Il lavoro di cura in un Paese distratto


Il recente Rapporto Fidaldo1, quarto di una serie, dal titolo “Il lavoro domestico: tra apparente contrazione e timidi segnali di sostegno”, propone un’ampia mappa delle misure statali e regionali sul lavoro domestico, quello svolto da colf, baby-sitter e badanti. Il Rapporto dedica un’attenzione particolare a queste ultime, cioè al lavoro privato di cura: sono 413.000 le assistenti familiari registrate all’Inps, con quelle senza contratto arriviamo a un milione. Come si stanno muovendo le politiche sociali su questo terreno? Ne esce una mappa densa di luci e di ombre, nel complesso manca quel grado di attenzione che il tema merita.

Le misure nazionali: timidi segnali di sostegno

Nel corso del 2024 sono tre le nuove misure introdotte, a livello nazionale, in tema di sostegno del lavoro domestico e in particolare del lavoro di cura:

  1. La nuova Prestazione Universale, con il nuovo Assegno di assistenza di 850 euro mensili (d. lgs. 29/2024): circoscritto ai soli ultraottantenni poveri (Isee sociosanitario inferiore a 6.000 euro), in condizioni di salute gravissime e già beneficiari di indennità di accompagnamento. L’assegno è vincolato all’uso di servizi domiciliari, quindi anche all’assunzione di assistenti familiari, per un periodo sperimentale di due anni, 2025 e 2026. Interesserà circa 25.000 anziani (gli anziani non autosufficienti in Italia sono 3,8 milioni);
  2. Il nuovo flusso di ingressi per 10.000 stranieri non comunitari destinati al lavoro di cura per grandi anziani e disabili (d. l. 145/2024), che si aggiunge alle 9.500 annue già programmate per il triennio 2023-2025. Si arriva così a soddisfare, per una parte, il fabbisogno di lavoratori domestici. Ma solo stranieri extracomunitari, e solo per un anno.
  3. Il cosiddetto bonus badanti (d. l. 19/2024), l’esonero totale degli oneri contributivi per gli ultraottantenni con indennità di accompagnamento e un Isee sociosanitario inferiore a 6.000 euro. La misura ha la durata di 24 mesi. La platea corrisponde alla stessa platea del nuovo Assegno di assistenza (sub 1): una platea molto circoscritta, che prefigura un esito complessivamente modesto.

Sostenere il lavoro di cura regolare e qualificato, ridurne la dimensione tutta privata che la caratterizza nel nostro Paese, socializzarne i costi e collegarlo alla rete pubblica dei servizi. I tre interventi sopra richiamati sono sufficienti a raggiungere questi obiettivi?

La nostra risposta è negativa. Perché si tratta di interventi troppo limitati, temporalmente e per dimensioni della platea a cui si rivolgono. Occorre un insieme di sforzi diversi, di tutt’altra consistenza, da compiere congiuntamente. Sono quattro i temi cardine posti dalla presenza e dal lavoro domestico in Italia. Li evidenziamo in termini di obiettivi da raggiungere per rendere questo mercato meno isolato e più qualificato, alleggerendo il carico di cura che grava sulle famiglie e superando le attuali criticità. Le quattro aree d’intervento rappresentate nella Figura che segue sono tra loro in relazione circolare e ognuna può generare effetti positivi sulle altre. Al contrario, senza la debita connessione ogni sforzo rischia di produrre esiti limitati.

Questo è il quadro di riferimento per una politica di sostegno del lavoro privato di cura: regolazione degli ingressi, emersione dal lavoro irregolare, sostegni (anche fiscali) ai costi della cura, sostegni all’incontro tra domanda e offerta e alla qualità dell’assistenza: questi sono tutti temi che si legano, e che “si aiutano” se considerati come parti di un unico progetto.

