Il diritto all’abitare, fattore chiave di inclusione sociale
Daniela MesiniAlice Boni | 7 Marzo 2025
Una questione centrale
È davanti agli occhi di tutti, in primis agli addetti ai lavori, come la questione abitativa sia sempre più centrale nell’accompagnamento delle fragilità. Disporre di una casa significa avere una protezione, un rifugio sicuro, utile a promuovere la dignità, il benessere e l’empowerment delle persone, e a rafforzarne l’inclusione e la partecipazione alla vita attiva e comunitaria.
Ma andiamo per ordine.
Innanzitutto, il disagio abitativo ha una natura multidimensionale, che spesso include incertezza economica, marginalità sociale e vulnerabilità sanitaria. Le famiglie che vivono in condizioni abitative precarie sono più esposte a rischi di esclusione sociale, difficoltà educative per i figli, problemi di salute e instabilità lavorativa. Gli ultimissimi dati ISTAT sulla povertà assoluta in Italia evidenziano come nel 2023 sono circa un milione le famiglie povere in affitto, corrispondenti al 46,5% di tutte le famiglie povere. Se pensiamo che gli italiani, nel complesso, per oltre il 72% possiedono una casa in proprietà, mentre solo il 18% è in affitto, salta immediatamente all’occhio come la condizione di affittuario rappresenti un determinante decisivo rispetto al rischio di scivolamento in situazioni precarie. Ed, in effetti, l’incidenza della povertà assoluta delle famiglie che vivono in affitto risulta pari al 21,6%, contro il 4,7% di quelle che vivono in case di proprietà, a fronte di un’incidenza complessiva della povertà assoluta sul totale delle famiglie residenti dell’8,4%.
Al di là del titolo di godimento dell’abitazione, sappiamo poi che il disagio abitativo riguarda anche le condizioni di vita all’interno dell’abitazione. Secondo il recente Rapporto BES 2024, sempre dell’ISTAT, il 5,2% degli italiani vive in situazione di grave deprivazione abitativa. Seppur in miglioramento rispetto al 5,9% del 2021, l’indicatore denota una perdurante emergenza in situazioni di vita malsana, perché sovraffollate, con problemi strutturali, mancanza di bagno o doccia con acqua corrente, o difficoltà di luminosità adeguata.
La centralità del tema casa è purtroppo rappresentata anche dal progressivo divario tra l’evoluzione dei redditi delle famiglie e l’aumento dei prezzi delle abitazioni e delle spese correlate. La divaricazione, di molto accentuatasi negli anni del boom immobiliare tra il 1998 e 2006 per poi scendere, si è fortemente e inesorabilmente ri-accentuata, specie in alcuni contesti geografici e urbani, in seguito alla pandemia (Omi, 2024). A questo proposito, se l’incremento negli ultimi anni degli interessi sui mutui è una inevitabile conseguenza dell’aumento del costo del denaro, a opera della BCE, per contrastare l’effetto dell’inflazione, certo è che questo meccanismo mette a dura prova la cosiddetta home affordability, cioè la sostenibilità delle spese abitative da parte dei cittadini. Da un recente analisi svolta da IRS, nell’ambito dell’Osservatorio OVER, sull’evoluzione dei redditi e la capacità di spesa dei contribuenti lombardi, che hanno presentato la propria dichiarazione dei redditi tramite i CAF ACLI, si evince che le spese per interessi passivi sui mutui sono aumentate di ben il 52% nel triennio 2021-2023, a fronte di una variazione dei redditi (equivalenti a valori costanti) molto contenuta e addirittura negativa per alcuni profili.
E poi ci sono coloro che una casa proprio non ce l’hanno, tendenzialmente sottostimati dalle statistiche ufficiali, non solo per problemi di stigma, ma anche di categorizzazione delle fattispecie da includere nelle statistiche. Secondo l’ultima rilevazione ISTAT del 2021, nell’ambito della III edizione del Censimento permanente della Popolazione e delle Abitazioni, erano poco più di 96.000 le persone senza fissa dimora e senza tetto, con un’età media di circa 40 anni e per un terzo donne.
Una questione trasversale
La questione abitativa è anche un tema molto trasversale.
È trasversale rispetto ai target e ai profili di bisogno, sia in termini di difficoltà di accesso che di mantenimento dell’alloggio. Si pensi alle barriere burocratiche e di accesso al mercato immobiliare per gli stranieri e più in generale a coloro che non possono garantire determinati standard minimi. O anche al problema della scarsa accessibilità degli alloggi e della indisponibilità di dotazioni adeguate per le persone con disabilità, che di certo non facilitano una vita indipendente. O ancora a tutte quelle situazioni dove si pone il tema della deistituzionalizzazione o dove si lavora affinché si prevenga il ricorso all’istituzionalizzazione. Questa situazione riguarda i senza fissa dimora, quanto i migranti in uscita dal sistema di accoglienza (CAS e SAI), gli anziani, i minori in comunità che raggiungono la maggiore età, le donne vittime di violenza, i padri separati, le persone che incrociano il tema della salute mentale, delle dipendenze, in uscita da istituti di pena o dalle misure alternative alla detenzione.
