Cos’è il Foia
La pandemia ha mostrato quanto le nostre società dipendano da dati e informazioni per prendere decisioni. È così diventata evidente l’importanza della loro diffusione. Solo un accesso libero ai dati consente ai cittadini di poter valutare con consapevolezza le politiche pubbliche. In estrema sintesi, la circolazione delle informazioni è la premessa per una società democratica funzionante.
È su questo principio che negli ultimi anni il diritto di accesso alle informazioni pubbliche si è affermato in molti paesi, con forme e modalità diverse. Capofila di queste esperienze è stato il Freedom of information act statunitense, legge che consente di richiedere alla pubblica amministrazione dati e informazioni di cui è in possesso ma che non ha ancora reso pubbliche. Introdotta negli anni ’60, è stata successivamente adattata all’evoluzione tecnologica: è degli anni ’90 l’estensione ai documenti elettronici.
L’Italia è arrivata solo di recente al concetto alla base del Foia, ovvero garantire a chiunque la possibilità di accedere alle informazioni in possesso della Pa senza dover dimostrare un interesse specifico o motivare la richiesta. Nei primi anni ’90 venne introdotto il diritto di accesso documentale (l. 241/1990), ma questo consente la richiesta solo a chi ha un “interesse concreto, attuale e diretto” rispetto al contenuto degli atti. Ad esempio un’azienda che chiede di vedere la documentazione relativa alla gara d’appalto in cui ha partecipato. È invece del 2013 (dlgs 33/2013) l’accesso civico semplice. Tale norma ha stabilito una serie di informazioni che ogni Pa deve pubblicare tassativamente sul proprio sito, nella sezione amministrazione trasparente; l’accesso civico semplice consente al cittadino di richiedere il rispetto di questi obblighi di pubblicazione.
La svolta è avvenuta nel 2016, con l’introduzione del diritto di accesso generalizzato (meglio noto come Foia). Il dlgs 97/2016 consente infatti a chiunque di richiedere alla pubblica amministrazione dati, documenti e informazioni già esistenti (ulteriori rispetto a quelli per cui vige un obbligo di pubblicazione), senza dover dimostrare l’esistenza di un interesse attuale e concreto né di motivare la richiesta.
Uno strumento che ha bisogno di attecchire
Si tratta di quindi di uno strumento totalmente nuovo per il nostro ordinamento, a cui servirà del tempo per attecchire. Una previsione del genere rappresenta infatti un cambio di paradigma per l’amministrazione pubblica italiana e, nello specifico, per gli uffici destinatari delle domande di Foia.
Finora il processo di adattamento non è stato esente da contraddizioni. Nella pratica è emerso come siano ancora frequenti interpretazioni restrittive sulla portata dell’istituto, che si traducono in un suo depotenziamento. A questa tendenza ha sopperito la giurisprudenza amministrativa, che con una serie di sentenze – da noi raccolte e commentate in un manuale ad hoc, aggiornato mensilmente – ha ribadito le prerogative del richiedente e chiarito meglio i contorni delle norme.
La giurisprudenza è quindi il primo riferimento necessario per comprendere la progressiva affermazione del Foia nel nostro ordinamento. Allo stesso tempo, però, le sentenze tendono a far emergere soprattutto i casi “patologici”, quelli in cui la relazione tra richiedente e Pa raggiunge una conflittualità tale da configurare un ricorso amministrativo.
Perciò è importante anche analizzare le prassi seguite dalle amministrazioni. Sono queste a dirci in concreto come le norme vengano effettivamente calate nella realtà quotidiana. Il punto di partenza è l’analisi dei registri degli accessi, ovvero registri in cui ogni Pa elenca le richieste ricevute.
Quante amministrazioni pubblicano i registri
Per comprendere come viene attuato il Foia dobbiamo capire quante richieste vengono processate, che risposte ricevono e con quali tempi. La premessa per ricostruirlo è un registro degli accessi ben compilato e aggiornato, come raccomandato dalle linee guida di Anac e da due circolari del ministro della Pa (2/2017 e 1/2019)
Quante più informazioni sono presenti nel registro, maggiore è la possibilità di capire come sta reagendo ogni amministrazione al nuovo istituto. Informazioni minime, ovviamente, sono quelle che indicano l’esito della richiesta, la data di presentazione e di risposta. Nei casi più virtuosi sono inseriti anche dati ulteriori, come la tipologia di richiedente (per capire se il Foia arriva da un cittadino, un giornalista, un’associazione etc.) e l’esito delle richieste di riesame o dei ricorsi.
Considerando il governo nazionale, gli enti territoriali, le agenzie e le autorità indipendenti, in media oltre 8 amministrazioni su 10 pubblicano un proprio registro. La pubblicazione è più frequente per ministeri e regioni e meno ricorrente negli altri comparti esaminati.
