Il 25 marzo 2020, a circa un mese dall’inizio della pandemia, Stefania Sabatinelli, proprio qui sulle pagine di Welforum, scriveva: “Il modo in cui attraversiamo questo periodo eccezionale e il modo in cui ne usciremo non è e non sarà uguale per tutti”, e iniziava a delineare le prime fratture, anche in parte aggravate da misure e politiche di sostegno, nelle opportunità delle famiglie di reggere e sostenere la crisi che stava cominciando.
Oggi, a 10 mesi dall’inizio dell’emergenza Covid-19, tutti i dati e le ricerche che hanno guardato a come bambini, ragazzi e famiglie abbiano vissuto e convissuto con le diverse fasi di lockdown e con l’esacerbarsi della crisi socio-economica, danno conferma che no, l’emergenza sanitaria non è uguale per tutti e non ne usciremo tutti uguali, ma anzi molto più disuguali, ed è fin da ora evidente quanto le condizioni di partenza abbiano dettato un enorme gap nelle possibilità di sostenere il peso della crisi.
Come ha sottolineato anche una nota delle Nazioni Unite ad aprile 2020, a livello globale bambine e bambini e ragazze e ragazzi rischiano di essere tra le principali vittime indirette della pandemia, a causa dell’aggravarsi di condizioni di povertà, delle difficoltà nell’accesso all’istruzione e alla salute e dell’aumento esponenziale dei rischi per la loro sicurezza e incolumità. In un rapporto aggiornato a settembre 2020 Unicef1 stima un aumento di 150 milioni di bambini nel mondo che si troveranno in condizioni di povertà nel solo 2020.
Eppure, come il Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza ha sottolineato durante i diversi approfondimenti realizzati su Vita nel mese di novembre 2020 in occasione della Children’s week, dal momento in cui la pandemia è scoppiata nel nostro Paese a quello in cui bambini e ragazzi sono stati per la prima volta nominati in un discorso del Presidente del Consiglio sono trascorsi 53 giorni. 53 giorni in cui bambini e ragazzi, invece di essere al centro di pensieri, programmi e politiche, sono scomparsi dalle strade, dalle scuole e anche dal dibattito pubblico.
Oggi, a oltre 10 mesi dall’inizio della pandemia, è ancor più fondamentale continuare a parlare di bambini e ragazzi, tenerli al centro del dibattito pubblico guardando le tante facce che la disuguaglianza assume nelle loro condizioni di vita e opportunità di sviluppo, richiedendo la rapida programmazione di interventi strutturali e di sistema che ne contrastino l’avanzamento.
Un milione di minori in più in povertà assoluta
In Italia, i dati aggiornati agli ultimi mesi mostrano un dato tanto più preoccupante in relazione alla situazione già grave prima della pandemia, quando i minori in condizione di povertà assoluta erano l’11,4%, pari a 1 milione e 137 mila2. Oggi, a causa della grave riduzione della capacità economica delle famiglie3 Action Aid, nel suo report sull’aumento della povertà alimentare4, stima che due milioni di famiglie si aggiungeranno a quelle che già si trovano in condizioni di povertà assoluta, mentre Save the Children stima che un milione di bambini e ragazzi possano scivolare in breve tempo in condizioni di povertà assoluta5.
Sempre Save the Children, tramite un’indagine campionaria sull’impatto della pandemia in Italia6, rileva che per circa la metà delle famiglie (46,7%) le risorse economiche si sono notevolmente ridotte; durante il lockdown, quasi la metà delle famiglie (44,7%) ha dovuto ridurre le spese alimentari, una su tre (32,7%) ha dovuto rimandare il pagamento delle bollette (37,1% al Sud, e 43,8% nelle Isole) e una su quattro (26,3%) anche quello dell’affitto o del mutuo.
