Sulla legge di bilancio 2023 il giudizio è di un finanziamento inadeguato e di una scarsa consapevolezza della gravità dei problemi. Per preservare il suo potere d’acquisto il finanziamento per il 2023 dovrebbe essere di almeno 130,6 miliardi, +1,2 miliardi rispetto a quelli stanziati. Inoltre la legge di bilancio 2023 non ha affrontato i più gravi problemi della sanità: rimuovere il tetto di spesa del personale per poter assumere soprattutto infermieri, intervenire presto sul disagio dei medici e dei dipendenti del SSN, definire il nuovo elenco delle prestazioni essenziali, ridurre le liste d’attesa, definire e sottoscrivere con le regioni il nuovo Patto per la salute 2022-24. “Si poteva fare di più”, ha riconosciuto la Presidente del consiglio, ed è vero. (e.r.o.)
Prologo
Il SSN è nel pieno di una crisi sistemica. Molti fattori hanno concorso a determinarla, ma tre sono le cause di fondo: il sotto-finanziamento e il blocco delle assunzioni, che perdurano da oltre dieci anni, e la pandemia di Covid 19, che ha fatto precipitare la crisi. A cui si è aggiunta di recente la guerra tra Russia e Ucraina, che ha spinto in alto i costi energetici e portato l’inflazione all’11,6%. Non è vero che tra il 2009 e il 2017 siano stati tagliati 37 miliardi di finanziamenti, come sostiene la fondazione Gimbe e molti commentatori e politici ripetono acriticamente, perché il Fondo sanitario nazionale (Fsn) si è invece incrementato di 10,3 miliardi (e ha azzerato il suo storico deficit), ma le risorse stanziate sono comunque risultate insufficienti a garantire una crescita “normale” della spesa sanitaria, al netto dell’inflazione.
Per via del Patto di stabilità (L 191/09), le assunzioni di personale sono state bloccate dal 2010 al livello di spesa del 2004 meno l’1,4%, con la conseguenza che tra il 2009 e il 2018 si sono perse 45 mila unità di personale (di cui 7 mila medici e 35 mila tra infermieri e altri sanitari). Il divieto è stato mitigato nel 2019 e nel 2020-21 si sono fatte 17.000 assunzioni in deroga, per l’emergenza Covid, ma il blocco (o meglio, il tetto di spesa) è tuttora in vigore. La pandemia ha avuto un effetto devastante sul personale sanitario, schierato in prima linea, sul territorio, nei PS, negli ospedali, a combattere contro un nemico invisibile e sconosciuto. Turni massacranti, straordinari poco remunerati, ferie non godute hanno creato un sovraccarico di lavoro e di stress del personale ospedaliero, che è andato in burn-out, si è dimesso, pre-pensionato o ha scelto di lavorare nel privato accreditato. È stata chiamata la great resignation. Quelli che nei giorni della pandemia erano acclamati come angeli o eroi attendono ancora il rinnovo del contratto nazionale o della convenzione per la medicina di base. Ad aggravare il quadro, circolano previsioni allarmanti su una prossima carenza medici e di infermieri. Le liste d’attesa per visite e esami sono sempre più lunghe. Nel 2020 si erano persi 1,3 milioni di ricoveri e 19 milioni di visite specialistiche. Pazienti sempre più rivendicativi, spesso non vaccinati contro il Covid o l’influenza, sovraccaricano i PS, arrivando ad aggredire il personale sanitario per i ritardi o le lunghe attese.
Questo quadro fosco induce molti al pessimismo sul futuro del SSN. Studiosi e prestigiose istituzioni hanno lanciato un ennesimo e disperato grido di allarme. Sostengono che il governo, con la NADEF (Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza) e la legge di bilancio 2023, progetti a) un taglio della spesa sanitaria nel triennio 2023-25, evidenziato dalla riduzione di incidenza sul Pil, e b) voglia tenere il suo livello vergognosamente più basso rispetto a quello di altri paesi europei, come Francia e Germania. Una politica per far morire lentamente il servizio sanitario. Sono obiezioni in apparenza valide, ma che lasciano in ombra altri aspetti rilevanti e quindi sono mezze verità (v. infra). Al contrario, molti altri vedono nel PNRR, con i suoi 20,2 miliardi di investimenti in sanità, un’occasione storica per rinnovare a fondo la sanità italiana, di cui vi è enorme bisogno.
