Non è più una novità: la povertà in Italia non accenna a diminuire e ormai da alcuni anni, dopo l’esplosione registrata nel corso della pandemia, si mantiene su livelli di sostanziale stabilità. Nonostante tale tendenza, alcuni valori censiti nel 2023 nel nostro Paese – in particolare riferiti ad alcune categorie di persone, quali lavoratori, stranieri e minori – sono i più alti mai toccati negli ultimi 10 anni, facendo così registrare al fenomeno un preoccupante record negativo.
Secondo le ultime statistiche sulla povertà pubblicate da ISTAT lo scorso 17 ottobre, nel 2023 si trovano in condizioni di povertà assoluta1 poco più di 2,2 milioni di famiglie (pari all’8,4% del totale, valore stabile rispetto al 2022) e quasi 5,7 milioni di individui (pari al 9,7% del totale, come nell’anno precedente). Per il secondo anno consecutivo, la causa di livelli così alti è in larga parte da attribuire all’inflazione: infatti, nonostante l’andamento positivo del mercato del lavoro (+2,1% di occupati nell’ultimo anno) e l’aumento della spesa media mensile per consumi delle famiglie (pari a 2.738 euro, +4,3% rispetto al 2022), l’elevata crescita dei prezzi al consumo (+5,9%) ha fatto registrare un calo dell’1,5% in termini reali delle spese per consumi delle famiglie meno abbienti. In base a quanto rilevato da ISTAT rispetto alle spese per i consumi delle famiglie italiane, il forte aumento dei prezzi che ha caratterizzato il 2023 è stato fronteggiato risparmiando meno (la propensione al risparmio è pari al 6,3%, 1,5 punti percentuali in meno rispetto al 2022), ma anche modificando le abitudini di consumo, in particolare nel comparto alimentare (il 31,5% delle famiglie dichiara di aver provato a limitare la quantità e/o la qualità del cibo acquistato, +2% rispetto all’anno precedente).
Tornando alla povertà assoluta, secondo le stime di ISTAT, a livello geografico, il fenomeno colpisce maggiormente il Mezzogiorno, dove si trovano in tali condizioni 859 mila famiglie (10,2%) e oltre 2,3 milioni di individui (12%), i piccoli Comuni con meno di 50 mila abitanti (8,8%) e i Comuni centro dell’area metropolitana (8,1%), in particolare nelle Regioni del Sud (15,9%). Per quanto riguarda le tipologie familiari, rimane particolarmente critica la situazione delle famiglie più numerose, dove la povertà assoluta raggiunge un’incidenza del 20,1% per i nuclei con cinque e più componenti e dell’11,9% per quelli composti da quattro persone. Tuttavia, il disagio più marcato si osserva per le famiglie con tre o più figli minori, dove l’incidenza della povertà sale al 21,6%, contro il 9,7% delle famiglie con un solo figlio.
Lavoro sempre più povero
Se fino a qualche anno fa il lavoro rappresentava un forte fattore di protezione contro la povertà, oggi tale vantaggio è sempre meno netto. È certo innegabile che chi è occupato sia meno esposto allo svantaggio economico rispetto a chi un lavoro non ce l’ha, ma sempre più spesso avere un impiego non basta ad evitare lo scivolamento in povertà. Ne è una dimostrazione la sempre maggiore diffusione del fenomeno dei working poor, ossia dei lavoratori con redditi inferiori alla soglia di povertà, spesso occupati in mansioni a bassa remunerazione e qualifica, con carriere lavorative precarie, segmentate e irregolari, e con contratti di lavoro non standard. Infatti, ci dice sempre ISTAT, nel 2023 il numero degli occupati in condizioni di povertà assoluta continua a crescere (8,1% vs 7,7% del 2022) e per alcune categorie raggiunge il valore più elevato della serie storica dal 2014. Si tratta in particolare di famiglie con persona di riferimento operaio e assimilato, per le quali l’incidenza della povertà assoluta è pari al 16,5% (in crescita di 1,8 punti percentuali rispetto al 2022), il valore più elevato degli ultimi 10 anni. Nettamente più elevata l’incidenza della povertà assoluta tra coloro che sono in cerca di un’occupazione, la quale, pur assestandosi al 20,7%, risulta in diminuzione di 1,7 punti percentuali rispetto al 2022. Si riduce così sempre di più il divario tra le condizioni di chi lavora e di chi no.
