Il Consiglio di Stato rinvia il CTS al giudizio della Corte costituzionale


Alceste Santuari | 24 Novembre 2020

Sebbene il Codice del Terzo settore abbia inteso ricondurre ad una definizione unitaria le tante formule giuridiche preesistenti alla riforma del 2016, esso ha comunque mantenuto una differenziazione tra le diverse tipologie soggettive (società di mutuo soccorso, enti filantropici, reti associative, ecc.), che corrispondono alle diverse sezioni del Registro unico nazionale del Terzo settore (Runts).

In particolare, la disciplina contenuta nel Codice del Terzo settore si propone di superare e di assorbire le precedenti normative settoriali, in specie quelle riguardanti le Organizzazioni di Volontariato (ODV), le Associazioni di Promozione Sociale (APS) e le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus).

 

Mentre ODV e APS, salvo diversa decisione da parte degli organi statutariamente competenti, trasmigreranno dagli attuali albi regionali speciali alle corrispondenti sezioni del Runts, le Onlus continueranno a “vivere di vita propria”, in conformità alle previsioni del d. lgs. n. 460/1997, che verrà formalmente abrogato a far data dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui oltre all’ormai prossima operatività del Runts si sarà verificata la seconda condizione prevista dalla norma e cioè l’autorizzazione da parte della Commissione europea di talune disposizioni fiscali contenute nel Codice del Terzo settore. La distinzione tra ODV, APS e Onlus è riconducibile al fatto che mentre le prime due sigle si riferiscono a fattispecie giuridiche soggettive, l’acronimo “Onlus” non identifica alcuna tipologia giuridica, bensì una qualificazione fiscale. Pertanto, il legislatore ha ritenuto fosse opportuno riconoscere agli organi di queste ultime la decisione in merito all’opzione circa l’ingresso nel Runts e in quale sezione dello stesso.

Fino all’approvazione del Codice del terzo settore, pertanto, ODV e Onlus erano considerate sullo stesso piano: giova al riguardo rammentare che, unitamente alle cooperative sociali, le ODV erano considerate Onlus “di diritto”. Da ciò discendeva una sostanziale parificazione delle due denominazioni per quanto riguardava, inter alia, i finanziamenti a favore delle organizzazioni in parola per gli acquisti di beni strumentali allo svolgimento della loro attività (es. autoambulanze). Sul punto, invece, il combinato disposto dell’art. 73 e 76 del Codice del Terzo settore stabilisce che uno o più atti di indirizzo del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali individuano le risorse che sono destinate a sostenere l’attività di interesse generale delle organizzazioni di volontariato attraverso l’erogazione di contributi per l’acquisto, da parte delle medesime, di autoambulanze, autoveicoli per attività sanitarie e di beni strumentali, utilizzati direttamente ed esclusivamente per attività di interesse generale, che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diverse utilizzazioni senza radicali trasformazioni.

 

Il tenore letterale della disposizione contenuta nell’art. 76 non sembra lasciare spazio ad interpretazioni diverse da quella che riserva i contributi di cui sopra soltanto a favore delle ODV e non di altre tipologie giuridiche non profit. Deporrebbe a favore di questo reasoning l’ultima parte del periodo di cui al comma 1 dell’art. 76, che riconosce in capo alle sole fondazioni la possibilità di ottenere contributi per l’acquisto dei beni in oggetto, i quali tuttavia devono essere oggetto di successiva donazione a favore delle strutture sanitarie pubbliche.

Nel contesto sopra brevemente descritto, una fondazione Onlus che si occupa di trasporto sanitario e che fino all’entrata in vigore della Riforma del Terzo settore beneficiava, in quanto Onlus, dei contributi di cui sopra si è detto, ha presentato ricorso contro:

  1. il decreto 16 novembre 2017 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, recante “Modalità per l’attuazione del contributo per l’acquisto di autoambulanze, autoveicoli per attività sanitarie e beni strumentali da parte di organizzazioni di volontariato”;
  2. le linee guida adottate dal Direttore generale del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali per l’anno 2017 per la presentazione delle domande per l’erogazione di contributi in favore di organizzazioni di volontariato per l’acquisto di quanto sopra indicato.

 

Il Tar del Lazio (sezione III), con la sentenza n. 07114/2019, ha accolto solo parzialmente il ricorso presentato, annullando le linee guida e una nota del 29 dicembre 2017, nella parte in cui esse stabilivano che anche gli acquisti effettuati nell’anno 2017 erano esclusi dal contributo. Per il resto, rigettando le pretese di incostituzionalità dell’art. 76 sottolineate dalla fondazione ricorrente, il Tar ha confermato la legittimità dell’esclusione di soggetti diversi dalle ODV, atteso che l’articolo in parola solo a quella tipologia giuridica fa riferimento per quanto attiene la concessione dei contributi in parola e che il Codice del terzo settore “tiene luogo” della precedente normativa in materia di Onlus che, pertanto, deve considerarsi superata.

Giova precisare che la fondazione ricorrente ha presentato altresì una questione di legittimità comunitaria, in considerazione del fatto che a suo giudizio l’art. 76 contrasterebbe con i principi europei in materia di concorrenza. Tema, questo, sul quale il Tar non si è pronunciato.

