Tre recenti rapporti sulle misure di contrasto delle povertà


Remo Siza | 22 Luglio 2024

Introduzione

Il Report dell’Inps sui pagamenti dell’Assegno di Inclusione (luglio 2024), il recente Rapporto Caritas (giugno 2024) e il rapporto della fio.PSD – Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora (giugno 2024) evidenziano il carattere fortemente selettivo delle politiche di contrasto della povertà che si intendono perseguire.

Questa selettività si afferma in anni in cui l’incidenza della povertà nella popolazione italiana è cresciuta significativamente. L’Istat ha diffuso recentemente (luglio 2024) le stime preliminari sulla povertà assoluta nell’anno 2023. Le persone in condizione di povertà assoluta in Italia sono oltre 5,7 milioni nel 2023, per un’incidenza pari al 9,8%, il valore massimo dal 2014 (Istat, 2024: 27)

Solo ad una parte di questi 5,7 milioni di persone è assicurato un supporto economico. Il report dell’Osservatorio statistico dell’INPS su Assegno di Inclusione (ADI) e Supporto Formazione e Lavoro (SFL) ha rilevato che nei primi sei mesi del 2024 sono stati circa 698mila i nuclei con domanda accolta di ADI, per un totale di 1,68 milioni di persone coinvolte. Fino al 30 giugno 2024, sono state accolte 96mila domande per il Supporto per la formazione e il lavoro (pp. 3-4).

I criteri adottati dall’ADI hanno determinato l’esclusione dalla misura di supporto di un numero molto elevato di beneficiari del Reddito di Cittadinanza (RdC). Il XXII Rapporto annuale dell’INPS (2023) rilevava che già nel dicembre 2019, 8 mesi dal suo avvio, i beneficiari del RdC erano 3,5 milioni (1,6 milioni di nuclei); sono diventati 3,6 milioni (1,69 milioni di nuclei) nell’anno 2022. Nel corso dell’anno 2023, le persone che hanno beneficiato di almeno una mensilità di RdC sono stati 2.722.299 (1.215.881 nuclei familiari).

Il citato Rapporto annuale dell’INPS, prendendo come base il numero dei nuclei con ISEE inferiore a 9.360 euro in quanto nuclei potenziali beneficiari di RdC, evidenziava che i nuclei beneficiari effettivi sono stati nel corso degli anni mediamente il 61% (INPS, 2023: 379-384). Il RdC ha assicurato una misura di supporto economico, almeno con una mensilità, al 50-60% della popolazione in condizione di povertà. Con il passaggio dal RdC all’ADI la copertura di welfare, o il take-up con il termine che si utilizza più frequentemente, è diminuito significativamente per un numero molto elevato di individui in condizione di povertà. Il take-up dei beneficiari dell’ADI rispetto alle persone in condizione di povertà rischia di stabilizzarsi attorno al 20-30% della popolazione in condizione dii povertà.

Le nuove periferie sociali

Una parte degli individui che non beneficiano di prestazioni pubbliche di supporto riuscirà sicuramente ad entrare nel mercato del lavoro, ma una parte molto più ampia rimarrà al di fuori di ogni protezione pubblica, lontana dal mercato del lavoro e dalle misure pubbliche di welfare. Il mercato del lavoro, è ritenuto capace di includere buona parte dei beneficiari di RdC sottovalutando i suoi limiti strutturali e le sue trasformazioni più recenti: alta incidenza di salari al di sotto della linea di povertà, la precarietà e il differente tasso di occupazione che caratterizza le regioni italiane, la crescita dei part-time non volontari, la polarizzazione tra una crescita molto accentuata dell’occupazione a bassa qualificazione, con minore tutela e remunerazione e una più limitata crescita dell’occupazione qualificata.

In molte società europee emergono moltitudini di individui che non possono più contare sul sistema di welfare e allo stesso tempo hanno una relazione instabile con il sistema di lavoro, persone che vivono una problematica e precaria integrazione e vagano tra precarie traiettorie lavorative, istituzioni pubbliche e di terzo settore, senza trovare una posizione sociale stabile e una ancora integrativa. La protezione dagli eventi di vita e la costruzione della propria indipendenza è affidata alle loro capacità individuali, alle risorse di terzo settore e alla solidità della famiglia e delle relazioni familiari.

Castel ha osservato la crescente presenza in Europa di individui collocati in una situazione di fluttuazione nella struttura sociale, individui che popolano gli interstizi della società senza trovare al suo interno alcuna posizione consolidata. Castel definisce questi gruppi sociali come “ombre incerte”, ai margini del lavoro, disoccupati di lunga durata, abitanti di periferie abbandonate, beneficiari temporanei di reddito minimo di inserimento, giovani in cerca di occupazione che passano da lavoretti a occupazioni provvisorie, dai lavori umili al lavoro temporaneo: chi sono queste persone, da dove vengono e cosa ne sarà di loro? (Castel, 2007, p. 29).

Nuove risposte alla povertà: la crescita di un Terzo welfare

La ricerca Caritas e il Discussion paper della fio.PSD – Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora evidenziano l’iniquità di molti dei criteri adottati dall’ADI.

Il 75,6% delle famiglie che si rivolgono alla Caritas (2024: 17-18) hanno un ISEE inferiore a 6.000 euro, e complessivamente, il 93,3% un ISEE inferiore a 9.000 euro. Il 48% sono disoccupati, il 23% hanno un “lavoro povero”, solo il 19,8% hanno una casa di proprietà (con o senza mutuo). Pur avendo queste condizioni economiche, solo il 15,9% delle famiglie che si rivolvono alla Caritas beneficiano di una misura di contrasto della povertà (RdC oppure ADI). Nel 2021 i percettori di RdC che integravano il beneficio economico con servizi Caritas erano il 22,3%.

