Introduzione di un salario minimo in Italia
Direttiva Europea e possibili scenari
Beini CaiPaolo Naticchioni | 15 Aprile 2021
La proposta di direttiva sul salario minimo adeguato è stata presentata il 28 ottobre dello scorso anno, inserendosi nelle iniziative previste nell’ambito del “pilastro europeo dei diritti sociali”. Tra le motivazioni che giustificano la proposta c’è sicuramente la volontà dell’Unione Europea di garantire un salario che permetta una vita dignitosa ai lavoratori, nonché il contrasto di fenomeni come il dumping salariali e la promozione della parità di genere. Allo stato attuale, il salario minimo viene deciso dalla contrattazione collettiva in sei paesi dell’unione, mentre nei restanti è previsto dalle norme di legge. Tuttavia, molti lavoratori dell’unione non beneficiano di questa tutela al momento, ed inoltre, spesso il livello minimo previsto non è adeguato a garantire uno stile di vita dignitoso. Come criteri oggettivi di valutazione vengono utilizzati degli standard internazionali, che fissano il livello di adeguatezza minimo pari al 60% del salario mediano lordo o al 50% del salario medio lordo. Tuttavia, la direttiva non dà indicazioni dirette sul metodo di quantificazione del salario, ma lascia i singoli stati liberi di determinarne il valore, tenendo conto delle proprie condizioni socioeconomiche.
Incidenza di lavoratori coinvolti da una possibile introduzione del salario minimo sul mercato del lavoro italiano
Al fine di calcolare i due parametri di adeguatezza citati dalla direttiva, sono state considerate per l’Italia le retribuzioni dell’universo dei lavoratori full time a tempo determinato, appartenenti al settore privato extra-agricolo per l’anno 2019. Tali dati hanno permesso di determinare che il 50% del salario medio orario ammonta ad € 10.59, mentre il 60% del salario mediano ammonta ad €7.65. Queste stime sono coerenti con le proposte di valori del salario minimo di legge che si aggirano intorno ai €8-€9. Per valutare l’impatto dell’imposizione di un salario minimo, si considerano tre livelli ipotetici di salario minimo orario: €8, €8.50 e €9. Inoltre, si prenderanno in considerazione tre categorie di lavoratori: lavoratori dipendenti del settore privato, lavoratori agricoli e lavoratori domestici. Inoltre, il salario minimo potrà essere definito dal punto di vista legislativo in vari modi, ed al momento non vi è chiarezza al riguardo nel dibattito mediatico e politico. Nel presente testo consideriamo tre possibili diverse definizioni: a) salario minimo riferito agli importi lordi percepiti dal lavoratore senza considerare altre voci addizionali; b) salario minimo che include le mensilità supplementari (tredicesima e quattordicesima); c) salario minimo comprensivo di mensilità supplementari e anche il TFR. Come logico attendersi, al variare del valore e della definizione di salario minimo, la quota di lavoratori coinvolti varia sensibilmente. Ciò accade perché nell’intervallo tra €8 e €9 di salario orario è compresa una percentuale significativa di lavoratori. Considerando le tre diverse categorie, si nota che in qualunque configurazione livello/definizione di salario minimo, la quota di lavoratori su cui inciderebbe la normativa è sempre inferiore per i dipendenti privati, seguiti dagli operai agricoli, mentre la normativa colpirebbe in ogni caso maggiormente i lavoratori domestici. Questi ultimi, infatti, passano da un’incidenza del 90,2% nel caso più stringente (€9 orari senza mensilità supplementari), a un’incidenza del 45% (€8 orari comprensivi di mensilità supplementari e TFR). Questa evidenza porta alla conclusione che molto probabilmente per il lavoro domestico è necessario considerare dei parametri diversi rispetto a quelli utilizzati per gli altri lavoratori.
Tabella – Incidenza di lavoratori sotto soglia, al variare dell’importo e della definizione Fonte: Relazione per l’audizione informale del Presidente INPS, Prof. Pasquale Tridico presso la XIV Commissione Politiche dell’Unione europea del Senato della Repubblica
Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti si osserva una marca variabilità dell’incidenza al variare dell’importo e della definizione. Partendo dal caso dei €9 orari senza mensilità supplementari con una incidenza del 26,2%, se si passa a €8,50 l’incidenza diminuisce al 20,1%, e infine si arriva a un’incidenza del 13,8% per una soglia di €8. La variabilità che si osserva all’applicazione di diverse definizioni di salario minimo invece, va dal 26,2% degli importi lordi senza altre voci al 14,8% nel caso in cui si considerino per lo stesso importo anche mensilità supplementari, fino al 9,7% se si considerano mensilità supplementari e anche il TFR. Si può concludere che la definizione di salario minimo gioca un ruolo più saliente dell’importo dello stesso.
Salario minimo: L’Italia nel contesto Europeo
Facendo un confronto sul grado di incidenza del salario minimo tra l’attuale a situazione europea e l’ipotetica situazione italiana a seguito di una possibile introduzione del salario minimo, secondo un recente contributo di Garnero e Giupponi (2020), la posizione del caso italiano inerente la percentuale di lavoratori sul quale la norma ha effetti rispetto alle posizioni di altri stati europei, cambia di molto al variare dell’importo, ma soprattutto al variare della definizione. Se si considera il caso di €8 con mensilità aggiuntive si avrebbe un tasso di copertura (4,7%) più basso rispetto alla media europea, mentre con €8 includendo mensilità aggiuntive si arriverebbe ad un’incidenza (13,8%) inferiore solo a tre altri stati dell’Unione (Slovenia, Romania e Germania). Analogamente, se si considera il caso di €9 con mensilità aggiuntive e TFR e si passa al caso di €9 senza componenti addizionali, il tasso di incidenza passa dal 14,8% al 25%, rendendo l’Italia il paese dove l’introduzione del salario minimo coinvolgerebbe il numero più elevato di lavoratori in Europa.
