Riflessioni sul regionalismo asimmetrico

Alla luce del ddl Calderoli


Stefano Piperno | 27 Marzo 2023

Il tema del regionalismo differenziato, ovvero dell’attuazione dell’art.116 comma 3 della Costituzione, che prevede che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nell’ambito di tutte le funzioni concorrenti e di un ridotto numero di funzioni esclusive statali possono essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario da parte dello Stato, è tornato al centro del dibattito politico istituzionale con la presentazione da parte del Ministro Calderoli di un disegno di legge recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario” approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri il 16 marzo con un parere favorevole a maggioranza della Conferenza delle Regioni.  Il disegno di legge è strettamente collegato alle norme contenute nei commi 788 e 791-804 della legge di bilancio per il 2023 (L.n.197/2022) che ne costituiscono un presupposto indispensabile. Su questa ultima proposta (come era già avvenuto per la prima), si sono sollevate numerose critiche e obiezioni anche da parte di alcune Regioni e dell’ANCI ed è prevedibile un processo attuativo abbastanza complicato e comunque non breve. È bene preliminarmente richiamarne in forma sintetica i contenuti per poi svolgere qualche prima riflessione generale su questa proposta. Ma saranno necessari ben altri approfondimenti.

Il disegno di legge

L’art. 1 stabilisce le finalità della legge e prevede che l’attribuzione di nuove funzioni legislative e amministrative in forma differenziata deve essere subordinato alla determinazione dei “livelli essenziali delle prestazioni” (d’ora in poi LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Si tratta di una clausola cruciale per l’attuazione della legge. L’art.2 definisce la procedura per l’attribuzione delle ulteriori “forme e condizioni particolari di autonomia” che deve partire da una richiesta riguardante una o più materie o ambiti di materie  del Consiglio regionale della Regione interessata secondo le modalità previste dal suo Statuto e poi inviata al Presidente del Consiglio e al Ministro competente che avviano la trattativa con la Regione sino all’approvazione di uno schema di intesa da parte del Consiglio dei Ministri  che deve poi essere trasmesso alla Conferenza delle Regioni per un parere non vincolante. Successivamente, esso viene trasmesso agli organi parlamentari competenti che esprimono a loro volta un primo parere non vincolante attraverso un atto di indirizzo. Ottenuti i pareri il governo predispone lo schema di intesa definitivo che, una volta approvato dalla Regione interessata, si traduce in un disegno di legge che deve essere approvato dalle Camere a maggioranza assoluta dei loro componenti. L’art.3 definisce le procedure per l’approvazione dei LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard con le loro metodologie, attraverso decreti del Presidente del consiglio di Ministri sulla base delle disposizioni contenute nei commi 791-801 della legge di bilancio per il 2023. L’art.4 prevede che nel caso che questi non siano definiti le funzioni aggiuntive non potranno essere attribuite, un vincolo che non era presente così esplicitamente nelle precedenti proposte. L’art.5 prevede che una Commissione paritetica Stato Regione individui le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per l’esercizio da parte delle Regioni delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale. L’art. 6 stabilisce la possibilità di trasferimento delle funzioni aggiuntive dalle Regioni a Province e Comuni, mentre l’art.7 fissa in dieci anni la durata massima dell’intesa (rinnovabile per un uguale periodo) e le procedure per il suo monitoraggio e per le possibili modifiche e sospensioni, garantendo una sorta di processo sperimentale nell’attuazione. Infine l’art.8 prevede una clausola di invarianza finanziaria per quello che concerne possibili nuovi oneri a carico della finanza pubblica nonché per le Regioni al di fuori delle intese. L’art.9 prevede ulteriori strumenti per finalità perequative l’esercizio effettivo dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti dallo Stato e di promozione dello sviluppo economico, anche attraverso l’unificazione delle diverse fonti aggiuntive o straordinarie di finanziamento statale di conto capitale, per il perseguimento ulteriori finalità di cui all’articolo 119, terzo e quinto comma della Costituzione, riferite anche ai territori delle Regioni che non concludono le intese. Di questo deve essere data adeguata informazione alla Conferenza unificata. Si tratta di una norma riferita soprattutto alle spese in conto capitale. L’art. 10, infine, per accelerare il processo, prevede il mantenimento della validità degli atti di iniziativa delle Regioni già presentati al Governo, di cui sia stato avviato il confronto congiunto tra il Governo e la Regione interessata prima dell’approvazione del disegno di legge. Inoltre, richiama esplicitamente l’art.120 della Costituzione in merito al potere sostitutivo del Governo, rilevante soprattutto nel caso di non rispetto dei LEP da parte delle Regioni.

