi sociali territoriali nonché una loro maggiore integrazione con la componente sanitaria assistenziale. Il presente investimento agisce in maniera sinergica con gli investimenti 1.1 Sostegno alle persone vulnerabili e prevenzione dell’istituzionalizzazione degli anziani non autosufficienti e 1.2 Percorsi di autonomia per persone con disabilità della Componente 2 Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore della Missione 5 Inclusione e Coesione.
L’investimento prevede l’attivazione di 1.288 Case della Comunità entro la metà del 2026, che potranno utilizzare sia strutture già esistenti sia nuove. Il costo complessivo dell’investimento è stimato in 2,00 miliardi di euro.

 

Investimento 1.2: Casa come primo luogo di cura e telemedicina
Per rispondere efficacemente alle tendenze evidenziate nel paragrafo precedente e in linea con le raccomandazioni della Commissione Europea del 2019, il potenziamento dei servizi domiciliari è un obiettivo fondamentale. L’investimento mira ad aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10 per cento della popolazione di età superiore ai 65 anni (in linea con le migliori prassi europee). L’intervento si rivolge in particolare ai pazienti di età superiore ai 65 anni con una o più patologie croniche e/o non autosufficienti.
L’investimento mira a:
• Identificare un modello condiviso per l’erogazione delle cure domiciliari che sfrutti al meglio le possibilità offerte dalle nuove tecnologie (come la telemedicina, la domotica, la digitalizzazione)
• Realizzare presso ogni Azienda Sanitaria Locale (ASL) un sistema informativo in grado di rilevare dati clinici in tempo reale
• Attivare 602 Centrali Operative Territoriali (COT), una in ogni distretto, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza
• Utilizzare la telemedicina per supportare al meglio i pazienti con malattie croniche
Il fabbisogno di risorse per la realizzazione di questo investimento è stimato in 4,00 miliardi di euro, di cui 2,72 miliardi connessi ai costi derivanti dal servire un numero crescente di pazienti, 0,28 miliardi per l’istituzione delle COT e 1 miliardo per la telemedicina. Per la realizzazione di tali interventi si utilizzeranno gli strumenti della programmazione negoziata, necessari per garantire il coordinamento dei livelli istituzionali e degli enti coinvolti.
Le misure previste nel presente investimento sono in linea e rafforzano quanto promosso e previsto dagli investimenti 1.1 e 1.2 della Componente 2 della Missione 5. Infatti, solo attraverso l’integrazione dell’assistenza sanitaria domiciliare con interventi di tipo sociale si potrà realmente raggiungere la piena autonomia e indipendenza della persona anziana/disabile presso la propria abitazione, riducendo il rischio di ricoveri inappropriati. Ciò sarà possibile anche grazie all’introduzione di strumenti di domotica, telemedicina e telemonitoraggio.

 

Investimento 1.3: Rafforzamento dell’assistenza sanitaria intermedia e delle sue strutture (Ospedali di Comunità
L’investimento mira al potenziamento dell’offerta dell’assistenza intermedia al livello territoriale attraverso l’attivazione dell’Ospedale di Comunità, ovvero una struttura sanitaria della rete territoriale a ricovero breve e destinata a pazienti che necessitano di interventi sanitari a media/bassa intensità clinica e per degenze di breve durata. Tale struttura, di norma dotata di 20 posti letto (fino ad un massimo di 40 posti letto) e a gestione prevalentemente infermieristica, contribuisce ad una maggiore appropriatezza delle cure determinando una riduzione di accessi impropri ai servizi sanitari come ad esempio quelli al pronto soccorso o ad altre strutture di ricovero ospedaliero o il ricorso ad altre prestazioni specialistiche. L’Ospedale di Comunità potrà anche facilitare la transizione dei pazienti dalle strutture ospedaliere per acuti al proprio domicilio, consentendo alle famiglie di avere il tempo necessario per adeguare l’ambiente domestico e renderlo più adatto alle esigenze di cura dei pazienti.
L’investimento si concretizzerà nella realizzazione di 381 Ospedali di Comunità. Anche in questo caso l’implementazione dell’intervento beneficerà di strumenti di coordinamento tra i livelli istituzionali coinvolti. Il costo complessivo stimato dell’investimento è di 1,00 miliardo, e l’orizzonte per il completamento della sua realizzazione è la metà del 2026. La relativa operatività in termini di risorse umane sarà garantita nell’ambito delle risorse vigenti per le quali è stato previsto un incremento strutturale delle dotazioni di personale.

 

Risorse, priorità, e nodi da approfondire

L’Investimento 1.1: Case della Comunità e presa in carico della persona e l’Investimento 1.2: Casa come primo luogo di cura e telemedicina sono chiaramente indirizzati, in linea con i messaggi più importanti delle attuali indicazioni a livello internazionale, a rafforzare i sistemi sanitari centrati sulle persone, responsabilizzare i cittadini, investire su professionisti e operatori, rafforzare il rapporto con le Comunità, mentre questi riferimenti sono meno espliciti per quanto riguarda l’Investimento 1.3 Rafforzamento dell’assistenza sanitaria intermedia e delle sue strutture (Ospedali di Comunità).

