Si può fare! Riflessioni dal convegno “Disabilità: Cantieri e Prospettive”


Claudio CastegnaroEleonora Gnan | 13 Dicembre 2024

Oltre ai diritti occorre prendere in considerazione i bisogni, le aspettative, i sentimenti, i gusti e i desideri, ovvero le “cose” che solitamente danno senso alla vita delle persone, con o senza disabilità. Dopo una lunga stagione di politiche contraddistinta dalla “protezione”, siamo in una fase di svolta nella quale siamo tutti chiamati a realizzare un cambio di paradigma. A partire dal guardare con occhi diversi alle persone, nonché al sistema assistenziale che deve essere gioco forza integrato, a livello nazionale e territoriale, per poter garantire inclusione. Questa è la cornice che ha contraddistinto i lavori del convegno nazionale “Disabilità: Cantieri e Prospettive” e la preparazione di uno specifico Punto di Welforum.

 

“Si può fare!”. In estrema sintesi, è il messaggio emerso dai lavori della mattinata del 6 marzo 2024 a Cuneo, dove si è svolto il convegno nazionale “Disabilità: Cantieri e Prospettive” promosso e organizzato da Fondazione CRC, Fondazione CRC Donare ETS e Associazione per la Ricerca Sociale con Welforum.it. Un’occasione di confronto e discussione non solo sulle trasformazioni normative in atto, ma anche su sinergie ed esperienze significative, a 15 anni dalla ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

L’attenzione al progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato, sviluppato seguendo i cicli di vita delle persone con disabilità e delle famiglie, la personalizzazione degli interventi e la flessibilità delle risposte costruite a partire dai bisogni e dalle aspettative dei soggetti, la sostenibilità – economica, sociale, organizzativa e professionale – degli interventi e dei servizi, la rete territoriale e la formazione continua sono alcuni dei “fili rossi” che hanno guidato le riflessioni nel corso dell’evento.

Le relazioni introduttive

È evidente come quello che siamo vivendo sia un “periodo storico, sociale ed economico di grandi trasformazioni ed opportunità”. Queste le parole della Ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli, nel suo video intervento di apertura, riferite in particolare alle possibilità di cambiamento offerte dalla Legge delega sulla disabilità (L. 227/2021) e dai relativi decreti attuativi1 che, con l’introduzione del dispositivo del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato, sostenuto dal budget di progetto, intende invertire la prospettiva mediante la quale il mondo delle istituzioni si prende cura delle persone con disabilità, nel passaggio dall’estrema frammentazione di prestazioni e servizi ad una presa in carico unitaria, in grado di mettere realmente al centro la persona con i suoi desideri.

Il tema dei cambiamenti e delle opportunità offerte dalla Legge delega è stato approfondito in particolare dall’intervento di Gianfranco De Robertis, Vice-presidente del Tavolo tecnico per la redazione di un Testo unico per le disabilità. La riforma alle porte è guidata da tre strade maestre:

  • il passaggio dal modello sanitario della disabilità al “modello dei diritti umani”, secondo la logica dell’uguaglianza nell’esercizio dei diritti di tutti e guardando all’interazione tra la persona con disabilità e l’ambiente circostante;
  • la semplificazione del riconoscimento della condizione di disabilità attraverso la “valutazione di base”, in seguito alla quale, in un’ottica di razionalizzazione delle risorse e semplificazione delle procedure, la persona può richiedere una valutazione multidimensionale finalizzata all’elaborazione del progetto di vita;
  • il riconoscimento alla persona con disabilità del diritto a richiedere un progetto volto a sostenere il proprio percorso di vita mediante il “progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato”. Un progetto, dunque, non standardizzato, in grado di declinare gli obiettivi di vita in relazione ai desideri e alle aspettative della persona con disabilità, con il protagonismo diretto della stessa.

All’interno del ridisegno previsto dalla Legge delega sulla disabilità, un altro elemento di grande importanza è rappresentato dal “budget di progetto”, un dispositivo che punta a integrare e mobilizzare le risorse (umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche) dei diversi attori in gioco – pubblici e privati -, andando così a superare il sistema frammentato prodotto dai singoli Fondi e linee di finanziamento via via costituiti. Si tratta di un’importante occasione attraverso cui poter dar vita non solo ad interventi maggiormente flessibili e meglio rispondenti alle esigenze della persona, ma anche a servizi innovativi e “atipici” che non rientrano nelle canoniche unità di offerta.