La rilevanza del fenomeno dei working poor è sottolineata anche da Caritas che, nel suo ultimo Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia pubblicato lo scorso 12 novembre, mette in luce come un fattore che accomuna la gran parte delle persone accolte nei Centri di ascolto sia la fragilità occupazionale, che si esprime nel 48,1% dei casi in condizioni di disoccupazione e nel 23% in situazioni di lavoro povero, con punte che arrivano al 26,1% in Toscana e al 28,4% in Piemonte. Si tratta per lo più di stranieri (65%), di età compresa tra i 35 e i 54 anni (60,2%), genitori di figli minorenni (70,3%) e persone che vivono in affitto (76,6%), impiegati prevalentemente nei settori dell’edilizia, della ristorazione, della vendita ambulante, delle pulizie domestiche e della cura.
Particolarmente preoccupante la situazione dei minori
Ancora una volta, la povertà assoluta aumenta al decrescere dell’età della persona di riferimento del nucleo familiare, ad indicare che i giovani tra i 18 e i 34 anni – disponendo generalmente di redditi più bassi e minori risparmi accumulati nel corso della vita – sono tra le categorie più esposte al disagio economico, con un’incidenza della povertà assoluta pari all’11,8%. Oltre ai giovani la povertà assoluta continua a colpire i più piccoli: si trovano in tali condizioni quasi 1,3 milioni di minori, con un’incidenza del 13,8% (in aumento di 0,4 punti percentuali rispetto al 2022) che varia dal 12,9% del Nord al 15,5% del Mezzogiorno. Anche in questo caso, il 2023 fa registrare al nostro Paese il valore più alto dal 2014. Preoccupanti peggioramenti si registrano in particolare per le fasce d’età 4-6 anni (14,8%, +0,5% rispetto all’anno precedente), 7-13 anni (14,5%, + 0,9%) e 14-17 anni (12,7%, +1%).
Le famiglie in povertà assoluta in cui sono presenti minori sono quasi 748 mila, con un’incidenza pari al 12,4%, anch’essa in crescita rispetto al 2022 (11,7%). I valori più elevati si registrano tra le famiglie dove generalmente convivono più nuclei familiari e/o membri aggregati (25,6%), tra i nuclei numerosi con tre o più figli (18,8%) e tra le famiglie monogenitore (14,8%). Nonostante una sostanziale stabilità dell’incidenza della povertà assoluta rispetto al 2022, l’intensità della povertà2 delle famiglie con minori, pari al 20,1%, è più elevata di quella del complesso delle famiglie povere (18,2%), a ulteriore testimonianza di una condizione di più marcato disagio.
Per quanto riguarda la condizione lavorativa della persona di riferimento, i valori più elevati si registrano tra le famiglie con minori in cui il capofamiglia è in cerca di occupazione (23,9%, -4,4% rispetto al 2022) o lavora come operaio e assimilato (19,4%, +3,8%). Anche la cittadinanza gioca un ruolo importante nel determinare la condizione socio-economica delle famiglie con minori: segnali di disagio più evidente si registrano tra i nuclei composti da soli stranieri, dove l’incidenza della povertà assoluta arriva a 41,4% (+5,3% rispetto all’anno precedente), contro l’8,2% di quella delle famiglie con minori composte solamente da italiani.
Occorre presidiare con particolare attenzione la situazione dei minori, dal momento che è ormai noto il carattere “ereditario” della povertà: condizioni di disagio economico del passato si ripercuotono sul rischio di povertà attuale, e così via, dando vita a quello che viene definito “circolo dello svantaggio sociale”. Lo confermano anche gli ultimi dati pubblicati da Eurostat lo scorso 23 ottobre. Nel 2023 in Europa è a rischio di povertà3 il 20% degli adulti tra i 25 e i 59 anni che hanno dichiarato di aver avuto una cattiva situazione finanziaria nel proprio nucleo familiare all’età di 14 anni, contro il 12% che afferma di aver avuto una situazione familiare buona dal punto di vista economico. L’Italia si colloca al terzo posto di demerito, con il 34% di adulti oggi a rischio povertà che hanno vissuto l’adolescenza in un contesto di disagio economico (14 punti percentuali in più della media UE!), rispetto al 14,4% di coloro che dichiarano di essere cresciuti in una situazione economicamente buona. Le situazioni peggiori si registrano in Bulgaria (48,1% vs 14,4%) e Romania (42,1% vs 14,6%), di contro la Danimarca risulta essere l’unico Paese in cui gli adolescenti che vivevano in famiglie finanziariamente svantaggiate non hanno affrontato un rischio maggiore di povertà in età adulta (8,5% vs 8,9%).
