La contrattazione sociale sindacale territoriale nel 2016


Beppe De Sario | 21 Dicembre 2017

La contrattazione sociale territoriale rappresenta una pratica importante nell’azione di rappresentanza generale esercitata dal sindacato, nelle sue articolazioni confederali e di categoria, per la difesa e la promozione dei diritti dei cittadini e dei lavoratori. Per quanto la contrattazione sociale si addensi tradizionalmente su alcuni “pilastri” (servizi e prestazioni sociali in senso ampio, fiscalità locale, politiche abitative, infanzia, anziani), l’analisi delle stagioni negoziali che hanno impegnato il sindacato negli anni recenti consente di registrare più ampie urgenze e criticità sociali, da una parte, insieme a nuovi orientamenti di policy delle amministrazioni locali, sia frutto delle proprie iniziative sia ispirate o in applicazione delle normative di settore.

 

In sostanza la contrattazione sociale è un dispositivo complesso, che solo in parte può essere ricondotto al sistema di relazioni industriali che si applica nella contrattazione collettiva. Questo richiamo suggerisce limiti e virtù della contrattazione sociale stessa: la possibilità di intercettare nuovi bisogni e nuovi processi sociali, la necessità di aggiornare competenze tecniche e negoziali per stare al passo dei cambiamenti (normativi, sociali, etc.), la spinta a ideare nuove forme di relazione e rappresentanza rivolte a cittadini e lavoratori con il coinvolgimento di ogni livello sindacale.

 

Questa è una premessa nient’affatto astratta, ma che può orientare la lettura di alcuni dati della contrattazione sociale 2016. Nell’anno passato si conferma, infatti, una crescente confederalità delle intese: la presenza, in forme unitarie, di Cgil Cisl Uil (circa 70% degli accordi) e Spi Fnp Uilp (75%) è il frutto di un incremento del coinvolgimento della confederazione e di un costante insediamento del sindacato dei pensionati.

 

Sul piano delle misure contrattate, il consolidamento di un’area composita della povertà – sottolineato nei preamboli degli accordi, con riferimenti locali che rendono concreta questa criticità, anche al di là nei valori statistici – impegna amministrazioni e sindacato nella ricerca di soluzioni innovative, anche in raccordo con le nuove misure nazionali (sperimentazione Sia, prossima attivazione del Rei). Le misure direttamente finalizzate al contrasto della povertà ricorrono quasi in un accordo su due (48% circa), con una composizione interna molto variegata: un terzo degli accordi prevedono contributi o trasferimenti economici; circa il 10% vede anche sostegni di base e la fornitura di beni di prima necessità, in misura quasi pari – e peraltro in crescita – a interventi più articolati di inclusione e promozione sociale. Osservata dal punto di vista dei beneficiari, le persone e famiglie in condizione di povertà sono presenti in circa il 75% degli accordi, con un abbinamento a misure più variegate di quelle “etichettate” negli accordi come iniziative anti-povertà. Difatti, anche il campo delle politiche abitative, quello fiscale e tributario, quello dell’inserimento lavorativo (per quanto in misura inferiore) possono offrire spunti di intervento a favore dei cittadini in difficoltà.

Significativo è il movimento delle tematiche relative alla Pubblica amministrazione, in particolare per quanto riguarda l’associazionismo comunale e i servizi associati (tema che nel 2016 raggiunge quasi un terzo degli accordi), insieme alla regolamentazione degli appalti pubblici rispetto agli aspetti di legalità, anticorruzione, ma anche di qualità dei servizi e tutela del lavoro. Questi temi incrociano gli aggiustamenti e le innovazioni che riguardano le amministrazioni pubbliche, sia attraverso l’adeguamento a sollecitazioni esterne (il nuovo codice degli appalti) sia mediante una filiera di accordi (con l’ente regione, l’Anci regionale, a livello di ambito territoriale e Unione di comuni) il cui recepimento a livello comunale mostra un esempio virtuoso del dialogo tra livelli di contrattazione sociale.

 

Vi sono poi i temi principali che rappresentano il cuore degli interventi, dei servizi e delle prestazioni che riguardano la cittadinanza. I servizi sociali, socio-sanitari e assistenziali recuperano peso, presenti in circa i due terzi degli accordi: in particolare i servizi residenziali, domiciliari e territoriali, assai sensibili per la componente anziana della popolazione. In linea generale vengono trattati (almeno a livello negoziale) limitati interventi qualitativi e sull’organizzazione dei servizi; mentre più diffusi risultano gli aggiustamenti della struttura tariffaria e delle rette, con un uso dell’Isee che va estendendosi nei servizi domiciliari e residenziali. Crescono anche i servizi legati ad accoglienza ed emergenza (circa il 13% degli accordi), incrociando i bisogni delle persone a rischio di povertà e degli immigrati.

 

La fiscalità locale è il secondo pilastro della contrattazione sociale, e si conferma largamente il campo tematico più trattato (quasi nel 90% degli accordi). Naturalmente, è il dettaglio delle misure a fare la differenza, anche nell’andamento da un anno all’altro: il 2016 vede l’introduzione o la regolazione dell’Isee in circa i due terzi degli accordi, sempre più connesso alla compartecipazione a un ampio spettro di servizi sia di livello comunale sia di ambito territoriale sociale. Ogni anno le modifiche normative incidono sulla contrattazione di area fiscale e tributaria (ad esempio nei passaggi recenti che hanno coinvolto Imu e Tasi), ma risultano anche interventi che orientano la leva fiscale e tributaria locale per intervenire con politiche perequative e di redistribuzione, per quanto limitate: ad esempio, il 2016 segna vasti interventi (intorno al 60% degli accordi) sulle tariffe dei servizi di igiene urbana (entro i quali emergono anche esperienze di differenziazione in base all’Isee, o fondi di restituzione) e sull’addizionale Irpef comunale (mediante soglie di esenzione mediamente intorno ai 10-15 mila euro e progressività delle aliquote).