Tra i ministeri, il Miur non ha ancora pubblicato il registro, mentre quello del ministero dell’interno è in costruzione. Tra le regioni l’unica a non aver ancora pubblicato è il Molise, mentre tra i capoluoghi regionali non lo pubblicano Trento, Bolzano e Palermo.
Il 69,2% delle autorità indipendenti pubblicano il proprio registro degli accessi.
Le 3 agenzie per cui il registro non è reperibile sono quella per la cooperazione, quella per le erogazioni in agricoltura(Agea) e l’agenzia nazionale turismo (Ait). L’Ait pubblica il registro per l’accesso documentale (previsto dalla legge 241/1990) ma non quello per gli accessi Foia. Sono 4 le autorità garanti che non hanno istituito il registro. Si tratta degli istituti di vigilanza sui fondi pensione (Covip) e sulle assicurazioni (Ivass), dei garanti di infanzia e privacy.
I formati di pubblicazione
Un altro aspetto essenziale sono i formati di pubblicazione dei registri. Se le informazioni sono pubblicate in open data sono più facili da consultare e analizzare. Solo questo rende possibile valutare in modo sistematico la concreta attuazione del Foia.
Le regioni italiane prevalgono anche nella pubblicazione in formati tabellari, come xls, ods e csv. In 13 casi rilasciano i dati in un formato già pensato per un riutilizzo. Solo 6 pubblicano i dati esclusivamente in pdf. Anche tra i ministeri questa consapevolezza è abbastanza diffusa, la metà pubblica i dati in xls o ods.
Per gli altri enti invece invece è molto più frequente la pubblicazione in pdf, un formato spesso non agevole da riportare in open data. Tra i comuni capoluogo sfiora il 48% delle amministrazioni, il 46% tra le autorità indipendenti. Mentre è più contenuto tra le agenzie nazionali (39%).
Quante richieste arrivano alle diverse Pa
Preso atto che ancora tante amministrazioni non pubblicano il registro (13 tra quelle considerate) e ancora di più sono quelle che lo fanno in formati non elaborabili, per tutte le altre possiamo iniziare a verificare alcuni dati.
In primo luogo: qual è la mole di richieste Foia ricevute nel triennio 2017-19? Sono quasi 7.000 le richieste arrivate alle amministrazioni prese in esame: poco meno di duemila richieste ciascuno a ministeri, regioni e ai comuni considerati (un campione composto dalle città maggiori che pubblicano i dati, ovvero Roma, Milano, Napoli, Torino, Firenze, Bari).
Pur con tutte le cautele (come descritto in nota i dati non sono disponibili per tutte le Pa allo stesso modo, e anche quelle che pubblicano il registro non sempre pubblicano tutti gli anni) emerge una tendenza molto interessante. I soggetti principali delle richieste sono le istituzioni con un ruolo più politico: il governo nazionale, con i suoi ministeri, ha certamente un ruolo predominante. Perciò è l’istituzione cui i cittadini rivolgono più spesso le proprie richieste Foia.
Il 27% delle richieste Foia censite sono arrivate a ministeri/presidenza del consiglio.
Nel governo, è la presidenza del consiglio a ricevere più Foia: 574 nel triennio. Il secondo è il ministero della cultura, con 229 richieste, seguito da sviluppo economico (221) e difesa (202). Tutti gli altri ministeri per cui il dato è disponibile hanno ricevuto meno di 200 richieste Foia ciascuno.
Lo strumento è di largo uso anche verso regioni e province autonome, con 1.810 richieste nel triennio. La Campania è la prima destinataria (414 richieste), seguita da Lombardia (229) e Piemonte (157 domande solo nel periodo tra 2017 e 2018). Il dato sulle 6 città maggiori, con 1.780 Foia totali, segnala come il comune sia il primo punto di riferimento per il cittadino nell’interlocuzione con la Pa. Con profonde differenze interne però, che indicano che lo strumento Foia è attecchito in modo diverso nel paese.
Roma, con 992 domande nel triennio, spicca come il comune più spesso destinatario di richieste Foia. Anche Milano e Napoli, con rispettivamente 394 e 193 richieste, risultano spesso destinatari di Foia. Al contrario, Bari ha ricevuto solo 10 richieste nel triennio.
Soggetti amministrativi: le richieste si concentrano su pochi enti.
Inferiore, ma comunque significativo, il ricorso al Foia verso enti puramente amministrativi, come le agenzie nazionali. Queste hanno ricevuto 1.207 richieste. In massima parte indirizzate all’agenzia dell’entrate (615) e a quella delle dogane (540). Numeri che, presi singolarmente, superano quelli di ministeri e regioni. Più residuale il ricorso verso altre agenzie: 33 richieste all’agenzia dei beni confiscati alla criminalità, 17 a quella per l’Italia digitale, solo una a quella per la coesione territoriale. Poche richieste alle autorità indipendenti: Anac è la più esposta (61 nel triennio), seguita dall’Agcm (37 domande), dall’Anvur (33) e dalla Banca d’Italia (30).