Picchi di deprivazione economica tra gli stranieri
Secondo i dati ISTAT, nel 2023 sono oltre 1,7 milioni gli stranieri in povertà assoluta, con un’incidenza individuale pari al 35,1%, oltre quattro volte e mezzo superiore a quella degli italiani (7,4%). Sono invece oltre 568 mila le famiglie in povertà assoluta composte esclusivamente tra cittadini stranieri, con un’incidenza del 35,1%, oltre cinque volte e mezzo in più di quelle composte da soli italiani (6,3%). Anche tali valori sono i più alti registrati nel corso dell’ultimo decennio.
Il 35,8% delle famiglie con almeno uno straniero in condizioni di povertà assoluta risiede nel Mezzogiorno, dato che si alza al 39,5% per quei nuclei familiari composti esclusivamente da stranieri, contro l’8,8% delle famiglie di soli italiani. Nelle Regioni del Centro Italia le famiglie povere con stranieri mostrano un’incidenza più contenuta, sebbene sette volte superiore a quella delle famiglie di soli italiani (28,5% vs 4,1%), mentre al Nord le famiglie di soli stranieri arrivano a valori dell’incidenza pari al 35%, oltre sei volte superiori a quelli delle famiglie composte da soli italiani (5,5%).
La difficoltà maggiori si presentano per le famiglie di soli stranieri residenti nei Comuni fino a 50 mila abitanti (38,5%) e nei Comuni centro dell’area metropolitana (37%). Ancora, per quei nuclei in cui la persona di riferimento è in cerca di occupazione (37,7%) o occupata come operaio e assimilato (37,2%). In questo caso l’incidenza risulta essere pressoché la stessa, ad indicare quanto – in particolare per gli stranieri – il lavoro non sia in grado di proteggere dallo scivolamento in povertà. E infine per le famiglie con almeno uno straniero in cui sono presenti minori (34,1%, che sale a 41,4% per i nuclei con minori composti da soli stranieri).
Povertà più diffusa tra le famiglie che vivono in affitto
È, infine, noto come la condizione di povertà assoluta sia correlata anche al titolo di godimento dell’abitazione presso la quale si vive. Nel nostro Paese sono circa 1 milione le famiglie povere in affitto, con un’incidenza del 21,6% (che nel Mezzogiorno sale al 23,8%), contro l’11,6% dei nuclei in usufrutto o uso gratuito e il 4,7% delle famiglie che vivono in abitazioni di proprietà. Tra le famiglie in affitto, l’incidenza della povertà assoluta è più elevata per i nuclei con almeno uno straniero (pari al 37% vs 15% di quelle interamente composte da italiani), con minori (31%, +3,9% rispetto al 2022) e con capofamiglia di età compresa tra i 35 e i 44 anni (pari al 24,9% vs 17,3% di quelle con persona di riferimento ultra 65enne).
Il disagio abitativo rappresenta, tuttavia, un’emergenza molto più ampia: sono sempre più le famiglie senza una casa o che vivono in condizioni abitative inadeguate (es. case sovraffollate, poco luminose e senza servizi), che faticano a pagare affitto, mutuo e bollette, e che subiscono sfratti per morosità. A dirlo è il sopracitato Rapporto Caritas, che sottolinea come la dimensione abitativa sia il terzo tra i problemi riportati dai Centri di ascolto, che coinvolge circa il 22,7% dell’utenza totale, dato che sale al 27% se si considerano solo le persone straniere. Sempre Caritas ci dice che il disagio abitativo si presenta molto spesso in tandem con altri bisogni: la combinazione con maggiore frequenza (17,9%) risulta quella in cui al bisogno abitativo si somma quello occupazionale ed economico in generale, generando un circolo di vulnerabilità ed esclusione sociale da cui è sempre più difficile uscire.
- ISTAT classifica come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia di povertà assoluta (che si differenzia per dimensione e composizione per età della famiglia, per Regione e per tipo di Comune di residenza).
- Misura di quanto in percentuale la spesa media delle famiglie definite povere è al di sotto della soglia di povertà.
- Secondo la definizione fornita da Eurostat, il tasso di rischio di povertà è la quota di persone con un reddito disponibile equivalente (dopo i trasferimenti sociali) inferiore alla soglia di rischio di povertà, fissata al 60% del reddito disponibile equivalente mediano nazionale dopo i trasferimenti sociali.