Diritto all’istruzione: il gap aumenta col digital divide
Sebbene la povertà materiale, e insieme ad essa la povertà alimentare, costituiscano gli ambiti di maggiore preoccupazione per la rapidità e la gravità del peggioramento delle condizioni di vita delle famiglie, l’emergenza sanitaria da Covid 19 ha spalancato un altro divario già significativo riguardo le opportunità di accesso all’istruzione. La chiusura delle scuole, di ogni ordine e grado durante il lockdown e solo relativa alle scuole superiori nei mesi autunnali, ha portato l’intero Paese a confrontarsi con ennesime fratture e distanze tra i bambini e i ragazzi che hanno visto garantito il proprio accesso alla scuola, e quanti invece ne sono rimasti esclusi, principalmente a causa della scarsa disponibilità della strumentazione necessaria. L’Osservatorio #con i bambini7, nel report relativo alle disuguaglianze digitali tra i bambini e tra le famiglie8, indica come di fatto l’emergenza sanitaria abbia acutizzato un divario digitale già esistente che – in questo particolare frangente – è diventato un aspetto fondamentale della povertà educativa, andandosi a sommare ai tanti fattori di disuguaglianza già esistenti e conosciuti nell’accesso alle opportunità educative. Valutando i dati precedenti la pandemia, l’osservatorio mostra come l’accesso a internet per le famiglie, la velocità della connessione, la digitalizzazione delle scuole, fossero già tutti ambiti in cui si registravano significativi divari territoriali, tra nord e sud del Pese ma anche tra aree metropolitane e piccoli Comuni. Anche il report pubblicato dall’Istat ad aprile 20209 evidenzia che negli anni 2018-2019, considerando le sole famiglie con minori, il 14,3% non possedeva un computer o un tablet in casa, con un ampio divario tra l’8,1% del Nord-ovest e il 21,4% del sud.
Tutte le ricerche e i dati ad oggi disponibili – sebbene ancora non del tutto completi sul 2020 – concordano nell’evidenziare che, con lo spostamento online della didattica, la disuguaglianza nell’accesso alla strumentazione digitale ha costituito uno dei principali fattori di divario nelle opportunità educative. A questi si aggiungono certamente le differenti condizioni abitative (il 42% dei minori vive in case prive di spazi adeguati allo studio10) e (soprattutto per i più piccoli) il differente grado di disponibilità e possibilità di supporto alla didattica da parte dei genitori, a sua volta determinato dalle condizioni occupazionali e dai livelli di istruzione.
L’ultimo studio disponibile, realizzato da Ipsos per Save the Children11 tramite interviste a 1.000 ragazzi tra i 14 e i 18 anni e reso pubblico il 4 gennaio 2021 riporta direttamente la voce dei ragazzi, facendo emergere un quadro ormai noto: gli studenti riportano maggiore difficoltà a concentrarsi durante le lezioni (7 studenti su 10) e 1 su 2 ritiene inoltre che sia più difficile rispettare il programma scolastico. Ma quello che davvero preoccupa sono le ricadute sugli abbandoni scolastici: problemi di connessione/copertura di rete (28%) e problemi di concentrazione durante le lezioni online (26%) i motivi principali che portano a non frequentare regolarmente le lezioni online. Il 72% di ragazzi riporta di avere “almeno un compagno che sta facendo più assenze rispetto allo scorso anno (+ 16-18enni: 75% vs 69% dei 14-15enni). Ancora più allarmante il fatto che più di un ragazzo su 4 (28%) affermi che dal lockdown di primavera c’è almeno un proprio compagno di classe che ha smesso completamente di frequentare le lezioni (1 su 3 al Centro, meno fra i più giovani: 24% fra 14-15enni vs 30% fra i 16-18enni). Di questi, il 7% afferma che i compagni di scuola “dispersi” durante il lockdown sono tre o più di tre”.
Sebbene non siano ancora disponibili dati di ricaduta sui tassi già elevati di dispersione scolastica12 (che speriamo diventi al più presto oggetto di attenzione e monitoraggio continuo da parte del MIUR) e sulla modifica al ribasso dei percorsi di istruzione come conseguenza di questo periodo, è già evidente e preoccupante in questo ambito l’effetto “lente di ingrandimento” del Covid, che è andato ad inasprire differenze e divari già esistenti, senza che nessun intervento pubblico in termini di misure e policy sia fino ad ora tempestivamente riuscito a limitare o arrestare il processo in corso.