In tal senso, un esempio calzante è rappresentato dagli interventi nel campo della disabilità scaturiti dal ricorso alla co-programmazione e co-progettazione tra l’Amministrazione pubblica e gli Enti del Terzo Settore, tema ampiamente affrontato da Alceste Santuari, Professore del Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia dell’Università di Bologna. Secondo l’art. 28 dello schema di Decreto Legislativo in materia di disabilità che ha raccolto l’intesa in Conferenza Unificata, la realizzazione del budget di progetto deve essere effettuata proprio attraverso gli istituti giuridici di natura cooperativa di cui all’art. 55 del Codice del Terzo Settore. Quanto affermato sulla carta richiede un cambiamento di paradigma, senz’altro faticoso ma sicuramente possibile e già in atto in molti territori. Di fatto, il Terzo Settore passa dall’essere un mero erogatore di servizi a soggetto coinvolto attivamente e legittimamente nella progettazione degli interventi con l’Amministrazione pubblica, condividendone con quest’ultima la funzione pubblica (art. 1 del Codice del Terzo Settore) volta ad assicurare i Livelli Essenziali delle Prestazioni nel nostro Paese. È indubbio che si tratti di un’operazione complessa considerando le tradizionali prassi competitive tra soggetti gestori e i conseguenti limiti e difficoltà oggettive nello stare insieme in un’ottica collaborativa. Gli istituti della co-programmazione e co-progettazione, in particolare nel campo della disabilità, presentano tuttavia il grandissimo potenziale di dar vita a percorsi di inclusione innovativi e sperimentali, non solo dal punto di vista del prodotto. ma anche del processo.

Quali sono, in Italia, le esperienze partecipative nel campo della progettazione personalizzata in grado di fornire utili spunti di riflessione? Laura Belloni, a partire dall’esperienza di Fondazione Idea Vita di Milano – di cui è Direttrice –, ha focalizzato l’attenzione sull’importanza di promuovere la vita indipendente delle persone con disabilità, in termini di partecipazione e libertà di scelta rispetto a come, dove e con chi vivere. Nella costruzione del progetto di vita occorre, dunque, partire non tanto dall’esistente ma da quello che la persona con disabilità desidera. Se interrogare, ascoltare e comprendere desideri ed aspettative delle persone con disabilità risulta imprescindibile, è altrettanto importante garantire un elemento di supporto e mediazione in questo compito non affatto banale. La cosiddetta “Azione di monitoraggio della qualità della vita” mira proprio a cooptare sul territorio professionisti del mondo della disabilità affinché si mettano a fianco delle famiglie per costruire insieme ai servizi pubblici e privati il progetto di vita dei propri figli, garantendo così una continuazione dello sguardo genitoriale anche nella prospettiva del Durante e Dopo di Noi.

Altre misure e strumenti utili a sostegno del progetto di vita sono previsti dalla Legge 112/2016 che dispone in particolare, agevolazioni fiscali per trust, vincoli di destinazione, contratti di affidamento fiduciario e assicurazioni. È soprattutto sul trust che si è soffermata la relazione di Luca Bellini, Presidente del Consiglio di Gestione di Fondazione Lombarda Affidamenti. L’elemento che rende lo strumento giuridico del trust estremamente interessante ai fini del progetto di vita della persona con disabilità è il suo vincolo alla realizzazione del progetto di vita stesso: per legge, tale patrimonio deve essere speso in risposta alle esigenze della persona secondo un progetto personalizzato, che deve quindi essere pensato, costruito e aggiornato nel tempo. Ma non solo, il trust è anche in grado di produrre delle ricadute positive sul welfare sociale poiché, incentivando l’utilizzo di risorse economiche private per la realizzazione del progetto di vita, può generare un notevole risparmio per il sistema pubblico. Con ulteriori ricadute positive: le risorse vengono destinate a favore di servizi alla persona con disabilità che diversamente non riceverebbe; gli Amministratori di sostegno, sgravati dall’onere della gestione del patrimonio, sono incentivati a ricoprire tale ruolo; in alcuni casi si riesce a innestare nel trust la prospettiva solidaristica che considera tra i beneficiari diretti altre persone e famiglie non disponenti di rilevanti patrimoni ovvero , enti di beneficienza o del Terzo Settore specializzati i quali possono accompagnare ulteriori destinatari finali.