 

Quanto alle risorse per investimenti, l’attivazione di 1.288 Case della Comunità comporterebbe un costo complessivo dell’investimento stimato in 2,00 miliardi di euro, l’istituzione di 602 Centrali Operative Territoriali (COT) un costo stimato in 0,28 miliardi di euro e la realizzazione di 381 Ospedali di Comunità un costo stimato in 1,00 miliardo di euro: potrebbero essere valutazioni ottimistiche.
Rilevante è poi la questione della gestione continuativa dell’assistenza sanitaria: è noto che le risorse economiche per il Servizio Sanitario sono in Italia al di sotto della media dei Paesi sviluppati e che in Italia vi è una carenza particolarmente grave di infermieri, che impedisce la realizzazione di adeguati standard di assistenza: la costruzione e l’attivazione di 1.288 Case della Comunità e di 381 Ospedali di comunità e il ripristino delle attività sanitarie limitate in periodo COVID potrebbero dunque contribuire a non consentire l’attribuzione delle necessarie risorse economiche e soprattutto infermieristiche per l’adeguamento dell’Assistenza Domiciliare.

 

Per gli Ospedali di Comunità, in particolare, si pongono alcune questioni:
a) da decenni, si tenta di orientare il sistema sanitario ospedaliero e residenziale territoriale verso strutture non troppo piccole, perché siano capaci di gestire organicamente tutto a un buon livello, anche se rinunciando ad avere “l’ospedale sotto casa”. Era dunque una prospettiva sbagliata? Se devono essere strutture capaci di gestire patologie che implicano un ricovero, costruirle molte piccole non è allo stesso tempo un aumento dei rischi sanitari (per i maggiori problemi nel gestire le urgenze, le esigenze di interventi di specialisti, o gli aggravamenti) e una moltiplicazione di costi (infermieristici, di logistica, servizi generali, etc.)?
b) i ricoverati in Ospedale di Comunità dovranno essere scelti limitando il rischio di essere rapidamente trasferiti nuovamente in ospedale per necessità di ricovero o di prestazioni sanitarie complesse: come si potranno individuare questi ricoverati, in modo che gli Ospedali di Comunità non diventino copia delle Case di Cura post acuzie, delle strutture di Continuità Assistenziale a Valenza Sanitaria o delle RSA?
c) sono presenti da tempo in alcune Regioni sperimentazioni di Ospedali di Comunità per pazienti affetti da condizioni croniche riacutizzate o che necessitano di trattamenti riabilitativi in ambiente protetto, con accesso nella maggior parte dei casi da ospedale, attraverso il regime di dimissione protetta, oppure direttamente dal territorio, in presenza di situazioni non tali da richiedere un’ospedalizzazione in un reparto ospedaliero per acuti ma allo stesso tempo non gestibili presso il domicilio. Queste sperimentazioni sono sufficienti per giustificare la messa in opera contemporanea a livello nazionale di un investimento così rilevante e capillare?
d) vi è grave carenza di strutture per le cure intermedie o invece è la inadeguatezza del sistema di cure domiciliari, che ribalta sulle famiglie e sui care giver il peso della cura per le persone malate croniche non autosufficienti, a rendere acuta la domanda di ulteriori strutture intermedie a più alto costo e minore efficacia rispetto alle cure domiciliari?
e) c’è forse il rischio di farsi trascinare soprattutto verso investimenti per costruire strutture, mentre la priorità è di potenziare servizi domiciliari che riducano il ricovero, più che non di strutture murarie?

 