Alcuni aspetti problematici del disegno di legge

Quali valutazioni si possono fare in merito ai contenuti del disegno di legge? Senza entrare nei dettagli del provvedimento articolo per articolo vi sono almeno due profili critici generali, tra loro strettamente interconnessi, che andrebbero affrontati prima della sua approvazione. Il primo è quello relativo alla scelta delle materie e delle funzioni aggiuntive da trasferire e alle motivazioni che si possono addurre per la richiesta; un secondo profilo, forse il più rilevante, è quello relativo al loro finanziamento e alle modalità che saranno utilizzate per la definizione dei LEP e per garantirne il rispetto. Vediamoli brevemente.

La scelta di materie e funzioni

Nel dibattito giuridico pare acquisito che le materie riconducibili al terzo comma dell’art. 116 della Costituzione siano “voci” solo parzialmente esplicative. Solo attraverso una loro specificazione in sotto-materie, competenze e funzioni si può comprendere esattamente il possibile nuovo ambito di poteri attribuibili alle Regioni, come è cominciato ad emergere nelle trattative avviate gli scorsi anni. Peraltro, pochi si sono cimentati in una analisi approfondita delle bozze di intesa tra lo Stato e le prime tre Regioni che avevano avviato la trattativa nel biennio 2018-19 e che nella loro ultima versione non sono mai circolate in forma ufficiale. Nel disegno di legge non è però presente la richiesta di alcuni requisiti minimi in termini di capacità amministrativa e equilibri finanziari che le Regioni richiedenti funzioni aggiuntive dovrebbero possedere per garantire la continuità amministrativa delle attività trasferite. Ugualmente, sarebbe stata utile la presenza una sorta di griglia di criteri per valutare costi e benefici del trasferimento al fine di evitare una sorta di “bulimia delle funzioni” da parte delle Regioni (tutte chiedono tutto…). In altre parole, le Regioni nelle loro richieste dovrebbero offrire una lista di motivazioni, corredate da evidenze empiriche, circa i possibili benefici dell’attribuzione asimmetrica di competenze mentre, specularmente, le amministrazioni centrali per rifiutare il trasferimento dovrebbero fare la medesima operazione relativamente ai costi. In particolare, va ricordato come molte delle funzioni richieste (soprattutto quelle non legate alla fornitura di LEP) hanno natura regolatoria e non possono essere sottovalutati i costi per imprese e cittadini di una regolamentazione amministrativa differenziata tra regioni. Solo un saldo positivo tra benefici e costi giustificherebbe il trasferimento. Analisi di questo tipo potrebbero anche fare tesoro di molte esperienze di politiche pubbliche condivise da più livelli di governo nell’ultimo ventennio dalle quali si può desumere cosa ha funzionato e cosa no. Qualunque ipotesi di intesa Stato Regioni da sottoporre al Parlamento dovrebbe essere suffragata da documentazione di questo tipo per consentire un adeguato approfondimento.