La fondazione ha presentato appello al Consiglio di Stato per la riforma della sentenza di primo grado, condividendo che l’art. 76 non poteva non riconoscere le agevolazioni alle sole ODV, ma ritenendo la previsione contenuta nell’articolo medesimo in contrasto con alcuni precetti costituzionali (tra gli altri, artt. 2, 3, 41, 97 e 118), soprattutto nella logica di differenziare tra situazioni soggettive sostanzialmente identiche, con i principi generali di cui al Codice del terzo settore, nonché con gli artt. 101 e 107 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea.

 

Il Consiglio di Stato, sez. III, con ordinanza del 9 novembre 2020, n. 6908, ha ritenuto legittimo l’appello presentato dalla fondazione, in particolare nella parte relativa alla dedotta presunta illegittimità costituzionale della previsione contenuta nell’art. 76 del Codice del terzo settore. I giudici di Palazzo Spada, tralasciando le questioni vertenti sulla presunta incompatibilità del medesimo articolo con i principi comunitari, hanno sinteticamente ricostruito gli aspetti salienti della riforma del terzo settore, evidenziando, nello specifico, che l’art. 4 del Codice del Terzo settore individua una definizione unitaria di Enti del Terzo settore, che supera e sostituisce le discipline di settore precedentemente in vigore, anche allo scopo di razionalizzare le misure di sostegno alle loro attività. In questa prospettiva, il Consiglio di Stato ha ribadito che il legislatore può individuare “i soggetti ritenuti meritevoli di determinate provvidenze economiche, orientate a realizzare le finalità di utilità sociale di volta in volta prese di mira”. Come ricordato dagli stessi giudici amministrativi, la Corte costituzionale ha più volte affermato questo principio, che tuttavia deve svolgersi senza oltrepassare i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, secondo il parametro dell’art. 3 della Costituzione.

Sul punto, si richiama la pronuncia del 30 dicembre 2019, n. 277, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, di una disposizione regionale della Basilicata che limitava alle sole ODV la legittimazione a essere parti di accordi di collaborazione e la facoltà di concorrere all’erogazione di servizi in materia di tutela degli animali.

Con la sentenza del 20 febbraio 2020, n. 27 la Corte ha invece ritenuto non contrastante con l’art. 3 della Costituzione un’altra legge della Regione Basilicata, laddove ha individuato nelle ODV e APS quali “associazioni con certificata esperienza” per operare in appositi programmi finalizzati alla prevenzione e al contrasto del bullismo e del cyberbullismo.

 

Il Consiglio di Stato ha altresì ribadito il legislatore debba rispettare il principio di non discriminazione, secondo il quale una differenziazione tra soggetti nell’erogazione di contributi pubblici risulta legittimata quando è possibile tracciare una correlazione tra la condizione cui è subordinata l’attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio. In questa prospettiva, i giudici amministrativi hanno evidenziato che l’art. 76 ha alterato in “modo sostanziale la precedente disciplina in materia di agevolazione per l’acquisto di autoambulanze” e che non sembra pienamente rispettoso del canone della ragionevolezza.

In particolare, il Consiglio di Stato ha censurato due profili sostenuti dal Tar nella sentenza di primo grado. Il primo profilo riguarda la sostanziale parificazione tra ODV e fondazioni, sia per quanto attiene alla presenza dei volontari sia per quanto riguarda la possibilità per le prime, nello specifico, di assumere personale dipendente. La presenza di volontari nelle ODV deve considerarsi neutra rispetto all’acquisto delle autoambulanze, mentre potrebbe giustificare “senz’altro discipline differenziate” per quanto attiene ad altri aspetti, quali agevolazioni previdenziali, assicurative e retributive.

Il secondo profilo attiene agli interventi della P.A. sul funzionamento interno delle fondazioni che secondo il giudice di primo grado giustificherebbero un diverso trattamento delle medesime rispetto alle ODV (rectius: l’esclusione). Al riguardo, il Consiglio di Stato ha notato che, da un lato, l’art. 76 definisce il proprio campo di azione escludendo non soltanto le fondazioni, ma tutti i soggetti del terzo settore aventi diversa forma giuridica e, dall’altro, non si comprende il collegamento tra il regime dei controlli e della vigilanza sulle fondazioni e l’esclusione delle stesse dal beneficio per l’acquisto di ambulanze. Sul punto, infatti, giova ricordare che non soltanto la P.A. esercita gli stessi poteri di verifica, supervisione e controllo su tutte gli ETS (e non) che abbiano ottenuto la personalità giuridica. In conformità delle previsioni contenute nel CTS, tuttavia, anche per tutti gli ETS (siano essi sprovvisti ovvero abbiano ottenuto la personalità giuridica di diritto privato secondo le diverse modalità previste dal CTS e dal dpr 361 del 2000) è previsto un preciso set di controlli da parte dell’Ufficio del Runts.