Non solo scuola. Ragazzi e ragazze dimenticati tra DAD e isolamento sociale
Oltre alle ricadute sui percorsi di istruzione, l’attuale condizione delle ragazze e dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni, che ormai da oltre 10 mesi non frequentano la scuola in presenza (al di là della breve parentesi di qualche settimana tra settembre e ottobre) e hanno vista sospesa la possibilità di frequentare anche attività sportive ed extrascolastiche, preoccupa da diversi punti di vista.
Sono ormai tante le voci di esperti in ambito pedagogico e clinico che – a partire da studi e approfondimenti – lanciano un allarme rispetto alle condizioni di reclusione degli adolescenti, che rischiano di determinare un costo altissimo per il loro sviluppo e la loro crescita.
Già a giugno 2020 uno studio dell’Irccs Gaslini di Genova metteva in guardia rispetto alle ricadute emotive e psicologiche su bambini e ragazzi tra i 6 e i 18 anni: tra i disturbi più diffusi in questa fascia di età durante il periodo di lockdown primaverile i disturbi d’ansia e somatoformi come la sensazione di mancanza d’aria, disturbi del sonno (difficoltà di addormentamento, difficoltà di risveglio per iniziare le lezioni per via telematica a casa) e per gli adolescenti una generale “tendenza al ”ritardo di fase” (adolescenti che vanno a letto molto più tardi e non riescono a svegliarsi al mattino), come in una sorta di “jet lag” domestico. In questa popolazione di più grandi è stata inoltre riscontrata una aumentata instabilità emotiva con irritabilità e cambiamenti del tono dell’umore”. Malessere e comportamenti disfunzionali il cui livello di gravità correlava in maniera statisticamente significativa, sempre secondo lo studio del Gaslini, con il grado di malessere dei genitori, con sintomi o comportamenti da stress conseguente alla condizione Covid, come disturbi d’ansia, dell’umore, disturbi del sonno, consumo di farmaci ansiolitici e ipnotici 13.
Oggi, diversi studi confermano questa tendenza, ancora più accentuata dalla prospettiva di lungo periodo assunta dalla condizione di reclusione domestica e di assenza di relazioni sociali. Sempre la voce dei ragazzi raccolta da Save the Children, ci dice che non sono da sottovalutare gli effetti legati alla socialità e alle condizioni emotive: 6 ragazzi su 10 ritengono infatti che il periodo a casa da scuola abbia avuto e stia avendo ripercussioni negative sulla propria capacità di socializzare e sul proprio stato d’animo e umore, con ripercussioni sulle amicizie (per 1 su 2) e sulla propria salute (24%). I ragazzi riportano come stati d’animo prevalenti la stanchezza (31%), l’incertezza (17%), irritabilità (16%), ansia (15%), disorientamento (14%) e nervosismo (14%), apatia (13%), scoramento (13%), esaurimento (12%): un quadro generale che porta quasi un ragazzo su 2 (46%) a considerare questo anno di pandemia un anno sprecato11.
Famiglie più sole di fronte ai bisogni di conciliazione e di cura
La prima ondata pandemica, con il periodo del lockdown, e la seconda che stiamo oggi ancora vivendo, seppure con misure meno restrittive, stanno toccando in modo significativo molti altri ambiti e aspetti della vita delle famiglie con minori, andando anche qui a esasperare differenze nelle opportunità e nelle condizioni di vita prima già esistenti.
L’emergenza sanitaria, e la relativa chiusura delle scuole, hanno richiesto alle famiglie con bambini e ragazzi di fronteggiare in autonomia, e per lo più in solitudine, diversi compiti normalmente suddivisi o addirittura totalmente delegati a figure esterne alla famiglia: compiti educativi e compiti di cura. Il venir meno, o la frammentazione, dei servizi di supporto alle famiglie, a partire dai servizi per la prima infanzia, di tutte le attività in ambito sportivo e ricreativo, dei sostegni da parte di personale educativo, unite alla difficoltà di coinvolgere nei compiti di cura persone esterne allo stretto nucleo famigliare, hanno comportato un grande cambiamento nella vita di tutte le famiglie, a prescindere dal livello socio-economico o culturale. Nonostante i diversi sostegni previsti per i lavoratori che dovevano occuparsi dei figli (possibilità di usufruire di congedi ordinari retribuiti, fruizione di voucher per l’uso di servizi di baby-sitting, ecc.), la chiusura delle scuole e dei servizi per la prima infanzia ha comportato grandi difficoltà nel gestire le esigenze familiari parallelamente a quelle del lavoro. Si stima che questa problematica organizzativa abbia coinvolto, durante il lockdown, circa 2,9 milioni di nuclei famigliari14, con una ricaduta maggiore su quante si trovavano ad avere uno o addirittura entrambi i componenti adulti a lavorare fuori dalle mura domestiche.