Le misure per la sanità nella Legge di bilancio 2023
Le misure riguardanti la sanità sono contenute nei commi da 526 a 547 dell’art. 1 della legge di bilancio (LB) dello Stato per il 2023 (L 197/2022), approvata il 29 dicembre, e sono riepilogate nella tavola 11.
Fonte: ns elaborazioni sui disegni di legge di bilancio e sui dossier della Camera dei deputati e del Senato 2021 e 2022
Note: I dati tra parentesi non costituiscono finanziamento aggiuntivo, ma gravano sul fabbisogno standard (FSN)
Non sono elencate le misure di importo inferiore a 1 milione di euro
(1) Finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard a cui concorre lo Stato (FSN)
Le risorse aggiuntive per il 2023 sono pari a 2.800 milioni (commi 535 e 536) e sono finanziate a debito, anche nel prossimo biennio, come indicato nel Prospetto riepilogativo del disegno di legge (pag. 381 e segg.). Le altre misure non prevedono nuove risorse, perché sono “a valere” sul Fondo sanitario (nel gergo burocratico: sul “finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato”) e figurano tra parentesi in tavola 1. Da ultimo occorre ricordare che la legge di bilancio 2022 aveva aggiunto 200 milioni per il fondo farmaci innovativi e 319 milioni per le borse di formazione specifica in medicina generale (tav. 1). In conclusione, il FSN per il 2023 ammonta a 129.380 milioni di euro (+ 3.400 milioni), ma esclusi i finanziamenti “a valere” e quelli con finalità particolari (es. borse di studio), il finanziamento ordinario si riduce a 127.666 milioni (penultima riga di tav. 1). Saranno sufficienti?
Le recenti tendenze e le previsioni di finanziamento e di spesa
I documenti utili per analizzare tendenze e programmi per la sanità del nuovo governo sono la NADEF, approvata il 4 novembre, il disegno di legge di bilancio 2023 (Ddl AC 643), approvato dal Consiglio dei ministri il 21 novembre, e il testo finale votato dal Senato il 29 dicembre. La Corte dei Conti e l’Ufficio parlamentare di bilancio, nelle audizioni rispettivamente del 2 e 5 dicembre, hanno espresso le loro valutazioni, spesso critiche, sul Ddl in discussione.
Nel 2019, prima della pandemia, il finanziamento del SSN si attestava a 114 miliardi (tav. 2). Nel 2021, dopo vari interventi per fronteggiare le maggiori spese del Covid, era balzato a 122 miliardi e nel 2022 si era stabilizzato a 126 miliardi (tav. 2). Con la LB il nuovo governo ha stanziato 129 miliardi per il 2023 e 131 miliardi per il 2024 e il 2025. In percentuale sul Pil il finanziamento scenderebbe dal 6,8% del 2021 al 6,5% del 2023 e al 5,9% del 2025 (tav. 2). Comunque nel 2023 sarebbe ancora superiore a quello pre-pandemia (6,4% nel 2018-19). In ogni caso, l’incidenza sul Pil è un indicatore ambiguo, perché essendo un rapporto, dipende anche dall’andamento del Pil.