 

Alla luce di quanto sopra riportato, la Sezione del Consiglio di Stato ha rinviato alla Corte costituzionale l’art. 76 del Codice del Terzo settore, ritenendo che la scelta del legislatore di accordare una preferenza alle sole ODV non risulti suffragata da specifiche ragioni. Anche la fondazione Onlus ha dimostrato di perseguire i medesimi obiettivi e le stesse finalità delle ODV e, pertanto, non è comprensibile la sua esclusione dai contributi per l’acquisto di ambulanze.

A ciò si aggiunga che il Consiglio di Stato ha dubitato anche della coerenza dell’art. 76 con i principi contenuti nell’art. 4, lett. b) della legge delega n. 106 del 2016, che individua nelle “attività di interesse generale” e non nelle singole soggettiva giuridiche il criterio direttivo per accedere alle agevolazioni previsti dalla normativa. Il principio di cui all’art. 4 viene ritenuto dal Consiglio di Stato “espressivo del principio generale inteso ad accentuare l’unitarietà della disciplina di favore prevista per i diversi enti”. L’art. 4 richiama espressamente anche il decreto legislativo in materia di Onlus, in quanto contemplava le agevolazioni per l’acquisto di ambulanze. Ne discende – secondo il giudizio del Consiglio di Stato – che il Codice del terzo settore non avrebbe dovuto prevedere la “radicale e generalizzata esclusione dal contributo di intere categorie di enti quali le Onlus”.

In ultima analisi, pertanto, con l’ordinanza de qua il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, d. lgs. n. 117/2017.

 

Del reasoning dei giudici di Palazzo Spada, a parere di chi scrive, appare di particolare rilievo la mancata coerenza tra l’art. 76 del Codice del Terzo settore e l’art. 4 della legge delega del 2016. Al riguardo, giova evidenziare che, sebbene il Runts mantenga diverse sezioni quante sono le tipologie giuridiche di natura soggettiva in cui gli ETS possono esprimersi, questi ultimi tendono a rappresentare una categoria unitaria di soggetti non lucrativi, peraltro caratterizzati da elementi comuni. Tra questi, indubbiamente, deve registrarsi la presenza di volontari in tutte le categorie di ETS e la piena legittimità riconosciuta in capo alle ODV di avvalersi di personale retribuito. Per quanto riguarda la presenza dei volontari, il Codice del Terzo settore innova la previgente disciplina relativa alle ODV e alle APS, in quanto soltanto ad esse era riservavo coinvolgere i volontari, mentre tale possibilità rimaneva esclusa per gli altri enti non lucrativi, tra cui le fondazioni. In ordine al personale retribuito, deve precisarsi che già la legge n. 266/91 e la l. 383/2000 prevedevano questa possibilità, rispettivamente, per le ODV e le APS. Tuttavia, era una possibilità residua: il personale retribuito a vario titolo doveva comunque risultare marginale in quanto ad esso si poteva ricorrere soltanto in casi particolari ovvero in caso di necessità. Al contrario, il Codice del Terzo settore ha operato una netta scelta di campo, che potremmo definire valorizzatrice della natura imprenditoriale delle organizzazioni non profit, ossia stabilisce che il numero del personale retribuito non può essere superiore ai volontari, i quali – ricordiamolo – possono operare in tutte le forme di ETS. Da ciò discende il superamento del carattere ontologico delle ODV: il volontariato assume una posizione trasversale a tutti gli ETS. Per questo motivo, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il sistema delle agevolazioni statali non può essere (più) soltanto correlato all’assenza di una dimensione economico-produttiva, espressa dalla presenza maggioritaria ovvero totalitaria di volontari nelle organizzazioni non profit. Infatti, come ha evidenziato la fondazione appellante, alla luce delle previsioni del Codice del Terzo settore, “potrebbero riscontrarsi ODV con un elevato numero di lavoratori dipendenti e Onlus con numerosi volontari, fino all’ipotesi limite, di ODV e Onlus con l’identica struttura organizzativa costituita da metà lavoratori dipendenti e metà operatori volontari”.

 

L’ordinanza in commento evidenzia come il Codice del Terzo settore abbia legittimamente e in modo condivisibile inteso promuovere la “biodiversità” soggettiva delle organizzazioni non profit: detta differenziazione, tuttavia, non può tradursi in un diverso trattamento tra soggettività similari, soprattutto alla luce del principio direttivo dell’art. 4 della legge n. 106/2016. Quest’ultimo, è possibile sostenere, nell’ambito di una riforma che ha voluto valorizzare le finalità civiche, solidaristiche, mutualistiche e di utilità sociale degli ETS, rappresenta il pilastro portante dell’intera riforma, poiché individua il discrimen tra ciò che è ETS e ciò che non lo è, segnatamente, l’attività di interesse generale di cui all’art. 5 del d. lgs. n. 117/2017. A ciò si deve aggiungere che, per quanto riguarda il ricorso in parola, l’esclusione delle Onlus dall’accesso ai contributi per l’acquisto di ambulanze, sembra oggettivamente difficile da comprendere, se si pone mente al fatto che proprio le Onlus (e non le ODV o le APS) sono destinate a continuare la loro attività con quella qualifica fiscale (che significa anche civilistica) oltre l’attivazione del Runts.