Progettare inclusione
L’esperienza di IN-LAV nel garbagnatese
Maria Grazia MancigaElena Meroni | 31 Gennaio 2023
Il NIL (Nucleo di Integrazione Lavorativa) e la sua evoluzione
Il Nucleo Integrazione Lavorativa (NIL) dell’ASC “Comuni Insieme per lo Sviluppo Sociale”, che associa 7 comuni dell’Ambito Territoriale Sociale del garbagnatese, è stato avviato, come la gran parte di queste unità operative, con il mandato di promuovere l’occupazione dei soggetti disabili adulti sostanzialmente attraverso gli strumenti previsti dalla Legge 68 del 12 marzo 1999 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”.
Negli anni, tuttavia, il servizio è stato attraversato da trasformazioni che hanno seguito le evoluzioni della domanda e le esigenze che via via emergevano da nuove tipologie di target più legate allo svantaggio socioculturale o all’estrema povertà. Il servizio, formato da operatoti di diverse professionalità (pedagogisti, educatori professionali, psicologi, orientatori, operatori della mediazione lavorativa) che meglio possono adattarsi e rispondere ai diversi bisogni espressi dai beneficiari, ha come mission l’accompagnamento lavorativo di persone particolarmente fragili, che necessitano di percorsi guidati per riavvicinarsi, ricollocarsi e integrarsi all’interno del mondo del lavoro.
Per dare un’idea della dimensione del lavoro, nel 2021 il NIL ha avuto in carico 442 persone di cui: 198 disabili (fisici, intellettivi, plurimi) – 155 beneficiari Reddito di Cittadinanza e svantaggiati – 68 psichiatrici – 12 minori – 9 detenuti; tipologie di utenza molto diverse che richiedono la messa in campo di competenze e strumenti diversificati.
Nello sviluppo delle attività di inclusione sociale verso l’occupabilità, una delle maggiori criticità, che ha nel tempo costantemente caratterizzato il lavoro di mediazione nell’ambito lavorativo, ha riguardato la sfera dei progetti di inclusione lavorativa dei soggetti con patologie psichiatriche che costituiscono circa il 15% della nostra utenza complessiva. Nonostante la collaborazione con i Centri Psico Sociali (CPS) territoriali, fosse attiva da molti anni (2005), l’idea di fermarsi per ripensare alle modalità di approccio e attuazione degli interventi, è nata dalla difficoltà emersa nel delineare un linguaggio e degli obiettivi comuni, che facessero sintesi tra visioni diverse e spesso contrapposte quali quelle di cura espresse dalla sfera sanitaria e quelle espresse dai servizi sociali e dal mondo del lavoro. Questi interventi sono caratterizzati da un elevato grado di complessità dovuto a molti fattori: spesso le patologie hanno un andamento ciclico caratterizzato da scompensi; registriamo una certa diffidenza del mondo del lavoro, che spesso si sente inadeguato e impreparato ad avvicinarsi a questo genere di patologie e che tende quindi a costruire pregiudizi difficili da sradicare; in taluni casi i servizi invianti hanno delle aspettative irrealistiche di cura legate a dei paradigmi che non rispondono più alle esigenze del mondo del lavoro.
La frustrazione determinata dall’insoddisfazione e dai frequenti fallimenti ci hanno spinto sempre più ad interrogarci sulla collaborazione e sui modelli di riferimento creati nel tempo.
Inoltre, spesso, facendosi portavoce del proprio punto di vista e in ottemperanza ai regolamenti interni di ogni ente, si è persa di vista la centralità della persona e la sua sfera soggettiva, fatta da priorità, desideri e vissuti a volte lontani dagli interventi programmati.
Il progetto IN LAV
Il progetto “IN LAV – azione integrata per l’occupabilità delle persone vulnerabili” nasce dall’attuazioni di un Bando POR FSE 2014/2020, asse Opportunità e Inclusione, ed ha rappresentato l’occasione per ripensare alla collaborazione integrata sociosanitaria rivolta all’accompagnamento al lavoro di persone con invalidità psichica, con l’obiettivo di delineare delle linee guida operative per la futura collaborazione con altri servizi. Il target di riferimento è stato caratterizzato da persone particolarmente fragili che, negli anni di lavoro pregresso tra servizi, avevano rappresentato una sfida non sempre vincente, per la quale si erano sviluppati approcci diversi e a volte contrapposti, marcando le difficoltà e le divergenze. Il progetto è stato promosso e si è sviluppato sul territorio del NIL dell’ASC “Comuni Insieme”, coinvolgendo l’ASST Rhodense, Città Metropolitana con il ruolo di monitoraggio e controllo e tre Cooperative Sociali di tipo B (Fabbrica dei segni Cooperativa Sociale; Cooperativa Sociale Il Grillo Parlante; Ozanam Cooperativa sociale di solidarietà).