Fonte: NADEF di novembre, ISTAT e ns elaborazioni – Note: I dati in corsivo sono previsioni
Perché sia prevista una riduzione dell’incidenza sul Pil è spiegato nella NADEF di settembre del precedente governo: “la spesa sanitaria tornerà a segnare delle riduzioni nel biennio 2023-2024, mentre nel 2025 si prevede la sua stabilizzazione, a ragione dei minori oneri connessi alla gestione dell’emergenza epidemiologica” (pag. 76). Il nuovo governo con la NADEF di novembre ha ripreso le stesse cifre del documento precedente, eliminando quella frase, senza tuttavia preoccuparsi della congruenza tra le cifre. Paradossalmente, infatti, il finanziamento del SSN approvato con la LB risulta superiore alla spesa prevista nella NADEF (131 miliardi di finanziamento e 129 di spesa nel 2024 e 2025). Questo prova quanto siano scarsamente valide le previsioni a medio termine – data la grande instabilità del quadro generale – e come non si debbano trarre conclusioni (catastrofiche) sulle intenzioni future. Spesso, come in passato, sono operazioni di windows dressing (abbellimento) fatte per gli organismi internazionali o per i mercati finanziari, volte a dimostrare l’intenzione di contenere la spesa pubblica. In ogni caso, le previsioni e i paventati tagli per il 2024 e il 2025 sono di dubbio valore, perché sono sempre modificabili dalla futura legge di bilancio. L’aumento del Fondo sanitario, rispetto al 2022, risulta del 2,7%, ma è l’incremento pro-capite che interessa, perché le risorse sono in funzione della popolazione che devono curare (numero e anzianità). Ipotizzando un’ulteriore contrazione della popolazione di circa 190 mila unità, come nel 2022 (da 58,8 a 58,6 milioni, pari a -0,3%), l’incremento pro-capite salirebbe al 3,0%, passando da 2.141 a 2.206 euro (tav. 2), sempre in termini nominali. È palese che le risorse stanziate non sono sufficienti a preservare il potere d’acquisto del SSN. Il deflatore del Pil, previsto dalla NADEF per il 2023, è infatti del 4,2% e quello dei consumi del 5,9% (pag. 9), mentre il tasso di inflazione registrato dall’Istat a dicembre è del 4,1%, al netto dei prodotti energetici. In termini assoluti e pro-capite si verificherebbe dunque una variazione negativa della capacità di spesa.
Quanto servirebbe per il SSN nel 2023? È difficile fare una previsione, per le tante variabili in gioco. Una prima considerazione è che il FSN non copre tutta la spesa effettiva e sarebbe importante conoscere il suo ammontare nel 2022 per avere una base di riferimento. Il Tavolo di monitoraggio istituito presso il MEF non ha ancora chiuso i conti del 2021 e il dato provvisorio è una spesa di 126,5 miliardi, che lascia prevedere una spesa per il 2022 di 130,0 miliardi. Il finanziamento approvato per quest’anno è di soli 129,4 miliardi. Emergerà quindi un problema di deficit, che sarà posto a carico delle regioni.
Dal lato della domanda, la spesa sanitaria risulta trainata i) dalla dinamica della popolazione (crescita o decrescita), ii) dal suo invecchiamento, a cui sono connesse molte malattie croniche, molto costose, e iii) dalla maggiore richiesta di prestazioni per smaltire le liste d’attesa. Le tendenze dell’ultimo quinquennio lasciano prevedere una riduzione dello 0,3% del numero di assistiti e un aumento dell’1% dell’effetto invecchiamento (ns parametri), a cui si può sommare uno 0,5% di maggiore domanda di prestazioni. L’incremento in termini reali (ossia a quantità), dovrebbe essere quindi dell’1,2%. L’aumento, in termini nominali (ossia complessivi), dipende anche iv) dalle variabili monetarie2 e dal mix3 dei prezzi e delle tariffe delle prestazioni in convenzione (farmaci, specialistica, ecc.) e v) dal costo dei fattori (personale, beni e servizi) per i servizi a produzione diretta degli enti sanitari. In altri termini, dipende anche dal lato dell’offerta. Combinando insieme tutte queste variabili in un semplice modello di simulazione e, in linea con l’andamento degli ultimi anni, si può valutare un effetto prezzi/mix almeno del 2,4%, per un incremento nominale complessivo del 3,7%. Un finanziamento più congruo per il 2023 dovrebbe essere perciò di almeno 130,6 miliardi (+1,2 miliardi rispetto a quelli stanziati), riportando la sua incidenza sul Pil al 6,6%. Si badi bene, rispetto ad una spesa prevista dalla NADEF di 131,7 miliardi. Potranno aiutare a colmare questo gap misure come il maggiore uso dei farmaci equivalenti (generici), le centrali regionali di acquisto, che negli scorsi anni hanno fatto risparmiare alcuni miliardi di spesa, e la riduzione degli elevati sprechi.