La distinzione tra le famiglie che ricevono un supporto economico pubblico e le famiglie escluse che possono contare sole sulle risorse di terzo settore sta diventando progressivamente più netta e stabile con effetti prevedibili sulla convivenza civile in quartieri e comunità in cui queste differenti forme di povertà e di protezione convivono.

Il Discussion paper della fio.PSD – Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora (2024) rileva significative barriere di accesso alla nuova misura per i senza dimora su almeno tre aspetti: la documentazione di residenza, la certificazione di presa in carico dai servizi sociali competenti e il calcolo dell’ISEE. Per ottenere l’ADI, come fu per il RDC, è necessario ricostruire le storie e reperire le documentazioni che dimostri, la continuità del richiedente negli ultimi due anni di residenza nello stesso Comune, lasciando talvolta alla discrezionalità dei servizi sociali o all’impossibilità di reperire documentazione a supporto. Ulteriore ostacolo all’accesso alla misura è costituito dalla certificazione di presa in carico dai servizi sociali competenti come attestazione della condizione di svantaggio prevista per l’accesso all’ADI. Inoltre, ottenere l’ISEE personale, è molto difficile soprattutto per le persone senza dimora adulte che spesso hanno ancora una famiglia in vita ma i legami sono pressoché inesistenti: spesso ai richiedenti si richiede ai fini del calcolo dell’ISEE di fare riferimento all’ISEE della famiglia di origine con il rischio concreto di superare i limiti ISEE previsti.

Queste barriere all’accesso producono inevitabilmente una fuoriuscita di una quota rilevante di potenziali beneficiari dai sistemi formali di aiuto e una nuova frammentazione nei sistemi di welfare.

In molte nazioni europee, la risposta alla crescita della povertà non è più un incremento delle prestazioni pubbliche, ma la crescita del sistema di aiuto fondata sulle risorse di terzo settore, costituito dai centri di ascolto, dalle mense, dalle food-banks e da un impegno più gravoso delle famiglie.

Nei decenni trascorsi, la crisi di un welfare fondato sull’intervento pubblico aveva condotto alla definizione di un welfare mix, un sistema di protezione fondato su una pluralità di soggetti, in cui all’impegno statuale si affianca il mercato, le organizzazioni di volontariato, gruppi di auto-aiuto, le famiglie, le reti in cui si dispongono le interazioni fra le persone. In questi anni, il welfare mix si è fortemente indebolito come sistema di soggetti interconnessi.

La dualizzazione, intesa come costruzione di due sistemi di welfare, ha contribuito significativamente alla frammentazione dei sistemi di welfare. Una parte delle famiglie, differente da una nazione e l’altra, continua ad accedere ad un sistema pubblico teoricamente ancora universalistico, anche se la qualità delle prestazioni è sempre meno soddisfacente: è un sistema che ha tempi di attesa normalmente lunghi, e una qualità delle relazioni di cura spesso non soddisfacente. Le famiglie con redditi e condizioni lavorative più stabili possono, invece, accedere agevolmente ad un secondo sistema, un sistema pubblico-privato sempre più integrato e complessivamente efficiente: è un sistema accogliente e reattivo, rivolto alle persone che operano fattivamente nel sistema lavorativo.

In questi ultimi anni sta emergendo una terza frammentazione del welfare per rispondere in qualche modo alle crescenti esigenze delle nuove periferie sociali alle quali il sistema formale non intende più dare risposta. Nei processi di riduzione dell’intervento pubblico, gli enti di terzo settore e le associazioni di volontariato svolgono un nuovo ruolo, in molti casi non più in collaborazione con i servizi professionali, ma operano autonomamente, solo con le loro risorse, per sostenere crescenti gruppi sociali non più protetti dal sistema di welfare formale e che non possono accedere ai servizi privati.

Per varie ragioni – precari redditi e relazioni instabili con il mondo del lavoro, severe regole di accesso alle prestazioni di welfare – una parte delle famiglie a basso reddito si stacca dai servizi di welfare e si rivolge ad un “Terzo sistema di welfare” fornito da numerose associazioni di beneficenza e istituzioni pubbliche locali, mense e banche del cibo, che distribuiscono beni di prima necessità per la vita quotidiana e assicurano un sostegno economico temporaneo (Lambie-Mumford and Silvasti, 2021).

Il “Terzo sistema di welfare” è un welfare mix semplificato in cui operano solo due soggetti: il terzo settore e le famiglie. È il welfare al quale fanno riferimento le nuove periferie sociali, le persone che hanno un precario inserimento nel mercato del lavoro e possono accedere solo marginalmente e per brevi periodi alle misure pubbliche di welfare.

La crescita delle responsabilità familiari: It’s hard work being poor

In una sorta di progressiva privatizzazione dei problemi collettivi, la selettività delle misure di contrasto pubblico affida inevitabilmente alla famiglia e alle relazioni informali responsabilità e compiti sempre più gravosi. In questi anni, ciò che molte ricerche evidenziano non è la passività della maggioranza delle famiglie povere, ma il loro crescente impegno quotidiano per affrontare il costo di beni essenziali. Come titola una nota ricerca “Essere poveri è un duro lavoro” (Robertson, 2022). Le famiglie povere sono impegnate quotidianamente per gestire un bilancio familiare costantemente insufficiente, per pagare l’affitto, per accedere ai servizi di supporto, per risparmiare sul cibo, sui trasporti, sul riscaldamento della abitazione, per il timore di accumulare debiti. Molti studi rilevano le battaglie quotidiane delle famiglie povere per essere buoni genitori, per creare una zona protettiva dove i loro figli possono essere protetti dai pericoli presenti nel quartiere e per garantire loro opportunità di istruzione e soddisfare i loro bisogni materiali (Holloway et al, 1997).