Accanto ai LEPS: come si accede ai servizi può escludere dai diritti
Maurizio Motta | 17 Febbraio 2025
Pubblichiamo qui il terzo della serie di tre articoli proposti dall’autore. Il primo è scaricabile qui, il secondo qui.
Nei servizi sanitari e sociali si rileva spesso un nodo problematico: anche quando la qualità/quantità delle prestazioni è adeguata, è critica la fase dell’accesso del cittadino, ossia il percorso che deve seguire per arrivare al momento nel quale ricevono gli interventi possibili. Ma perché nei servizi diretti a persone in difficoltà è cruciale favorire un agevole accesso dell’utenza? Almeno perché:
- va evitato che alla sofferenza delle persone che già sono fragili, si aggiunga la difficoltà di dover peregrinare tra servizi diversi, o di destreggiarsi tra modalità di accesso defatiganti;
- un difficile accesso scoraggia le persone più in difficoltà, allontanando proprio coloro che dovrebbero invece essere il target prioritario dei servizi. Se l’accesso non è agevole si rischia un effetto “controdistributivo” del welfare pubblico: servizi che dovrebbero essere diretti ai più deboli (perché hanno lo scopo di redistribuire risorse pubbliche a chi non ne ha di proprie) finiscono invece per essere raggiunti e fruiti solo dai meno deboli;
- il momento del primo contatto cittadino/servizi è anche il momento nel quale si costruisce la fiducia del cittadino, se (sentendosi ben accolto) si crea una immagine del servizio come luogo e come persone ai quali si può affidare;
- è sempre in agguato il rischio che l’organizzazione del servizio, accesso compreso, finisca per essere modellata più sulle esigenze degli operatori e/o dell’amministrazione che non su quelle degli utenti, ossia un effetto di autoreferenzialità.
Ma cosa c’entra l’accesso con i LEPS? C’entra perché è un altro momento/percorso che può deformare i diritti previsti come norma, e produrre effetti selettivi distorti sugli interventi, anche se non esplicitamente desiderati.
Che cosa concorre a costruire un buon accesso? Qui si suggeriscono alcuni aspetti da utilizzare come una check list di ingredienti di un qualunque primo accesso, che consenta di chiedersi “in questo servizio questi aspetti dell’accesso sono adeguati e presidiati?”.
1) La conoscenza del servizio tra la possibile utenza
I cittadini che potrebbero essere fruitori del servizio conoscono la sua esistenza e i modi per arrivarci? Sono efficaci gli strumenti e le modalità di diffusione dell’informazione sul servizio e su cosa offre? E sono adatti a far giungere una informazione comprensibile in particolare a quei possibili fruitori del servizio che hanno minori capacità e possibilità di autonome informazioni (ad esempio che hanno poca confidenza con la lettura, o non sanno visitare siti web)? Se è utilizzata una “Carta dei servizi”, è costruita in modo da essere comprensibile anche dalle persone meno capaci?
2) Come si presenta al cittadino l’iter materiale di accesso
- Gli orari del servizio dedicati all’accesso sono sufficienti, sia come volume sia come distribuzione nell’arco della giornata?
- Occorre una prenotazione (per programmare un tempo adeguato per ogni utente, ma col rischio di eventuali lunghi tempi di attesa nella prenotazione)? O il cittadino può presentarsi senza prenotare in orari predefiniti (ma col rischio per il servizio di non poter gestire bene tutti coloro che si presentano lo stesso giorno)? È possibile una prenotazione anche solo telefonica, senza imporre modalità informatiche?
- È adeguata la logistica delle sedi del servizio (sono ben diffuse nel territorio? Ostacoli nei trasporti per arrivare al servizio, o barriere architettoniche?)
- Il cittadino può ricevere adeguate informazioni sulle prestazioni del servizio per telefono o via e-mail, oppure può acquisirle solo recandosi al servizio?
- Il cittadino deve presentarsi al servizio con documenti che richiedono una non semplice preparazione? Ad esempio l’ISEE; e (generalizzando) per il suo percorso entro il servizio il cittadino può incontrare difficoltà nel procurarsi tutta la documentazione che gli verrà richiesta? Il servizio che lo riceve può aiutarlo a questo scopo?
- Vi sono interventi che prevedono un accesso solo tramite un “bando”, con richiesta da presentare solo dopo che l’ente erogatore lo abbia pubblicato, per ricevere le domande entro una finestra temporale? Metodo che rischia di escludere chi non ha il problema proprio entro la finestra temporale del bando, e chi non riesce a presentare in tempo la richiesta, per mancanza di informazione o per fragilità personali.
- Il luogo di primo accesso è in grado di cogliere e gestire le urgenze?
3) Chi sono gli operatori di “primo contatto” col pubblico?