Allarmi e mezze verità
Sono fondati allora gli allarmi su un (voluto) indebolimento del SSN? È vero che l’Italia è il fanalino di coda tra i paesi europei e che si dovrebbe spendere di più per la sanità pubblica? Qualcuno sostiene il 7% del Pil, vale a dire 139 miliardi nel 2023. Sarebbe certamente auspicabile, ma non è né realistico né fattibile nell’immediato. Esiste infatti una “legge statistica” per cui in tutti i paesi del mondo la spesa sanitaria (pubblica e privata) è strettamente correlata con il livello di sviluppo economico raggiunto, misurato dal Pil pro capite (R2≈0,70). Vale anche per i paesi in via di sviluppo, e dio sa quanto avrebbero bisogno di spendere di più per la loro sanità disastrata. La Corte dei conti, studiosi e politici citano spesso che l’Italia spende meno di Francia e Germania per la sanità, che siamo sotto la media dei paesi OCSE e dell’UE – ed è vero –, ma il paragone non è corretto. Se Germania e Francia spendono rispettivamente 3.450 e 3.071 euro pro capite, rispetto ai 2.178 dell’Italia per la sanità pubblica nel 2019, è perché la loro economia è più sviluppata, il loro Pil supera quello italiano del 39 e del 20% (fonte: Eurostat). E questo vale anche per i redditi dei medici, degli insegnanti e del personale sanitario. L’Italia raggiungerà queste cifre se e quando il suo Pil toccherà i 35-40.000 euro pro-capite. Questa è la via maestra, se non si vuole finanziare la sanità a debito, come stiamo già facendo4. E poi, nel confronto con i due paesi non si ricorda mai che l’Italia spende 3,9 punti di Pil più della Germania e 0,4 più della Francia per le pensioni (Fonte: Eurostat). Saremmo disposti a fare uno scambio tra pensioni e sanità? E non si ricorda mai che abbiamo un vincolo pesante, gli interessi sul nostro enorme debito pubblico (80 miliardi all’anno), che assorbono l’8,5% della spesa pubblica o il 4,1% del Pil, mentre la Germania spende solo lo 0,9 e la Francia l’1,6% del Pil. In totale sono 6,6 punti di Pil più della Germania e 2,4 più della Francia. Non ci fossero queste distorsioni, la sanità italiana potrebbe beneficiare di almeno 45 miliardi di euro in più. Per completezza dell’informazione bisognerebbe, ogni tanto, ricordare anche questi dati duri e crudi. Il sentiero di crescita della spesa sanitaria è stretto e arduo, ma non impossibile. Dipende molto anche dalla priorità che le assegna il governo, rispetto ad altri settori di intervento. Per ora la sanità non sembra in cima alle preoccupazioni del nuovo governo di centro-destra.
I problemi che restano sul tappeto
La legge di bilancio 2023 è stata approvata in tempi stretti e con altre urgenze (la crisi energetica), ma non ha affrontato i molti problemi della sanità, che erano e restano sul tappeto. Primo fra tutti la rimozione al tetto di spesa del personale introdotto nel 2010 e aggiornato nel 2019 con il cd Decreto Calabria (art. 11 DL 35/19 per poter assumere. Circolano diverse stime allarmanti sugli abbandoni e sulle carenze di medici nei prossimi anni. L’AGENAS, tuttavia, tranquillizza affermando che le misure correttive sulla specializzazione dei medici, approntate dal 20185, e le assunzioni fatte durante la pandemia (+21.414 medici e +31.990 infermieri), saranno sufficienti a coprire il numero dei prevedibili pensionamenti nel periodo 2022-27. Riconosce però che ci potranno essere carenze di medici di base in alcune aree a bassa densità o di montagna. Rispetto ad altri paesi, l’Italia non ha carenza di medici, semmai di infermieri. Lo stress da pandemia e le remunerazioni non adeguate hanno accelerato l’uscita di molti medici dal SSN, che sono approdati alla libera professione in strutture private accreditate o in cooperative, che somministrano poi lavoro a gettone (da 100 a 140 euro/ora) agli stessi ospedali pubblici. Bisognerà intervenire presto sul disagio dei medici e dei dipendenti del SSN. La bozza di accordo, per il contratto scaduto 2019-21, attende solo l’atto di indirizzo delle regioni per la firma. Fortunatamente è stata prorogata al 2023 la stabilizzazione di personale precario assunto per l’emergenza Covid (art. 1 c. 528 L 197/22) e la legge di bilancio 2022 (c. 