In questo quadro, la pandemia ha messo in evidenza il valore del preesistente capitale economico, sociale, umano e culturale delle famiglie per fronteggiare più efficacemente la nuova condizione, ma anche il valore del mantenimento di contatti e relazioni con servizi di sostegno, che tuttavia – nonostante i molti sforzi messi in campo – non sempre e non dappertutto sono riusciti a garantire un sufficiente e continuativo sostegno alle famiglie nei loro compiti educativi15
Chi era già fragile, oggi lo è di più
Oltre alle dinamiche delineate fino a qui, che di fatto hanno coinvolto e messo alla prova la generalità delle famiglie, andando come si è visto a rafforzare disuguaglianze e divari già esistenti, un altro processo a cui stiamo tutt’ora assistendo riguarda l’aggravamento delle condizioni di vita di quei bambini, ragazzi e famiglie che già prima della pandemia vivevano in condizioni di particolari fragilità.
Si pensi, in particolare, a bambini e ragazzi con disabilità, che sono stati a lungo impossibilitati ad accedere alle terapie specialistiche, ai centri riabilitativi, a spazi di socialità, e alle loro famiglie che si sono trovate a moltiplicare gli sforzi di conciliazione a causa dell’aggravio dei compiti di cura. O ancora, ai bambini e ragazzi che si trovano fuori famiglia, in particolare in contesti comunitari, che tra le diverse criticità affrontate a causa della complessità organizzativa della gestione delle strutture residenziali, hanno visto (e vedono tutt’ora) fortemente limitate le proprie possibilità di incontrare in presenza i propri familiari16. Ma anche a tutti i bambini e ragazzi che hanno faticosamente tenuto i rapporti con i genitori a distanza: perché allontanati, detenuti o separati, o che vivono in nuclei familiari conflittuali, o in contesti caratterizzati da violenza verbale, fisica, psicologica, senza più la presenza di educatori domiciliari o la frequenza di centri diurni o di altri supporti educativi.
Proprio sul fronte del maltrattamento e della violenza a danni di minori il rapporto del gruppo CRC17 evidenzia come le “Le misure di contenimento abbiano esposto i minorenni a un maggiore rischio di violenza in un momento in cui, a causa della pandemia di Covid-19, si è avuto un rallentamento anche della capacità dei servizi di rispondere alle richieste.” Come anche evidenziato nell’articolo di Loi e Pesce recentemente pubblicato su Welforum.it, il periodo di lockdown ha visto un aumento significativo dei casi di violenza contro le donne, e il gruppo CRC ci ricorda che se nel 93.4% dei casi la violenza si consuma tra le mura domestiche, nel 64.1% si riportano anche casi di violenza assistita da parte di minori. Di fatto, la pandemia ha dunque amplificato le situazioni di rischio per molti bambini, soprattutto coloro che vivevano storie di trascuratezza e maltrattamenti o abuso, anche per “Il venir meno delle relazioni fra coetanei e con figure di riferimento adulte che è stato, per chi viveva condizioni di pericolo, una grande voragine di cui nessuno si è occupato18.”
Cosa serve?