Domiciliarità

Casa come primo luogo di cura.
La domiciliarità è la scelta auspicate dalle persone, quella più desiderata ed è anche la più economica per il Sistema. Deve pertanto essere assunta come scelta prioritaria per riorientarlo, dando preminenza alla domiciliarità rispetto alle altre risposte a carattere residenziale. Le persone che si possono curare a casa, con il limite del rispetto della scelta della persona assistita e dei caregiver, si devono curare a casa e per loro occorre trovare le soluzioni organizzative più idonee rispetto alle loro necessità specifiche rendendo altrettanto esigibile il diritto alle cure domiciliari come quello oggi garantito per le cure ospedaliere in urgenza.
Come prevede il DPCM nuovi LEA, occorre “Privilegiare gli interventi che favoriscono la permanenza delle persone assistite al proprio domicilio, attraverso l’attivazione delle risorse disponibili, formali e informali”.
Nell’ultimo decennio del secolo scorso e nel primo decennio di questo, Torino è stata all’avanguardia nell’assistenza domiciliare: l’esperienza torinese è stata di riferimento per la Legge Regionale del Piemonte n.10 del 2010, che definisce così le prestazioni domiciliari: a) le prestazioni di cura domiciliare ad alta complessità assistenziale nella fase intensiva o estensiva, ovvero di acuzie e post acuzie, quali le dimissioni protette, l’ospedalizzazione domiciliare, le cure domiciliari nell’ambito di percorsi gestiti dal medico di medicina generale; b) le prestazioni di lungoassistenza nella fase di cronicità, volte a mantenere e rafforzare l’autonomia funzionale o a rallentarne il deterioramento, che si esplicano in un insieme di servizi,
Se “prestazioni domiciliari” sono queste e per consentire alle persone di rimanere a domicilio senza gravare sulle famiglie e sui care giver, è quindi necessario riprogettare un sistema che tenga conto della necessità di fornire non solo prestazioni sanitarie, ma anche prestazioni assistenziali necessarie alla vita quotidiana (spesa, trasporti, pulizia della casa, preparazione dei pasti, igiene quotidiana, …).
Curare a casa chi può essere curato a casa non si ottiene solo con interventi e professionisti sanitari o con poche ore di OSS entro la Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), perché la “cura di una persona assistita non autosufficiente” deve consistere anche nel supportarla a fondo negli atti della vita quotidiana.
La ADI (vedi anche documento Agenas, luglio 2021 “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Sistema Sanitario Nazionale”) risponde a tutte le esigenze e, se sì, omogeneamente nelle varie Regioni?
Oppure è opportuno sviluppare un sistema di cure domiciliari più attento alle esigenze attuali, che offra un ventaglio più ampio di prestazioni sanitarie e che integri le prestazioni sanitarie e quelle assistenziali necessarie alla vita quotidiana, investendo sul sostegno alle competenze sanitarie e assistenziali delle persone assistite e dei care giver e adeguando il fabbisogno di risorse previsto per la domiciliarità nel PNRR?
Obiettivo potrebbe essere quindi lo sviluppo di cure domiciliari che coprano tutta la gamma dei bisogni sanitari e assistenziali, dalla alta complessità assistenziale nella fase intensiva o estensiva, di acuzie e post acuzie, alle prestazioni di lungoassistenza nella fase di cronicità, volte a mantenere e rafforzare l’autonomia funzionale o a rallentarne il deterioramento, con la partecipazione attiva di Medici di Medicina Generale, Infermieri di Famiglia e di Comunità e Ospedali, in integrazione tra sanità e servizi sociali.

 

Sanità e trasformazione digitale: aspettative di cittadini, professionisti e operatori del SSN

Prossimità digitale
Come conseguenza della diffusione della pandemia, c’è stata una rapida adozione della telemedicina nella cura delle persone assistite: risparmio di tempi e costi di viaggio, distanziamento fisico ed eliminazione di esposizione ad agenti infettivi in sale d’attesa sovraffollate hanno favorito questa scelta.
Ma la trasformazione digitale della sanità può rendere più marcate le disuguaglianze in salute, perchè non tutti i pazienti hanno facile accesso alla tecnologia e a internet: da qui la necessità di sostenere in particolare lo sviluppo delle competenze digitali delle persone assistite e dei caregiver, per la prossimità digitale.

 

Conclusioni

Le prospettive internazionali sono tutte indirizzate a rafforzare i sistemi sanitari centrati sulle persone, responsabilizzare i cittadini, investire su professionisti e operatori, rafforzare il rapporto con le Comunità.

La prospettiva è dunque la collaborazione tra istituzioni, professionisti sanitari e sociali con le persone assistite, le loro famiglie, i care giver, i cittadini e le loro associazioni per la presa in carico adeguata delle persone assistite e per aumentare la qualità delle prestazioni degli ospedali e dei servizi sanitari, a partire dalla conoscenza dei bisogni e delle capacità dei pazienti (comunicazione, responsabilizzazione dei professionisti e degli operatori, delle persone assistite, delle famiglie, delle comunità, condivisione dei progetti di salute e di cura), fino alla riorganizzazione dei servizi sanitari e socio-sanitari e a un nuovo disegno di politiche sanitarie con il coinvolgimento dei professionisti e degli operatori sanitari e delle associazioni dei malati.

È opportuno quindi che sia data la priorità, nella realizzazione del PNRR, agli investimenti più coerenti con queste prospettive, come Casa come primo luogo di cura e Presa in carico della persona.


Commenti

Condivido le perplessità sugli Ospedali di Comunità, ritenendo prioritarie le Case della Comunità, ma penso che, senza dover investire in luoghi nuovi. Si potrebbe mettere a sistema una serie di piccoli presidi precedentemente dismessi, con un ruolo complementare agli Ospedali che affrontano anche le emergenze. Circa le Case della Comunità mi paiono piuttosto le precedenti Case della Salute con una gentil concessione al sociale (“….potrà ospitare anche assistenti sociali”) che non riflette affatto le migliori esperienze in corso in Italia (si veda “La salute cerca casa”- Ed. Derive ed Approdi) nelle quali il riferimento alla Comunità è a 360°, per favorire il mantenimento della SALUTE integrale delle persone, comprendendo anche la messa a disposizione di spazi per la partecipazione ed in ottica di welfare generativo (si vedano le Microaree di Trieste su “La città che cura”). Utilizzare il nuovo termine – Comunità – ripetendo il modello di ambulatori sanitari con un debole aggancio al sociale locale, rischia solo di bruciare il senso di una possibilità di cambiamento più profondo.