274) aveva previsto 2,3 miliardi per i corsi di specializzazione per gli anni 2022-26 (tav. 1). Bisognerà intervenire sul numero crescente di zone scoperte di medico di base e sulla scarsa attrattività della professione per i giovani laureati, che lasciano vacanti molti corsi di formazione banditi dalle regioni. La carenza di medici di base è un problema comune anche a Gran Bretagna e Francia. Il prossimo accordo collettivo nazionale (ACN) 2021-23 dei medici di famiglia sarà decisivo, anche per le sorti delle 1.430 case della comunità, che si vanno ristrutturando (e inaugurando) o costruendo in tutta Italia. Per l’assunzione di personale nelle CdC la LB 2022 (c. 274) aveva destinato 2 miliardi6 per il quinquennio 2022-26 (tav. 1), ma restano da formare almeno 20.000 infermieri di comunità, secondo i parametri del DM 77/2022. Le regioni hanno proposto, nel formulare la bozza di ACN, che i medici di base lavorino 20 ore nei loro studi e 18 nei distretti sanitari per attività di interesse collettivo. Ma il governo avrà la forza di far passare questa soluzione al momento della firma? I fondi per l’aggiornamento dei LEA, fermi al 2017, erano stati appostati dal precedente governo (c. 288; 200 milioni annui dal 2022; tav. 1), ma rimane ancora da definire il nuovo elenco delle prestazioni essenziali. Nessun finanziamento è più previsto per la riduzione delle liste d’attesa, dopo i 500 milioni dello scorso anno. Da ultimo, rimane da definire e sottoscrivere con le regioni il nuovo Patto per la salute 2022-24. Sulla legge di bilancio 2023 il giudizio finale è di un finanziamento inadeguato e di una scarsa consapevolezza della gravità dei problemi. Certo, non si può caricare la legge di bilancio di tutti i problemi della sanità, ma non si vede ancora un cambio di passo. “Si poteva fare di più”, ha riconosciuto la stessa Presidente del consiglio nella conferenza stampa di fine anno, ed è vero. Forse il governo è “pronto”, ma non è ancora “preparato” per la sanità. Aspettiamo le prossime mosse.
- Altre disposizioni di minore rilievo non sono qui commentate, perché non implicano finanziamenti o questi sono inferiori a un milione di euro. In totale se ne occupano 33 commi della LB, con misure a volte localistiche (ospedali del basso Lazio) o di interesse molto specifico (test per il colangiocarcinoma). In particolare, il comma 526 incrementa di 200 milioni di euro le indennità riconosciute al personale del pronto soccorso, ma a partire dal 2024. Il comma 529 autorizza una spesa di 40 milioni per attuare il piano di contrasto all’antimicrobico-resistenza. Il comma 532 riconosce una remunerazione aggiuntiva di 150 milioni annui alle farmacie per la somministrazione dei vaccini. Il comma 535 incrementa il finanziamento del SSN di 2.150 milioni per il 2023 (di cui 1.400 milioni per l’aumento dei prezzi delle fonti energetiche), di 2.300 milioni per il 2024 e di 2.600 milioni per il 2025, mentre il comma 536 aumenta di 650 milioni, per il 2023-25, il fondo del Ministero della salute per l’acquisto di vaccine e farmaci anti-Covid. Il comma 538 rifinanzia con 5 milioni il bonus per lo psicologo e il comma 588 stanzia ulteriori 5 milioni per le borse di formazione specifica in medicina generale
- Come qualsiasi grandezza economica, la spesa=q ● p (quantità x prezzo)
- La spesa può aumentare anche perché si consumano prestazioni con prezzo/tariffa più elevato/a (es. farmaci innovativi, esami diagnostici più sofisticati, ecc.)
- Il SSN, inoltre, dovrà rimborsare all’UE circa 12,4 miliardi di prestiti del PNRR
- Le borse di specializzazione dei medici sono aumentate da 6.200 nell’a.a. 2017-18 a 14.378 nell’a.a. 2021-22
- È quindi infondata la critica che il PNRR abbia provveduto solo a costruire le strutture, senza preoccuparsi del personale che vi andrà a lavorare; del resto il fondi del PNRR sono destinati solo agli investimenti
Sta di fatto che il rapporto tra il Finanziamento ordinario del S.S.N. e la spesa corrente delle regioni e’ andato diminuendo, passando dal 99,44% del 2012 al 95,48% del 2021. Cio’ vuol dire che le regioni han dovuto tassare sempre più i propri cittadini. Solito ballo delle tasse.