Le riflessioni, gli articoli, i webinar e i ragionamenti di quanti in questi mesi si stanno occupando di mettere bambini e bambine, ragazzi e ragazze al centro del dibattito pubblico, sono unanimi. È necessario un piano di investimenti e di misure dedicati all’infanzia e all’adolescenza, finalizzato a superare l’attuale frammentazione dei servizi e delle politiche: ripensare i servizi per i minori e le loro famiglie con investimenti strutturali e di lungo periodo; costruire reti tra servizi sociali e servizi scolastici e educativi per contrastare il diffondersi della povertà educativa; sviluppare e ancora investire sull’integrazione socio-sanitaria, proprio oggi che crisi sociale e crisi sanitaria si sono mostrate così fortemente interrelate; costruire percorsi integrati e facilitati che non lascino sole le famiglie davanti alle fragilità.
Proprio questa mattina, in chiusura dell’articolo, è stata pubblicata la bozza del Recovery Plan per poter accedere ai finanziamenti del Fondo Next Generation dell’Unione Europea. Un’occasione che dovrebbe guardare davvero alle nuove generazioni e metterle al centro di un pensiero strategico per garantire a tutti pari opportunità di benessere e sviluppo. Ci sarà tempo per l’analisi e il dibattito, e certamente scuola, bambini e famiglie troveranno nel Piano una qualche opportunità di investimento a loro favore. Non illudiamoci però che per una situazione allarmante come quella descritta bastino risorse economiche (che poi, si sa, non bastano mai).
È necessaria una strategia di policy, una visione complessiva sul futuro, e la convinzione che per superare le disuguaglianze sia necessario prima di tutto partire dalla difesa e dalla tutela dei diritti. Cominciamo, anzi, ri-cominciamo dai LEP: non smettiamo di chiedere che vengano definiti i Livelli Essenziali delle Prestazioni per i minori, che costituiscano un riferimento a livello nazionale e siano accompagnati da precise indicazioni di attuazione, che ne assicurino l’esercizio, per superare i divari territoriali, garantire il rispetto dei diritti fondamentali e intervenire efficacemente per colmare divari e disuguaglianze nello sviluppo e nella crescita dei bambini e dei ragazzi.
- Unicef, Impact of Covid-19 on multidimensional child poverty, Settembre 2020.
- Istat, Povertà in Italia, Anno 2019.
- Per approfondimenti si veda su questo sito Mesini D., Più poveri e tanto più disuguali, ottobre 2020.
- Action Aid, La pandemia che affama l’Italia. Covid-19, povertà alimentare e diritto al cibo.
- Save the Children, Proteggiamo i bambini. Whatever it takes. L’impatto della pandemia sui bambini e sugli adolescenti in Italia e nel mondo, ottobre 2020.
- Save the Children, L’impatto del Coronavirus sulla povertà educativa, 2020.
- L’osservatorio #conibambini è un osservatorio sulla povertà educativa curato in collaborazione tra Con i Bambini – impresa sociale e Fondazione openpolis nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.
- Osservatorio povertà educativa #conibambini, Rapporto disuguaglianze digitali, 2020.
- Istat 2020, Spazi in casa e disponibilità di computer per bambini e ragazzi.
- Ibidem.
- Ipsos per Save the Children, I giovani al tempo del Coronavirus, gennaio 2021.
- Il tasso di abbandono scolastico in Italia è il quarto più alto dell’Unione Europea: 14.6% contro una media europea del 10.6% e un obiettivo comune da raggiungere fissato al 10% entro il 2020 (Eurostat, 2019).
- Università di Genova e Irccs Gaslini, Impatto psicologico e comportamentale sui bambini delle famiglie in Italia, giugno 2020.
- L’impatto della pandemia di Covid-19 su natalità e condizione delle nuove generazioni. Primo rapporto del Gruppo di esperti “Demografia e Covid-19”, Dipartimento per le politiche della famiglia in collaborazione con Istituto degli Innocenti, dicembre 2020.
- Per approfondimenti si veda Guidetti C., Bambini e ragazzi. Come garantire sostegno e protezione?, LombardiaSociale, 29 aprile 2020, e le relazioni presentate in occasione del seminario “Fragilità di bambini e adolescenti, solitudine delle famiglie. Quali risposte?”, all’interno della Children’s week organizzata da Vita e gruppo CRC nel mese di novembre 2020.
- Rete Agevolando, La vita nelle comunità e case- famiglia ai tempi del Covid-19.
- Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, 11° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, ottobre 2020.
- Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, 11° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, ottobre 2020, p.162.