Quando per la prima volta un cittadino con problemi, che magari ha raggiunto con fatica la consapevolezza di doversi rivolgere al servizio o prova vergogna ed imbarazzo, entra nel servizio e parla con qualcuno, chi trova? Questo “primo incontro” è rilevante per il prosieguo del rapporto con il servizio, perché può fornire al cittadino la sensazione di essere ascoltato e informato, oppure far percepire poca accoglienza. Dunque non è indifferente chiedersi:
- Chi risponde alle prime telefonate dei possibili utenti, e chi incontra per primo il cittadino quando entra nel servizio?
- Con chi si svolge il primo colloquio dell’utente che descrive i propri problemi?
Anche per le funzioni A (che possono essere svolte da operatori senza specifica qualifica professionale) sono rilevanti in chi ascolta il pubblico la competenza (il sapere) e le concrete capacità (saper fare, saper essere).
4) Le modalità per selezionare chi prendere in carico con priorità
Quando non è possibile garantire a tutti i richiedenti una tempestiva “presa in carico” da parte del Servizio (ad esempio per carenza di risorse attivabili), occorre utilizzare metodiche che consentano di individuare le situazioni più urgenti e gravi, per definire un ordine di presa in carico che non sia necessariamente l’ordine cronologico di richiesta degli utenti. L’ordine cronologico infatti può non cogliere le esigenze di gravità ed urgenza, diverse tra differenti richiedenti. Occorrono quindi strumenti di “triage”, ossia scale valutative che identifichino le priorità in base alle quali si ordinano gli utenti per intervenire prima su alcuni. Ed in ogni caso occorre interrogarsi sui rischi che la selezione degli utenti (nel passaggio dall’accesso alla presa in carico) non operi secondo criteri inadeguati. Sono in atto strumenti non casuali a questo scopo?
5) I tempi e l’iter del procedimento di accesso
È utile interrogarsi sull’adeguatezza di diversi segmenti:
1. I tempi necessari per i vari passaggi della filiera che interessa il cittadino, e almeno:
- dal primo incontro con il servizio al momento nel quale gli viene comunicato se potrà accedere alla prestazione richiesta (ossia i tempi del servizio per svolgere l’istruttoria della domanda);
- dal momento di questa comunicazione all’inizio dell’’erogazione degli interventi.
Questa filiera impone al cittadino più ritorni al servizio, che potrebbero essere semplificati?
2. Se in questa filiera intervengono decisioni di uffici diversi dal servizio di primo accesso (ad esempio autorizzazioni da parte di altri uffici per attivare gli interventi), il rapporto del servizio di accesso con questi back office è efficiente? Se tra il primo accesso del cittadino e il momento nel quale egli può fruire dell’intervento intercorrono diverse fasi e un tempo non breve, come l’utente viene informato del percorso della sua richiesta? Sono praticabili anche accessi on line che consentano al cittadino di verificare “a che punto è la mia richiesta”?
3. Dall’accesso il cittadino può ricavare informazioni adeguate circa la trasparenza dell’intero iter, le sulle possibili procedure di ricorso/riesame a suo favore? Se vi sono liste d’attesa il richiedente può averne informazione, inclusi i criteri che le governano?
6) Le informazioni per il cittadino nel momento del primo accesso
Per monitorare questa attività dell’accesso è utile interrogarsi su diversi aspetti:
- La capacità degli operatori di primo incontro col cittadino di cogliere con completezza i suoi bisogni e le possibili richieste di intervento, anche quando la persona che si presenta ha limitate capacità nel rappresentarli.
- Vi sono molte situazioni nelle quali un bisogno espresso dal cittadino può essere tradotto in richieste di numerosi differenti interventi, che peraltro spesso occorre che egli presenti a servizi diversi in tempi diversi. Ad esempio:
- Ad una persona con disabilità o ad un anziano non autosufficiente (ed ai suoi familiari) interessa poter conoscere non solo le prestazioni erogabili dai servizi sanitari e socio assistenziali, ai quali si è rivolto, ma anche tutti gli altri possibili interventi che aiutano a fronteggiare la situazione erogabili da Enti diversi (dalle agevolazioni fiscali, all’indennità di accompagnamento, ai contributi per riduzioni delle barriere architettoniche in abitazioni private).
- Per le persone e famiglie in condizioni di povertà esiste una caotica gamma di prestazioni a sostegno del reddito, locali, regionali e nazionali.
Ed offrire queste informazioni è quasi impossibile da parte degli operatori dei servizi locali perché sono compresenti molte diverse prestazioni (anche nazionali) erogate da soggetti diversi, con criteri differenti, in tempi e scadenze diverse. Dunque è molto importante che il luogo di primo accesso (anche se non è un PUA) possa svolgere funzioni di segretariato sociale fornendo in quella sede, senza costringere il cittadino ad altre peregrinazioni, il massimo di informazioni su tutte le prestazioni che potrebbero essere utili, e sui modi e tempi per richiederle, senza limitarsi ai soli interventi che da quel luogo di accesso si possono direttamente attivare1.