Il tema relativo all’abitare, come ambito cruciale del progetto di vita di ogni persona con disabilità, è stato approfondito da Luca Marchi, Direttore di Fondazione Dopo di Noi Bologna Onlus. Attraverso la promozione di un “Sistema residenziale diffuso”, quale palestra abitativa fuori dalla casa dei genitori, viene sottolineata l’importanza di dare vita a percorsi preparatori rivolti non solo alle persone con disabilità, ma anche alle famiglie che spesso patiscono fortemente il distacco, in un’ottica di cambiamento verso una visione diversa del futuro dei figli. Visione che è possibile solo se alla base c’è un progetto di vita personalizzato e partecipato, che spinge la famiglia ad investire – anche economicamente – nel Dopo di Noi, talvolta di un’ottica di compartecipazione dei costi in modo da garantire la sostenibilità dei progetti stessi.

Il presente Punto di Welforum raccoglie i contributi rivisti e integrati dai relatori. Vi invitiamo a leggerli e commentarli sul portale.

La successiva tavola rotonda

Continuità assistenziale, adattamento al ciclo di vita delle persone con disabilità, promozione dell’autonomia, équipe multidisciplinare, formazione capillare, condivisione di linguaggio e costruzione di fiducia sono le parole chiave che hanno guidato gli interventi della tavola rotonda conclusiva della mattinata.

Nella costruzione del progetto di vita, l’attenzione al ciclo di vita della persona con disabilità e della famiglia, in particolare nel delicato passaggio alla vita adulta, e la conseguente necessità di adattamento dei servizi sono gli elementi sottolineati da Maurizio Arduino, Responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale di Psicologia e Psicopatologia dello sviluppo della ASL Cuneo 1). Sara Marchisio dell’Ufficio Attività progettuali del Consorzio Socio Assistenziale del Cuneese concentra l’attenzione sul tema della formazione degli operatori e della presa in carico integrata attraverso équipe multidisciplinari dallo sguardo olistico. La questione del cambiamento culturale – lento e faticoso, che coinvolge tutti gli attori in gioco – e dell’accompagnamento alle famiglie nella costruzione di una relazione di basata su ascolto e fiducia è, invece, toccata da Aurora Rubiolo, Presidente dell’Associazione L’Airone. Alessandra Dogliani, Responsabile dell’Assistenza Sociale d’Impresa di Confindustria Cuneo, sottolinea il valore della rete anche con il mondo imprenditoriale, che si può generare solo attraverso una condivisione di intenti e linguaggi, e l’importanza dell’accomodamento ragionevole. In un’ottica di promozione di vicinanza tra le istituzioni e le persone con disabilità, Alessandra Nocco, Giudice tutelare del Tribunale di Cuneo, presenta il servizio prestato dagli Uffici di Prossimità che offrono alle famiglie consulenza e accompagnamento gratuito relativamente al complesso mondo dell’Amministrazione di Sostegno. Chiude il Direttore della Direzione Welfare di Regione Piemonte Livio Tesio. A partire da un’analisi su dati di realtà che fa emergere con forza su tutto il territorio nazionale una preoccupante crisi del lavoro di cura e delle figure professionali ad esso dedicate, dovuta a una mancanza di operatori qualificati, sottolinea l’importanza di aprire un confronto attivo con i diversi livelli territoriali e con i soggetti gestori, elementi centrali del sistema di offerta, per dar gambe al cambiamento culturale e organizzativo auspicato dalla Riforma sulle disabilità. 

Di certo non si può fare tutto da soli, ma non per questo si può arrivare impreparati alle scadenze preannunciate dal Governo. Ecco perché una collaborazione stretta tra la pubblica amministrazione, con i suoi diversi “mondi” (il sistema sanitario, il comparto sociale, la scuola, la formazione e il lavoro), gli Enti del Terzo Settore – quali enti gestori o associazioni e organizzazioni di volontariato, e anche aziende private – è non solo auspicabile, ma possibile e anche necessaria.

  1. I provvedimenti finora approvati sono tre e si intitolano: “Disposizioni in materia di riqualificazione dei servizi pubblici per l’inclusione”; “Istituzione dell’Autorità Garante nazionale dei diritti delle Persone con Disabilità, in attuazione della delega conferita al Governo”; “Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato”.