Gli esiti delle richieste
Isolando i 4 comparti della Pa che ricevono più Foia, come sono andate le domande?
L’esito prevalente è positivo: in 2/3 dei casi la richiesta viene accolta pienamente, con un rilascio di tutte le informazioni richieste. A queste si aggiunge un ulteriore 12,7% di accoglimenti parziali. I dinieghi completi rappresentano un altro 13% dei casi.
Quasi una richiesta su 10 segue un percorso ancora diverso, che abbiamo classificato alla voce “altro”. Sono i casi in cui il cittadino scrive all’amministrazione sbagliata, e questa la reindirizza verso un’altra (molto frequente a livello ministeriale). Oppure richieste formulate come Foia che in realtà sono accessi documentali, e come tali saranno trattati dall’amministrazione (un caso ricorrente nelle domande rivolte alle agenzie, in particolare quella delle entrate).
86% delle richieste a comuni e regioni sono accolte totalmente.
I 2 livelli più vicini al cittadino, quelli il cui vertice è espressione di un diretto mandato elettivo, danno più spesso risposte positive. L’85,3% delle richieste Foia rivolte alle regioni è stato accolto pienamente, e il 3,8% parzialmente. Tra le città campione, la quota sale rispettivamente all’86,5% e al 4,7%.
A livello governativo, la quota di richieste totalmente accolte scende al 51,3% (64% se si escludono quelle reindirizzate o riqualificate). Tra le agenzie nazionali, viene accolto completamente solo il 20% dei Foia; qui prevalgono i parzialmente accolti (quasi 1 richiesta su 2, il 47%).
I tempi di risposta
Sui tempi, il primo riferimento è alla norma che ha introdotto il Foia nel nostro paese. Il decreto legislativo 97/2016 prescrive una scadenza di 30 giorni, salvo termini più ampi in caso di presenza di controinteressati e di parere del garante della privacy.
Il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza (…)
In media, tutte le amministrazioni che hanno ricevuto più Foia tendono a rispettare tali scadenze. Nessuna, sempre stando ai dati medi, supera i 30 giorni. A livello ministeriale, servono circa 25 giorni (un dato in sensibile crescita rispetto ai 23 del 2018). Migliorano le regioni, dai 27,2 giorni del 2018 ai 22,6 del 2019. Le città campione nel periodo considerato sono rimaste stabili (circa 25 giorni). Con 19,5 giorni nel 2018 e 16,1 nel 2019, le agenzie sono l’unico comparto a stare sotto i 20 giorni.
Medie che comunque celano una forte variabilità. Tra le regioni ad esempio, nel 2019, si va dai 46 giorni medi della Basilicata ai meno di 20 di Toscana, Friuli, Abruzzo, Liguria, Campania, Val d’Aosta e Calabria. E anche lo stesso dato medio lucano del 2019 è innalzato da una sola richiesta sulle 12 ricevute quell’anno.
Considerazioni finali
In sintesi, regioni e ministeri sono le istituzioni che pubblicano più spesso i registri degli accessi, la premessa per poter svolgere analisi sul Foia. Enti amministrativi, come agenzie e autorità, sembrano meno solleciti su questa raccomandazione di Anac e del ministro della Pa.
Anche tra chi pubblica, comunque, restano forti differenze nei formati e nelle informazioni pubblicate. In questo senso, sarebbe opportuno un adeguamento alla circolare n. 1/2019 del ministro Bongiorno, che definisce uno standard comune per quanto riguarda sia i dati da pubblicare che il supporto informatico. In modo da consentire un monitoraggio efficace e costante.
Finché non sarà adottato uno standard comune, l’analisi dell’impatto del Foia sul nostro ordinamento non potrà che essere parziale. Ma i dati elaborati suggeriscono alcune tendenze. Primo, si tratta di uno strumento di grande potenzialità già molto utilizzato per ministeri e regioni, oltre ad alcune città maggiori e per alcune agenzie fiscali (su tutte quelle di entrate e dogane). Secondo, l’esito è più favorevole nei livelli di governo più vicini al cittadino, regioni e comuni. Mentre sono più frequenti rigetti e accoglimenti parziali tra i ministeri e le agenzie. Terzo, i tempi di risposta sono fortemente variabili, ma complessivamente la Pa italiana mostra di riuscire a stare entro i 30 giorni prescritti dalla legge.
Tutti questi dati fanno riferimento ad una fase precedente a quella che stiamo vivendo, non ancora segnata dall’emergenza Covid. Un dramma che ha anche aumentato la consapevolezza sull’importanza dei dati nei processi decisionali. Sarà interessante capire, nelle analisi dei prossimi mesi, se questa consapevolezza si sarà tradotta in un maggior ricorso al Foia.