Le modalità di finanziamento e il nodo dei LEP

Le regole per il finanziamento dell’autonomia differenziata presentano alcune criticità. L’ art. 4 c. 2 del disegno di legge prevede che una Commissione paritetica tra Stato e Regione interessata dovrà definire le modalità di finanziamento integrale delle nuove funzioni in coerenza con l’art.119 della Costituzione. L’articolo si limita poi a stabilire che il finanziamento delle funzioni attribuite, le cui modalità sono definite dall’intesa, avviene attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali a livello regionale in modo tale da consentire l’integrale finanziamento delle funzioni attribuite (riecheggiando il modello delle Regioni a statuto speciale). Non si fa cenno alla legge di attuazione (l.n. 42/2009) dell’art.119 della Costituzione con la sua importante cornice di decreti attuativi, a partire dal D.Lgs. n.68/2011 che aveva specificato il sistema di finanziamento delle Regioni a statuto ordinario ed è rimasto in gran parte inattuato negli ultimi dodici anni. D’altro canto, la legge di bilancio per il 2023  stabilisce che tale sistema deve essere implementato entro il 2027  ma resta il fatto che questo dovrebbe costituire un prius rispetto a quello previsto per l’autonomia differenziata che coinvolgerà solo alcune Regioni. La sua caratteristica principale è quella di prevedere un metodo di finanziamento differenziato tra spese connesse ai LEP e altre spese. Le prime comprendono le materie della sanità, dell’assistenza, dell’istruzione, dei trasporti pubblici locali relativamente agli interventi in conto capitale, con la possibilità di includere successivamente ulteriori settori. Per queste spese oltre alla determinazione dei LEP occorre valutare il costo standard per arrivare a definire il fabbisogno standard delle diverse Regioni. Tenendo conto dei fabbisogni standard e della capacità fiscale di ogni Regione lo Stato doveva intervenire con dei trasferimenti perequativi di tipo generale per finanziare ambedue i tipi di spesa (sostituendo tutti i precedenti trasferimenti settoriali). In base a questa normativa generale sono considerati LEP quelli già fissati in base alla legislazione statale e viene previsto un percorso di progressiva convergenza nei livelli dei servizi da realizzare attraverso i cosiddetti obiettivi di servizio, ovvero obiettivi intermedi rispetto ai livelli essenziali da raggiungere tenendo conto delle compatibilità di bilancio.  L’assetto dei LEP risulta però ancora assai incompleto  (a parte i LEA nella sanità) e solo negli ultimi anni si sono definiti alcuni livelli essenziali e obiettivi di servizio, in alcuni specifici settori come quello della non autosufficienza, degli asili nido e del trasporto alunni. A questo proposito, giustamente l’Ufficio parlamentare del bilancio in una recente audizione al Parlamento all’interno di un’ampia riflessione sull’applicazione dei LEP ha sostenuto che

la piena attuazione del federalismo fiscale, secondo il disegno previsto dalla L. 42/2009, richiederebbe di riunire i finanziamenti dei LEP erogati dagli Enti territoriali in un unico fondo che assicurasse la perequazione in base ai fabbisogni standard, a loro volta fondati sui LEP. Per favorire la realizzazione di un tale percorso, oltre che per assicurare una sistematizzazione generale, sarebbe utile che le disposizioni volte a determinare i LEP fossero coordinate attraverso una legge quadro e riunite in un unico provvedimento1.

La legge di bilancio per il 2023 (commi 791-801 dell’art.1 della l. n. 197/2022) richiede la definizione dei LEP, insieme ai corrispondenti costi e fabbisogni standard, relativi a materie o ambiti riferibili a tali diritti preliminarmente rispetto alla attribuzione di nuove funzioni alle Regioni prevedendo un meccanismo decisionale che vede coinvolti i diversi livelli di governo attraverso una cabina di regia con il supporto di numerose strutture tecniche entro dodici mesi dal suo insediamento (Fig.1). Va sottolineato che il processo descritto si riferisce solo ai LEP relativi alle materie in cui si prevede un meccanismo di differenziazione ma è difficile non pensare che il sistema dei LEP non debba essere definito in maniera unitaria con riferimento anche alle funzioni residuali regionali, tra cui, ad esempio, quelle relative all’assistenza e i relativi LEPS, nonché tenendo conto dei servizi che sono gestiti in condivisione da parte di più livelli di governo.

Ma vi è una seconda criticità dovuta al fatto che nel combinato tra legge di bilancio e disegno di legge non si fa riferimento agli obiettivi di servizio come tappa intermedia per raggiungere i LEP da fissare con legge. Ne deriva che la ricognizione della cabina di regia si limiterà ad assumere come LEP quelli esistenti o di fatto forniti sul territorio valutandone costi e fabbisogni standard con il vincolo dell’assenza di nuovi oneri per la finanza pubblica rendendo così difficili politiche di riequilibrio territoriale nella fornitura dei servizi.

In conclusione, il sistema di finanziamento delle Regioni per quanto concerne le funzioni asimmetriche non può discostarsi da quello per le funzioni simmetriche previsto dalla L. n.42/09 e dal d.lgs.n.68/21 che, però, in base alla legge di bilancio dovrà essere completato entro il primo quadrimestre del 2027.  Considerato che questo risulta pienamente compatibile con una attribuzione differenziata di competenze, come è stato recentemente con chiarezza richiamato da Alessandro Petretto, non si capisce la logica di prevedere due modelli con percorsi temporali diversi per il regionalismo asimmetrico e quello simmetrico.

Fig.1 Governance del processo di definizione dei LEP in base alla legge di bilancio 2023 e al ddl Calderoli
  1. Si veda qui, a pag. 44