La riforma alle porte
Contenuti e prospettive attuative ex legge 227/2021
Gianfranco de Robertis | 29 Novembre 2024
Nel dicembre 2021 – in attuazione di quanto previsto dalla Missione 5, Componente 2 del PNRR – era stata approvata la legge n. 227, con la quale si era delegato il Governo a adottare, entro il 30 giugno 2024, uno o più decreti legislativi per garantire alle persone con disabilità i sostegni necessari per poter vivere su base di uguaglianza con gli altri.
Propriamente, la legge n. 227/2021, nell’indicare i criteri di delega a cui conformarsi nell’attuare una vera e propria riforma in materia di disabilità, partiva dai nuovi paradigmi della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità (approvata dall’Assemblea dell’Onu nella sessione del 13 dicembre 2006) secondo i quali:
- la condizione di disabilità della persona non è ricollegabile alle sole condizioni di salute della persona (quasi che la persona con disabilità sia la sua “patologia, malattia o compromissione”), ma tale condizione è la risultante di un’interazione negativa tra la persona, con date compromissioni fisiche, sensoriali, intellettive o mentali, ed i contesti che presentano delle barriere o sono privi di accorgimenti che, appunto, non permettono la fruizione degli stessi, limitando o escludendo la partecipazione della persona in tale condizione (vedasi art. 1 Convenzione Onu);
- la persona con disabilità è innanzitutto “Persona” con il suo diritto umano a perseguire il suo percorso di vita, liberamente scelto, seppur con i sostegni che, volta per volta, sono necessari per poterle far vivere i relativi contesti (scuola, lavoro, famiglia, sport, ecc.).
Pertanto, in ossequio alla legge delega, con il decreto legislativo n. 62/2024 si è provveduto a:
A) introdurre il nuovo concetto di “disabilità” e passare dal “modello sanitario” al “modello dei diritti umani”:
- guardando all’interazione tra la persona, pur con le sue limitazioni, e l’ambiente circostante per individuare meglio quali sostegni attivare per il caso concreto (modello bio-psico-sociale);
- attivando però interventi, sia a supporto della persona sia per modificare l’ambiente, volti a garantire l’esercizio dei diritti di tutti (alla mobilità, all’accesso ai servizi, ecc.) “su base di uguaglianza con gli altri” e non in via separata o differenziata;
B) modificare gli attuali accertamenti di invalidità civile, di “stato di handicap” e di disabilità ai fini lavorativi (ex lege n. 68/1999), finora incentrati solo sulle compromissioni della persona, verso un nuovo e più idoneo riconoscimento della condizione di disabilità, quale interazione della persona con i contesti che vive, e del livello dei sostegni necessari per determinare un più mirato accesso ai servizi (c.d. “valutazione di base”);
C) riconoscere alla persona con disabilità il diritto a richiedere un progetto individuale, personalizzato e partecipato, onde sostenere il suo percorso di vita, lungo tutte le sue fasi (c.d. “progetto di vita”).
Pertanto, il decreto legislativo, dopo aver assunto le nuove definizioni coerenti al nuovo approccio alla disabilità (nel Capo I), si occupa necessariamente delle significative modifiche agli attuali accertamenti di invalidità civile, di disabilità ai sensi della legge n. 104/1992 e di disabilità ai fini lavorativi (nel Capo II), riunificandoli all’interno dell’accertamento della c.d. “condizione di disabilità” e quindi, non più solo concentrando la valutazione (definita “di base”) sulle limitazioni connesse alle compromissioni, ma ponendo l’attenzione sull’interazione tra quella persona, con le date compromissioni, e il contesto, verificando di conseguenza anche l’intensità dei sostegni a cui si ha diritto per vivere quel contesto sociale. Tale diverso approccio porta quindi a non considerare più la persona come “handicappata” per le sue sole stesse patologie, né a graduare tale “handicap” in “grave/non grave” quasi in maniera proporzionale all’entità delle proprie compromissioni individuali (secondo la vecchia disciplina dell’articolo 3 della legge n. 104/1992), ma “in condizione di disabilità”, determinatasi dall’interazione con i contesti che possono incidere ancor più significativamente nella possibilità della persona di viverli. Di conseguenza la valutazione di base indicherà anche il livello di intensità dei sostegni (lieve, medio, elevato, molto elevato) che deve essere riconosciuto alla persona in tale condizione di disabilità per riuscire invece a vivere i vari contesti di vita. In sostanza, il focus si sposta dalle difficoltà della persona, proprie dell’”handicap”, ai sostegni necessari per superare la condizione di disabilità.
