Le logiche e i principi delle politiche di contrasto delle povertà


Remo Siza | 23 Marzo 2025

Introduzione: tre criticità

Nel dibattito pubblico che ha accompagnato l’approvazione dell’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro è emersa l’esigenza di affermare misure di attivazione lavorativa nelle politiche di contrasto delle povertà sostituendo la logica ritenuta passivizzante del Reddito di Cittadinanza. In realtà, nella definizione e nella attuazione delle attuali politiche di contrasto si sono affermate logiche molto differenti. In alcune politiche, prevale una logica assistenzialistica, in altre ancora l’enfasi è sul controllo e la sorveglianza, solo in alcune politiche si delineano, debolmente, principi e logiche attivanti.

L’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro (SFL) costituiscono le misure di maggiore rilevanza nelle politiche di contrasto della povertà adottate al livello nazionale. In questo contributo considero altre due misure: il rifinanziamento della carta “Dedicata a te”, introdotta nel 2022, e gli interventi di rigenerazione urbana in alcuni quartieri (modello Caivano) previsti dai decreti-legge 123/2023 e 208/2024.

Tre indicatori fondamentali evidenziano le criticità di queste politiche: l’estensione della copertura di welfare (take up); l’adeguatezza delle misure nel contribuire al superamento della condizione di rischio (adeguacy); l’appropriatezza degli interventi (appropriateness). Ciò che è comune a tutte le attuali politiche di contrasto della povertà è l’introduzione di schemi categoriali fortemente selettivi che escludono dalle misure di protezione e di attivazione un numero rilevante di persone in condizione di povertà (basso take up). Una ricerca in 14 nazioni, utilizzando l’OECD database, rileva che nel 2018 in nazioni come l’Olanda, Germania, Giappone, Finlandia il 100% delle persone in povertà riceveva un “minimum income benefit”. In Italia, nel 2019 riceveva un supporto economico il 60% delle persone in condizione di povertà (Hyee e altri, 2024). Nel 2025, il take-up dei beneficiari dell’ADI rischia di stabilizzarsi attorno al 30% della popolazione in condizione di povertà.

Altre misure (in particolare la carta “Dedicata a te”), non assicurano interventi di supporto economico al reddito adeguati (livelli di adeguacy non soddisfacenti); altre ancora (in particolare il modello Caivano) attribuiscono rilevanza nel processo di cambiamento ad interventi inappropriati (inappropriate choices) alle esigenze economiche e relazionali delle persone che vivono in quartieri particolarmente degradati

Le misure di attivazione

La legge 3 luglio 2023, n. 85 (di conversione del decreto-legge n. 48/2023) che istituisce l’Assegno di Inclusione e il Supporto Formazione e Lavoro (SFL) è orientata dalla esigenza di promuovere l’attivazione del beneficiario e la sua inclusione attiva nel mercato del lavoro. L’attivazione è intesa come investimento in formazione e riqualificazione professionale (principalmente attraverso SFL) e come rispetto degli obblighi stabiliti con i servizi dal lavoro (in particolare, accettazione delle offerte di lavoro).

Le disposizioni del decreto sono molto selettive e determinano una riduzione significativa del numero dei beneficiari. Il Report dell’Osservatorio INPS ha rilevato che nell’anno 2024 le famiglie beneficiarie dell’Assegno di inclusione (importo medio 620 euro) sono state 760mila per un numero di persone pari a 1,82 milioni (componenti di famiglie con minori, anziani o persone con disabilità).

Solo un terzo delle persone in condizione di povertà (5,6 milioni di individui) ha beneficiato dell’ADI. La riduzione dei beneficiari, rispetto al Reddito di cittadinanza, è stata molto ampia. Il Rapporto annuale INPS rileva che nel 2022, le famiglie beneficiarie di almeno una mensilità del RdC (importo medio 600,31 euro) erano 1,4milioni per un numero di persone pari 3milioni (nell’anno precedente 3,5milioni).