- È assai frequente la situazione di utenti che, rivoltisi ad un servizio, hanno necessità di ricevere anche interventi di altri servizi od amministrazioni. Peraltro è proprio il tentativo di ricomporre in luoghi unitari prestazioni disperse in troppi servizi settoriali che sottende ai progetti per allestire “porte unificate” e “sportelli unici” di ingresso al sistema dei servizi di welfare. Resta perciò importante interrogarsi sulla capacità del servizio (da esplicare anche nell’accesso) di attivare da quel luogo più prestazioni, o almeno di agevolare e guidare l’utente su dove e come richiederle.
7) Il setting della comunicazione operatori/utente durante l’accesso
Almeno alcuni elementi meritano osservazione:
- In particolare in servizi nei quali l’utente deve discutere con gli operatori di delicati problemi personali, l’ambiente nel quali si svolge la comunicazione è decisivo: è dunque consentita una adeguata privacy al cittadino? Logistica e arredi forniscono all’utente un ambiente rassicurante e confortevole? Un idoneo ambiente non è un aspetto di mera immagine, di “bellezza degli arredi”, ma una componente sostanziale che permette (o meno) al cittadino in difficoltà di trovare in quel luogo una accoglienza idonea a comunicare problemi difficili, oppure un ambiente che lo mette in imbarazzo.
- Si presta sufficiente attenzione allo stile della relazione ed ai codici comunicativi che si usano nel rapporto tra operatore e utente? Più elementi concorrono a facilitare o rendere difficile la comunicazione: il linguaggio che utilizza l’operatore (considerando che l’utente può avere scarse capacità espressive, oppure parla soprattutto in dialetto), gli atteggiamenti che sono assunti durante il colloquio (le posture dell’operatore, le interruzioni del dialogo). Ma anche i valori e le culture che tra utente ed operatore possono costituire presupposti impliciti diversi e di notevole peso; si pensi ad esempio alla necessità di un operatore che discute con una famiglia extraeuropea di rischi di abbandono dei suoi minori di rendersi conto che lo stesso concetto di abbandono può avere un diverso perimetro di senso nelle due culture.
- La durata del primo colloquio è necessariamente limitata entro durate predefinite (necessarie per ricevere tutto il pubblico), o può essere al bisogno dilatata?
8) Servizio che si limita ad “aspettare l’utenza” o che “va a cercarla”?
In molti servizi è opportuno interrogarsi sui rischi possibili di un accesso nel quale il servizio si limita ad aspettare che gli utenti si presentino di loro iniziativa, rischi presenti quando gli utenti di quel servizio “non possono” o “non vogliono” venire al servizio di loro iniziativa, ad esempio:
- tipologie di utenza nelle quali non è affatto scontata la volontà di accedere ai servizi, come tossicodipendenti, o persone che vivono in strada senza dimora, che si rivolgono ai servizi dopo un processo che implica tre passaggi non semplici: acquisire la consapevolezza di essere in situazione di difficoltà, superare sensi di sconfitta e vergogna nel chiedere aiuto, informarsi su dove ci si deve recare;
- pazienti con disturbi psichiatrici, nel quali la decisione di rivolgersi ad un servizio è resa difficile anche dalle limitazioni nella comprensione del mondo esterno;
- anziani (anche scarsamente autosufficienti) soli e senza reti di relazione, con impossibilità materiali a gestire un autonomo accesso ai servizi.
Può quindi essere sempre utile per gli operatori farsi questa domanda: se gestiamo il momento dell’accesso esclusivamente restando in ufficio ad aspettare l’utenza che si presenta, ci sono possibili nostri utenti che dimentichiamo, che “perdiamo”, e che quindi non fruiranno del servizio? E di conseguenza chiedersi se vanno ricavate nell’organizzazione dell’accesso attenzioni per:
- andare alla ricerca di contatti con chi non verrebbe da solo al servizio, modalità attuata ad esempio nel “lavoro di strada” con operatori che fisicamente “vanno nei luoghi in cui sono i possibili utenti” per fare loro proposte di contatto (in strada di notte, nei giardini di consumo dei tossicodipendenti, a casa di anziani che vivono soli in posti molto isolati, etc.);
- disponibilità / praticabilità di visite domiciliari di iniziativa del servizio, anche come strumento per stabilire una prima relazione con l’utente;
- per servizi (come quelli di salute mentale) nei quali la volontà del paziente di un rapporto di cura è considerata condizione preliminare per attivare un efficace processo di aiuto, questa esigenza (di adesione del paziente alla cura) va conciliata con quella di non rischiare l’abbandono di pazienti (e famiglie) che non riescono a esprimere con pienezza questa volontà.