Quindi, con la riforma, l’esito della valutazione di base costituirà un più ampio patrimonio informativo da utilizzare per assegnare in maniera più mirata gli attuali benefici e prestazioni. Sul punto, occorre ricordare che i benefici e le prestazioni a cui si accede oggi rimarranno tali, ma assegnati potendo avere un quadro più ampio ed unitario delle esigenze della persona con disabilità. Tra l’altro, nella valutazione di base rientra anche l’accertamento della condizione di non autosufficienza – da cui derivano ulteriori diritti di sostegno – con il doppio beneficio di:
- non onerare più la persona con altre visite innanzi a specifiche commissioni di valutazione multidimensionale solo per tale aspetto;
- garantire la valutazione sulla persistenza della non autosufficienza anche rispetto alla vita di relazione.
Chiarito che, a seguito della valutazione di base, ciascuna persona con disabilità può chiedere l’attivazione di singoli interventi e benefici connessi alla sua necessità di sostegno di vario livello di intensità, occorre ricordare che il decreto legislativo n. 62/2024 prevede (nel suo Capo III) anche la possibilità per la persona di attivare una valutazione multidimensionale volta alla definizione del c.d. “progetto di vita”. Ciò in quanto la persona potrebbe scegliere che vi sia un’unitaria definizione dei vari sostegni, anche per coordinarli tra loro e valorizzarli reciprocamente o anche per attivare per il proprio percorso di vita pure delle prestazioni atipiche, non presenti nel catalogo dell’offerta territoriale.
Relativamente al primo aspetto, inerente al valore di un coordinamento degli interventi per uno sviluppo unitario della persona, si può pensare al caso in cui un ragazzo con disturbo dello spettro autistico frequenti la scuola ed abbia un PEI scolastico ben strutturato con uno specifico approccio educativo, mentre nel pomeriggio lo stesso ragazzo frequenti un servizio, in convenzione con la Asl, di terapia cognitivo-comportamentale, con un suo piano di intervento riabilitativo che però non abbia un approccio educativo coerente con quello scolastico. In tal caso, le risorse messe in campo e i singoli piani di sostegno (ossia il PEI scolastico ed il progetto riabilitativo) non risultano integrati.
Pertanto, il progetto di vita non può ridursi alla mera somma o all’elenco dei singoli servizi, ma porta anche a riallineare gli approcci e gli interventi che i singoli piani di intervento stanno utilizzando.
Il progetto di vita permette anche di coordinare ed integrare risorse di più ambiti. È il caso, per esempio, dell’attivazione di una soluzione alloggiativa in co-housing insieme ad altre persone con disabilità, utilizzando risorse del fondo sul “durante, dopo di noi” unitamente, però, a quelle inerenti all’assistenza domiciliare. Infatti, le risorse del fondo “dopo di noi” sono solo una parte utilizzabile per attivare un co-housing, potendo anche utilizzare gli interventi di cui sono già beneficiarie le singole persone con disabilità (come le ore di assistenza domiciliare presso l’originaria abitazione familiare, che possono essere utilizzate presso la nuova soluzione alloggiativa).
Un elemento di assoluta novità nella elaborazione di un progetto di vita risiede nella nuova disciplina del c.d. “budget di progetto”, quale l’“insieme delle risorse umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche, pubbliche e private” che servono per dare attuazione agli interventi previsti dal progetto di vita. Infatti, il budget di progetto non viene definito a valle, dopo che, a monte, è stato elaborato il progetto di vita, ma è parte integrante di quest’ultimo, stante il fatto che per la stessa definizione dei sostegni è necessario individuare da un punto di vista quantitativo e qualitativo le varie tipologie di risorse da mettere in campo e come farle interagire.