Figura 1 – Sostenere il lavoro domestico: il quadro logico

Per una disamina di ciascuno dei quattro assi di lavoro indicati, rinviamo al capitolo sulle assistenti familiari nel volume curato dal Patto per un nuovo Welfare per la non Autosufficienza “Alla ricerca del futuro. La riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti”, Maggioli, 2024 (scaricabile qui).

Vogliamo qui portare l’attenzione in particolare sul quarto asse: accompagnare l’incontro tra domanda e offerta. Già la legge di bilancio 2022 ha portato questo tema a livello nazionale, stabilendo che ogni Ambito territoriale sociale (ATS) sia dotato di “servizi sociali di supporto per le persone anziane non autosufficienti e le loro famiglie, quali la messa a disposizione di strumenti qualificati per favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro degli assistenti familiari, in collaborazione con i Centri per l’impiego del territorio” (legge 234/2021, comma 162, lettera c). Il decreto legislativo 29/2024 rilancia questo tema richiamando esplicitamente, quale strumento di incontro domanda-offerta, i Registri regionali e gli accordi tra Regioni, ATS e CPI.

Sostenere il lavoro di cura nei territori

Spostando l’attenzione dal livello nazionale a quello territoriale, vediamo che già da anni Regioni, Ambiti Territoriali e Comuni faticano a sviluppare Registri (o elenchi) degli assistenti familiari e Sportelli per l’assistenza familiare2. Si tratta di strumenti presenti solo in alcune Regioni italiane e con modalità di organizzazione variabili. Registri pubblici degli assistenti familiari sono previsti a livello normativo in metà delle Regioni italiane mentre gli sportelli rappresentano iniziative ancora più circoscritte, che si concentrano nel centro-nord del Paese. Mentre proliferano proposte sul mercato privato.

I Registri emergono come uno strumento inizialmente concepito a supporto del matching tra domanda e offerta di servizi di assistenza familiare, rivelatosi nel tempo non sempre utile a tal fine, soprattutto se gestito a livello regionale. I Registri sono infatti strumenti difficili da aggiornare in modo regolare e, in diverse situazioni, sono ancora in vigore più perché vige il requisito dell’iscrizione dell’assistente familiare per i beneficiari dei cosiddetti bonus badanti o degli Assegni di cura3 che in quanto strumento utile a favorire l’incontro tra domanda e offerta. Là dove vengono utilizzati e funzionano è perché risultano collegati a sportelli che offrono informazione, orientamento e accompagnamento.

È il caso ad esempio della Valle d’Aosta, che prevede un Elenco unico Regionale degli assistenti personali, pubblicamente consultabile, ma che consiglia anche a tutti i datori di lavoro interessati a consultare tale Elenco, “essendo impossibile tenere aggiornato lo stato di occupazione degli iscritti”, di rivolgersi presso gli uffici di incontro domanda-offerta di lavoro dei Centri per l’impiego o presso la sede dello sportello sociale del proprio Comune.

L’esempio Valdostano è utile anche per affrontare il tema degli sportelli e dei cambiamenti intercorsi nella loro organizzazione e gestione. In questo caso la novità principale sta nella sempre più frequente collaborazione – a livello di prassi operative o anche solo di indirizzi programmatori – tra servizi sociali e Centri per l’impiego, o comunque nel coinvolgimento di questi ultimi nel realizzare azioni di sostegno all’incontro tra domanda e offerta nel settore domestico.

Ma i Centri per l’impiego, salvo alcune eccezioni4, non hanno esercitato fino ad oggi funzioni nel settore del lavoro privato di cura, un settore che quindi rimane per loro in larga maggioranza estraneo e su cui occorrerebbe sviluppare competenze significative. Il loro coinvolgimento risulta quindi una novità sfidante, perché richiede la “domanda di lavoro” richiede capacità di ascolto e di lettura del bisogno che vanno formate. E non è detto ci sia disponibilità a giocarsi su questo terreno.