Differenze retributive per le imprese a seguito di una introduzione del salario minimo
Oltre alla quota dei lavoratori coinvolti, si può analizzare anche la differenza nel monte salari che si registrerebbe in caso di implementazione di diverse configurazioni livello/definizione di salario medio. Partendo dal caso che coinvolgerebbe più lavoratori (€9 senza mensilità aggiuntive e TFR), considerando i lavoratori dipendenti, si avrebbe una differenza retributiva di 6,38 miliardi di euro. Passando al caso che invece ne coinvolgerebbe di meno (€8 con mensilità aggiuntive e TFR), la differenza retributiva sarebbe solo di 357 milioni di euro. Da questo dato si evince che le quote di lavoratori coinvolti e le differenze retributive non abbiano un andamento proporzionale: il rapporto tra la quota massima e la quota minima è 5:1, mentre il rapporto tra le differenze retributive massime e quella minime è 13:1. Per quanto concerne le differenze contributive per i lavoratori agricoli, si passa da 235 milioni di euro a 15 milioni di euro. Anche in questo caso, le quote di lavoratori coinvolti e le differenze retributive non hanno un andamento proporzionale: il rapporto tra la quota massima e la quota minima è di 7:1, mentre il rapporto tra la differenza massima e quella minima è di 16:1.
Eterogeneità dell’incidenza: settore, macroregione, età, genere
Ai fini dell’analisi che segue, si è considerata un’unica soglia, considerata intermedia e plausibile, ossia un valore di €9 che include le mensilità aggiuntive come la tredicesima e/o la quattordicesima. Questa configurazione corrisponde ad € 8,31 lordi di retribuzione oraria per i lavoratori che percepiscono la tredicesima e ad €7,71 per lavoratori che percepiscono anche la quattordicesima. Per quanto riguarda la suddivisione settoriale, considerando i codici Ateco 2007 dei singoli lavoratori, si registra una variabilità molto ampia, che parte dall’1,8% del settore “finanza e assicurazione” e dal 4,4% del settore “informazione e comunicazione”, al 24,3% per il settore “alloggio e ristorazione” e al 35,5% per “altre attività” del settore servizi. L’impatto dell’introduzione di questa norma avrà quindi ripercussioni che saranno molto eterogenee tra i diversi settori. Considerando invece la suddivisione tra le macroregioni, per quanto concerne i lavoratori dipendenti, l’incidenza in termini percentuali dei lavoratori coinvolti è più alta al sud e nelle isole (17,5%), rispetto al centro (16,7%) e al nord (13,1%). Per quanto riguarda invece le differenze retributive, esse sono maggiori al nord (1,14 miliardi), rispetto al centro (672 milioni) e al sud e isole (699 milioni). Sebbene l’incidenza in termini di quota sia leggermente superiore al sud, l’incidenza in termini di differenze retributive è molto più focalizzata al nord. Ciò accade perché il numero totale di lavoratori è molto più alto in quest’ultima macroregione. Lo stesso trend si osserva anche per gli operai agricoli e i lavoratori domestici, con incidenze in termini di quota più alte per il sud, ma con un differenziale retributivo più alto al nord. Per quanto riguarda le variabili demografiche, l’introduzione di un salario minimo incide più sulle donne che sugli uomini. Questo risultato non varia al variare della categoria di lavoratore considerata. Inoltre, se si paragonano i dipendenti a tempo parziale, che sovente sono donne, con i dipendenti a tempo pieno, si nota che l’incidenza è molto più alta per i primi (rispettivamente 19,7% contro il 12,7%). Questi dati indicano che lo strumento dell’introduzione del salario minimo è efficace per lo scopo prefissato di promozione della parità di genere, contribuendo a colmare il divario retributivo e pensionistico e aiutando le donne a raggiungere l’indipendenza economica. In riferimento alle fasce d’età, invece, tra i dipendenti privati, la norma inciderebbe maggiormente la fascia dei giovani (tra i 14 e i 29 anni) con un 28,9%, mentre le altre fasce evidenziano effetti più contenuti, intorno all’11-12%. Infine, l’analisi si è focalizzata sulle classi dimensionali delle imprese. L’incidenza della quota di lavoratori influenzata dall’applicazione della normativa è inversamente proporzionale alla dimensione dell’impresa stessa. Infatti, per le imprese piccole, sotto i quindici dipendenti, l’incidenza si assesta intorno al 20%, per poi diminuire gradualmente all’aumentare dei dipendenti, raggiungendo l’incidenza minima, intorno al 10,2%, per le imprese con più di duecento dipendenti. Infine, dalla direttiva Europea emerge la necessità di delineare un sistema di monitoraggio del sistema del salario minimo, per minimizzare la possibilità che anche in presenza di un salario minimo ci siano lavoratori retribuiti con importi al di sotto della soglia prescelta. At tal fine, sarebbe auspicabile una definizione che abbia una controparte verificabile negli archivi di dati disponibili, e che in caso contrario si costituiscano basi di dati ad hoc. Quest’ultimo punto è rilevante per sottolineare che potrebbe essere opportuno riferire l’ammontare della soglia del salario minimo di legge esclusivamente al compenso lordo, espungendo ogni riferimento agli oneri sociali, sia quelli a carico del datore di lavoro, sia quelli a carico del lavoratore (riferimenti invece rinvenibili in molte delle proposte di legge presenti in parlamento), in quanto gli oneri sociali dipendono in modo rilevante da tante altre variabili aziendali e settoriali, rendendo non univoco l’importo effettivo del salario minimo.