Sin dall’inizio dei lavori di attuazione del progetto ci siamo accorti che sarebbe stato fondamentale, per raggiungere l’obiettivo, modificare il nostro modo di lavorare. Abbiamo compreso che l’abitudine – perché da anni si lavorava in rete con i servizi psichiatrici – e la fretta – tante azioni e tempi compressi – conducevano al rischio di riproporre quello che già facevamo, replicando un modello già esistente. Ognuno dei partner aveva a fuoco gli obiettivi del proprio servizio, la gamma delle proprio offerte, le prestazioni da erogare, aveva competenze e conoscenze acquisite in anni di lavoro. Per poter modificare il nostro sguardo era necessario avere un approccio più libero, più aperto all’incontro con l’altro, e questo avrebbe significato il dover uscire da alcune zone di confort e allontanarsi da alcune certezze professionali.
Abbiamo dovuto procedere facendo spazio: dalla nostra visione, dalla nostra tipica offerta, dalle nostre competenze, dai nostri strumenti, abbiamo lavorato per decostruire gli sguardi e modificare le nostre letture, lasciando spazio alle domande per iniziare ad integrare le diverse rappresentazioni che a mano a mano si formavano sull’oggetto del nostro intervento. Partendo da angolature diverse siamo arrivati ad occuparci del lavoro non come fine, come obiettivo del progetto (quanti tirocini riusciremo ad attivare?), ma come strumento per fare esperienza. Le esperienze hanno prodotto delle scelte, le scelte hanno prodotto dei cambiamenti, che hanno generato esiti. Alcuni di questi in linea con le ipotesi di partenza, alcuni lontani e contrari. Un’equipe multidisciplinare, fluida, attivabile su necessità, in tempi brevi, con pregressa conoscenza non solo della patologia della persona ma del suo contesto più ampio, il diretto coinvolgimento dei datori di lavoro nell’equipe, degli educatori professionali del CPS nei luoghi di lavoro, ha fatto la differenza nella buona riuscita dell’esperienza, nonostante gli inciampi e le criticità presentantesi durante il percorso. È stato possibile lavorare per costruire obiettivi maggiormente condivisi, a fronte di situazioni molto differenti, che hanno avuto storie progettuali non lineari. Il monitoraggio ha consentito di sviluppare un confronto attorno alle difficoltà e attorno a ciò che è stato realizzato coinvolgendo direttamente le persone inserite nel percorso, dando loro voce e raccogliendo autovalutazioni, che hanno consentito di rimodulare le attese di tutti i soggetti coinvolti, famiglie comprese.
Cambiare sguardo ci ha permesso di produrre ascolto tra operatori che utilizzavano le stesse parole senza riuscire a capirsi e che hanno lavorato per costruire un’attribuzione di significato comune che ha permesso quindi di condividere anche il senso dei possibili interventi, mettendo il beneficiario al centro non del singolo servizio con le sue prestazioni, ma al centro delle relazioni, delle interazioni e delle connessioni che si creavano. In questo senso la centratura non è più solo sul singolo soggetto che accede al percorso di inserimento lavorativo, ma è stata posta maggiormente in evidenza la relazione tra il soggetto in condizione di svantaggio, il contesto e tutti i servizi coinvolti. Abbiamo costruito uno spazio di apprendimenti intra servizi, libero, percorribile, aperto, da riempire ma anche da lasciare vuoto, perché potesse essere riempito da altri partecipanti al contesto.
Oltre allo spazio ci siamo concessi anche un tempo per fare e un tempo per pensare, quindi ci siamo fermati, siamo andati avanti, siamo di nuovo tornati indietro, abbiamo accettato di stare anche nella confusione, nell’incertezza e nel disorientamento.
Ci siamo molto interrogati nel definire cosa volesse poter dire restituire ai beneficiari l’esperienza fatta, ci siamo chiesti chi degli operatori della rete, a chi, come che strumenti, cosa, con che prospettiva, avesse un senso per la persona ricevere un feedback, che mantenesse un dialogo e un confronto aperto non necessariamente e unicamente polarizzato su successo/insuccesso o positivo/negativo. Abbiamo convenuto che è impossibile definire una modalità univoca ma che l’importante è che la restituzione debba essere collocata all’interno del progetto globale di vita della persona e che possa essere per lui generatrice della consapevolezza di un cambiamento (mi sono accorto che), senza attribuzione di giudizio.
Alla conclusione del percorso, che rappresenta un punto di partenza per la futura collaborazione tra i servizi, enti, realtà produttive e persone coinvolte per l’accompagnamento all’occupabilità si è concretizzata l’elaborazione e la sottoscrizione delle linee guida operative, pensate partendo non tanto da assunti teorici su ciò che ciascuno “dovrebbe fare”, bensì partendo da ciò che abbiamo sperimentato (abbiamo visto che) per arrivare a delineare quello che dovrebbe essere (andiamo nella direzione di). Gli esiti del progetto sono stati inseriti nella programmazione zonale, con l’auspicio che si possa continuare a sviluppare sinergie e connessioni al passo con i bisogni emergenti.