Non si fa un progetto di vita senza un budget di progetto e non lo si sottoscrive senza di esso. Non a caso, l’articolo 26, comma 7, del decreto legislativo n. 62/2024 prevede che tutti coloro che dovranno erogare interventi (sia i dirigenti delle pubbliche amministrazioni sia i responsabili anche di enti privati, inclusi quelli del terzo settore) devono partecipare all’elaborazione e alla sottoscrizione del progetto di vita, perché devono contribuire a mettere a disposizione risorse, non solo economiche ma soprattutto professionali, perché possano costruirsi le risposte ai bisogni di sostegno emersi dalla valutazione multidimensionale.
Tutto ciò porta ad evidenziare che il budget di progetto non è una mera ricognizione di singoli finanziamenti ora per l’uno ora per l’altro intervento e servizio, ma anche una messa in compartecipazione delle risorse da parte dei vari attori, che a vario titolo ruotano attorno alla persona, per attivare interventi e servizi trasversali a più comparti, creando semmai un’offerta di soluzioni del tutto personalizzate, innovative e non rientranti tra quelle ordinariamente offerte su quel dato territorio dalle istituzioni. Ciò anche per poter più facilmente ottemperare alla previsione presente nel decreto legislativo n. 62/2024, secondo la quale “le misure, le prestazioni ei servizi contenuti nel progetto di vita… possono essere conformati sulla base delle esigenze emerse dalla valutazione multidimensionale e possono assumere contenuto personalizzato rispetto all’offerta disponibile”.
Per esempio, se la valutazione multidimensionale ha evidenziato la necessità di una studentessa universitaria con disabilità di avere un trasporto extra urbano da casa all’università e tale servizio non è nel catalogo delle offerte del territorio, si possono combinare le risorse attivabili in quel territorio per creare ex novo un servizio atipico. Per esempio, si potrebbe usare la risorsa strumentale dell’università, quale il pulmino con la sua assicurazione, la risorsa umana del volontario di un ente del terzo settore che fa l’autista gratuitamente e la risorsa economica derivante dal contributo per la vita indipendente per contrattualizzare un accompagnatore. In questo caso il nuovo servizio nasce dalla combinazione delle varie risorse non utilizzate per singoli ambiti in compartimenti stagni, soddisfacendo le esigenze della persona con disabilità con una risposta atipica.
In sostanza nel budget di progetto si segue una regola, che del resto attraversa trasversalmente la riforma e anche ciascuno dei suoi istituti: partire dalla persona e dare risposta ai suoi bisogni di sostegno, e non dalle risorse che vanno, invece, indirizzate e coordinate di conseguenza, nel senso sopra detto.
Occorre altresì ricordare che il decreto legislativo prevede che per strutturare risposte con prestazioni atipiche si può attingere ad un fondo nazionale per l’implementazione dei progetti di vita che ha una dotazione di 25 milioni annui. Un segnale che il legislatore ha voluto dare, anche se in alcuni casi già la nuova metodologia del budget di progetto può dare maggiori risposte ai bisogni delle persone con disabilità con le risorse già esistenti sul territorio e all’interno della comunità (come emerso dal sopra citato esempio). Alcune risposte, però, potrebbero necessitare di un quid pluris, di una risorsa aggiuntiva, da poter richiedere, nei limiti finanziari sopra ricordati, dimostrando che il progetto di vita sia rispondente alle esigenze specifiche particolari di quella persona con disabilità e che non ci sia una risposta ordinaria sufficiente da parte del territorio.
Le tempistiche per l’avvio della riforma
Nel 2025 partirà una sperimentazione in 9 province (Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste) anche per comprendere se l’utilizzo del budget di progetto, e la costruzione di questo nuovo modo di intendere il progetto di vita, possano essere assolutamente validi dispositivi o se la norma necessiti di essere modificata, avendo la possibilità entro giugno 2026 di fare un correttivo. Nel frattempo, in queste settimane è partita un’intensa attività di formazione per le 9 province, coinvolgendo tutte le figure (sociali, sanitarie, della scuola, ecc.) che a vario titolo intervengono nelle vicende oggetto della riforma.