La questione abitativa è trasversale anche rispetto alle esigenze e alle storie di vita delle persone. Considerando le diverse fasi del ciclo di vita, il passaggio dalla famiglia di origine a una condizione di autonomia abitativa è sempre più ritardato per i giovani, a causa della precarietà lavorativa, spesso correlata ai significativi costi dell’abitare. Così come si osservano fenomeni di ritorno alla famiglia di origine in seguito a difficoltà economiche o separazioni. E ancora, la perdita del lavoro ed il sovra-indebitamento possono portare alla perdita dell’abitazione e a sfratti per morosità. La casa assume poi un ruolo centrale nella qualità della vita in età avanzata, soprattutto per chi vive solo.
Infine, la questione abitativa è traversale anche rispetto ai differenziali territoriali, cioè ai contesti in cui abitano le persone e le famiglie. Nei centri urbani il problema è spesso correlato alla mancanza di alloggi a prezzi accessibili, fenomeno amplificato dalla gentrificazione, con aumento della segregazione spaziale di fasce di popolazione verso le periferie. Nelle aree interne e nei piccoli centri, invece, si assiste sempre di più a degrado edilizio e a fenomeni di spopolamento, in gran parte dovuti alla mancanza di servizi essenziali che rendono difficile la vita quotidiana. E il tema dei differenziali nelle condizioni di vita dei cittadini nei diversi territori richiama, come dice Viesti, il tema più generale delle diseguaglianze dei diritti delle persone.
Ma una questione fuori dall’agenda politica
La questione abitativa è dunque sempre più centrale e trasversale, ma è sostanzialmente uscita dall’agenda politica e le risposte attuali sono inadeguate. Sul configurarsi di questa situazione, come ci ricordano Boni e Padovani, hanno influito più fattori. Alcuni di questi sono di carattere trasversale, come la riduzione delle tutele del sistema di welfare e il carattere selettivo dei processi di trasformazione urbana. Hanno inciso, però, anche questioni più specificamente legate alle politiche per la casa. Infatti, se si guarda all’evoluzione delle policy degli ultimi due decenni, si conferma una reticenza, per lo più determinata dalle difficoltà di consenso politico, nel definire la questione abitativa per i meno abbienti come un problema cruciale per le politiche di inclusione. Uno stato di cose che sembra trovare conferma nel periodo più recente e, in particolare, con riferimento alle iniziative sorte attorno al PNRR e al “Piano Casa Italia”, che appaiono tutte debolmente orientate ad affrontare in modo radicale e strutturale il tema e a riconoscerne il suo carattere trasversale e basilare nell’ambito delle politiche di welfare.
Lo scarso peso ricoperto dalle politiche abitative in Italia è confermato anche dai dati sulla spesa sociale pubblica destinata all’housing che nel 2021, secondo Eurostat, riguardano in Italia circa lo 0,03 % del Pil (circa 12,87 euro pro capite), contro lo 0,6 della Francia (pari a 234 euro pro capite) e lo 0,5 della Germania (pari a 233,5 euro pro capite). Ancora: di fronte all’incremento nel numero di sfratti, pari a 42.000 nel 2022, secondo il Ministero dell’Interno, di cui l’80% per morosità e in crescita del 9,4% rispetto all’anno precedente, non è corrisposto un aumento delle risorse disponibili per i due fondi nazionali di sostegno all’affitto finalizzati, il primo, a ridurre l’incidenza del canone sui redditi e, il secondo, a sostenere le famiglie in condizione di morosità incolpevole. Per quanto riguarda l’Edilizia Residenziale Pubblica, gli ultimi dati disponibili parlano di una perdurante grave distanza tra domanda e offerta rappresentata dalle 650mila domande in graduatoria contro una disponibilità di solo 16.900 alloggi (Federcasa, 2019).
Necessità di approcci innovativi e intersettoriali
Per affrontare la situazione crediamo che il tema debba essere trattato a più livelli. L’approccio “più case”, come è stato già evidenziato da diversi studiosi, non sembra essere la soluzione al problema. La questione non è tanto di edilizia, pubblica o privata che sia, quanto semmai regolativa, perché la difficoltà più grande è riuscire a mettere a disposizione il patrimonio già disponibile e sul quale si pone un problema di accessibilità e di affordability. Rispetto ai target, riteniamo che, diversamente dal passato che ha contraddistinto le politiche abitative, l’attenzione e dunque le risorse debbano essere convogliate sui ceti più deboli, i giovani, i poveri e gli emarginati. Sempre con riferimento alle risorse, in progressiva diminuzione e “a scadenza” e rispondenti a quadri regolativi differenti, riteniamo inoltre necessario un radicale cambio di paradigma, che metta gli attori territoriali nelle condizioni di poter programmare politiche e iniziative innovative e con un respiro di medio e lungo termine, non solo tamponatorie ed emergenziali. Sempre più la questione abitativa, in termini di accesso alla casa, ma soprattutto di mantenimento della stessa, e più in generale di gestione di situazioni di povertà correlata, richiedono interventi che vanno oltre le politiche tradizionali e richiamano il coinvolgimento di diversi settori di policy, sociale in primis, che possono variare a seconda dei contesti e dei bisogni, per l’attuazione di interventi integrati che rimettano al centro le persone. A essere in gioco non sembra essere solo la possibilità di fornire un tetto sopra la testa a tutti, ma il ‘diritto’ ad un abitare dignitoso, sicuro e inclusivo, a garanzia del buon funzionamento della società nelle sue varie espressioni, in nome di quel principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 della nostra Costituzione, principio fondamentale per uno Stato liberal-democratico.