Generalizzando un concetto che si applica alla medicina, occorre perciò chiedersi quale sia l’equilibrio corretto tra “servizi di attesa” e “servizi di iniziativa”. Naturalmente l’esigenza di “andare a cercare” gli utenti senza aspettare che arrivino da soli al servizio ha rilievo, significato e peso molto diversi in differenti servizi.
9) Servizi a bassa soglia
Sono quei servizi/modalità nei quali si riducono i meccanismi formali e le procedure che possono rendere difficile l’accesso a persone fragili, non in grado di superare ostacoli culturali e organizzativi. Anche con lo scopo di “far uscire dal sommerso”, “agganciare” persone e gruppi in situazione di rischio o emarginazione, per offrire una prima forma di ascolto/accoglienza, e – se possibile – un intervento (come ad esempio servizi di ospitalità notturna per persone senza fissa dimora, unità mobili o itineranti, camper, tende, che tentano, anche di notte, di accogliere/agganciare e fornire prima assistenza a persone a rischio come senza fissa dimora, immigrati irregolari, prostitute, tossicodipendenti, dipendenti dal gioco).
Domande da proporsi rispetto al servizio che si analizza, correlate anche al precedente punto 8: è opportuno attivare occasioni di contatto tra operatori-utenti fondate su forme di accesso con formalità minime? Ed operanti nei luoghi di vita degli utenti possibili?
10) Il “pacchetto di servizi”
Quando usciamo da un ricovero ospedaliero ci restano sensazioni legate all’esito delle cure (siamo guariti bene), ma anche al cibo (però si mangiava male), alle relazioni (alcuni operatori erano sgradevoli), all’ambiente (era troppo caldo di notte). Ossia, come accade a chiunque nella fruizione di un qualunque servizio, anche gli utenti di servizi per persone in difficoltà percepiscono inevitabilmente cioè che ricevono come un “pacchetto complessivo” di fattori. Il giudizio del fruitore non è dunque centrato solo sulla “prestazione tecnica principale” che ha richiesto e ricevuto, perché nel vissuto del rapporto avuto col servizio l’utente valuta necessariamente sempre il mix delle esperienze che ha attraversato, e conserva una impressione dell’intero servizio che è fondata certo sull’efficacia degli interventi, ma anche sulle relazioni, sul comfort dell’ambiente, e su tutti gli aspetti della sua esperienza. Ne deriva l’esigenza di attenzione organizzativa a curare tutte le componenti dell’accesso, perché è proprio il loro mix ciò che rimane nel giudizio finale del cittadino come giudizio sintetico dell’intero servizio.
11) Si possono fronteggiare le aggressioni?
Non si può trascurare la possibilità che si verifichino aggressioni e comportamenti violenti dell’utenza. Nel fronteggiare queste evenienze va tuttavia trovato un equilibrio tra la non sottovalutazione di questi rischi (che indurrebbe disaffezioni degli operatori) e l’esigenza di non deformare la capacità di accoglienza del servizio rendendola eccessivamente blindata: non mette certo a suo agio il cittadino il dover colloquiare con un operatore separati da un vetro antisfondamento.
12) Esiste un sistema di valutazione dell’accesso?
Per il ruolo cruciale di snodo che svolge nel sistema dei servizi, il momento dell’accesso merita di essere dotato di dispositivi che consentano di monitorare con costanza l’emergere di criticità, che possono essere costruiti con la raccolta di valutazioni di soddisfazione da parte dei cittadini, e sorvegliando che vengano mantenuti criteri ritenuti fondamentali nel funzionamento organizzativo (ad esempio relativi ai tempi del rapporto con i cittadini o a dotazioni minime di risorse)
Per tornare ai LEPS: devono includere prescrizioni su come costruire il primo accesso? Non è realistico che si occupino di tutti i meccanismi prima citati, ma per evitare che l’accesso deformi i diritti meriterebbe almeno:
- esplorare bene se attivare altri “LEPS di processo” (accanto a quello esistente sul “Percorso assistenziale integrato” per non autosufficienti), per incardinare in tutti i territori dispositivi operativi da non eludere
- prevedere che il monitoraggio dei LEPS includa informazioni sull’efficacia dell’accesso, come quelle relative ai tempi d’attesa od all’offerta di segretariato sociale idoneo ad informare i cittadini su tutte le opportunità ricavabili dal welfare.
- Ma, oltre alla scelta di sviluppare queste funzioni informative, ci vuole uno strumento che le consenta agli operatori. Si veda ad esempio quello descritto qui.