Uno sviluppo potenzialmente interessante da questo punto di vista lo troviamo in Toscana, dove proprio in relazione al supporto dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro domestico la Regione sta cercando di promuovere l’attivazione di protocolli di intesa tra Zone Distretto, relativi Comuni e ARTI, l’ente che gestisce la rete regionale dei Centri per l’Impiego. In base alla legge regionale 82/2009 sull’accreditamento delle strutture e dei servizi alla persona, i Comuni sono responsabili dell’istituzione di elenchi degli erogatori dei servizi accreditati, della loro pubblicizzazione e del loro aggiornamento.

La tabella che segue identifica quattro modelli di sportelli a sostegno del lavoro privato di cura. Alcuni degli esempi citati (come la Lombardia e il Veneto) mostrano difficoltà e limiti organizzativi nel rendere operative le connessioni tra domanda e offerta e nel costruire connessioni virtuose tra sportelli e registri. Altri (come l’Emilia Romagna e il Friuli Venezia Giulia) riescono a rispondere meglio all’incontro tra domanda e offerta grazie ad un modello “integrato”.

Tab. 1 – Quattro modelli di Sportelli a sostegno del lavoro privato di cura

 

Il falso mito della disintermediazione

L’Atlante Fidaldo mostra ripetutamente quanto sportelli e Registri non funzionano – hanno poca presa, sono poco efficaci, poco seguiti – se disintermediati, ossia lasciati alla solitudine di un incontro online. Diverso se l’incontro avviene dentro luoghi e con persone che accompagnano la prossimità tra una domanda di lavoro spesso da decodificare e un’offerta che deve trovare canali in cui esprimere una disponibilità molto sfaccettata.

In termini di politiche, è cruciale il dialogo tra Regioni, con i rispettivi Registri delle assistenti familiari, e Ambiti Territoriali Sociali (ATS), i quali possono rendere i Registri strumenti vivi, davvero funzionali all’incontro tra domanda e offerta di assistenza. In caso contrario i Registri rimangono contenitori formali, di scarsa utilità. Nei Centri per l’impiego, là dove coinvolti, vanno sviluppate competenze specifiche sul lavoro privato di cura, pena il rischio di servizi poco adatti alle specificità del settore.

Le quattro aree evidenziate nella Figura 1 disegnano una politica compiuta di sostegno e qualificazione del lavoro privato di cura nel nostro Paese. Il decreto attuativo della legge 33/2023 ne tratta solo una, quella della formazione delle assistenti familiari, rinviando a linee guida ancora tutte da definire. L’introduzione di una nuova Prestazione Universale, ridotta a una sperimentazione molto circoscritta che non potrà mai essere estesa con le stesse caratteristiche, poco influirà sulle dimensioni del mercato irregolare, mentre il rafforzamento delle agevolazioni fiscali è stato ignorato se non per una piccola quota di popolazione anziana.

Il lavoro privato di cura attende quindi – e ancora – interventi di respiro, uscendo dalla disattenzione che l’ha caratterizzato per troppi anni.

  1. Federazione Italiana dei Datori di Lavoro Domestico
  2. Nel Rapporto di ricerca si affronta anche il tema degli Assegni di cura e dei contributi economici a sostegno dell’assistenza familiare messi in campo da Regioni e Ambiti territoriali sociali. Per un approfondimento si rimanda, in particolare, al capitolo 3.,2.
  3. Tale requisito non è ovunque presente nel caso degli Assegni di cura, solo alcune Regioni lo prevedono. Per un approfondimento si rimanda al 3° Rapporto Fidaldo: Il lavoro domestico: prospettive per i territori ai tempi della legge delega sulla non autosufficienza (2023).
  4. Come nel caso del Friuli Venezia Giulia riportato nel Rapporto di ricerca e dove la rete integrata di sportelli SI.CON.TE è stata introdotta nell’alveo dei servizi pubblici all’impiego già dal 2020 (Legge regionale 17/2020).