I sistemi di welfare svolgono due funzioni: protezione dal rischio e attivazione delle capacità. Nelle politiche nazionali di contrasto della povertà, le due funzioni strutturali del welfare raramente sono presenti nello stesso percorso. In base alla combinazione protezione-attivazione si creano tre gruppi di beneficiari distinti:

  1. obbligo di attivazione lavorativa e sociale, le norme prevedono che i componenti in età lavorativa delle famiglie beneficiarie ADI devono accettare un’offerta di lavoro congrua o partecipare alle attività previste. L’ANPAL non ha ancora predisposto il rapporto annuale previsto all’art. 11 e non fornisce dati su quanti (fra i 1,82 milioni dei beneficiari) siano stati realmente inseriti nel mercato del lavoro o in percorsi di riqualificazione o in attività sociali;
  2. beneficiari del Supporto per la formazione e il lavoro, misura di accompagnamento al lavoro e di politica attiva del lavoro rivolta agli occupabili esclusi dai benefici ADI. In realtà, l’INPS rileva che i beneficiari di questa misura siano stati appena 133mila (a partire dal luglio 2023 fino a dicembre 2024). I beneficiari ricevono un supporto economico molto inferiore a quella prevista dall’ADI: l’importo mensile del beneficio è attualmente pari a 500 euro mensili per la durata del percorso di riqualificazione (inizialmente era 350 euro);
  3. esclusi dai benefici: persone in condizione di povertà, disoccupati o working poor, ex beneficiari Reddito di cittadinanza. Questo gruppo si può stimare (sulla base dei dati ISTAT sulla povertà assoluta) che sia pari complessivamente a quasi 4milioni. Per queste persone, considerato i risultati molto limitati del Supporto per la formazione e il lavoro, l’attivazione e l’inserimento lavorativo si ritiene che possa essere indotto inevitabilmente dall’assenza di reddito e dall’assenza di protezioni di welfare.

Fra questi 4milioni di persone in condizione di povertà che non ricevono un supporto economico emergono percorsi di vita e inserimenti lavorativi molto differenziati. Sicuramente una parte degli esclusi riuscirà finalmente a trovare un lavoro dignitoso, un’altra parte accetterà lavori irregolari e scarsamente retribuiti; infine, una parte molto più consistente rimarrà al di fuori di ogni protezione pubblica, lontana dal mercato del lavoro e dalle misure pubbliche di welfare. In questi anni, ciò che molte ricerche evidenziano non è la passività della maggioranza delle famiglie povere, ma il loro crescente attivismo quotidiano dovuto alla necessità di affrontare in qualche modo la riduzione dei benefici di welfare e gestire un bilancio familiare costantemente insufficiente. La consistenza delle risorse e dei servizi assicurati degli enti di terzo settore e dalle relazioni familiari e amicali diventa cruciale. L’Istat (2025) ha rilevato che nel 2023, quasi 10 milioni di cittadini (pari al 23,1% dei cittadini con età compresa tra i 18 e 74 anni) per far fronte a momenti di particolare difficoltà o mancanza di liquidità hanno chiesto (negli ultimi 12 mesi precedenti l’intervista) un prestito o un aiuto economico a familiari, amici, vicini di casa (più di 6 milioni di cittadini); 3 milioni di cittadini si sono rivolte a società finanziarie e banche. In Europa, molto ricerche hanno evidenziato che severe regole di accesso alle prestazioni di welfare determinano una crescita significativa delle persone che si rivolgono ad associazioni, a mense e banche del cibo (Lambie-Mumford and Silvasti, 2021).

Una recente ricerca ha rilevato che i criteri di selezione adottati dalla riforma appaiono inadeguati allo scopo e i risultati ampiamente insufficienti. L’enfasi della riforma sulle effettive possibilità di occupazione delle persone di età compresa fra 18 e 59 anni non è supportata dall’evidenza empirica. La scelta di escludere alcune famiglie dall’ADI in base alle caratteristiche dei membri della famiglia non appare motivata dalle effettive maggiori possibilità di occupazione degli individui in età attiva che vivono in queste famiglie (Aprea, Gallo e Raitano, 2024).

La legge di Bilancio 2025 non incide su queste selezioni e introduce alcuni criteri più favorevoli ai beneficiari della prima categoria (nuova soglia di reddito, l’integrazione del canone di locazione, incremento importi mensili). Le risorse destinate all’Assegno di inclusione rimangono comunque sostanzialmente stabili, mentre le risorse destinate al Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL) diminuiscono significativamente, da oltre 1,1 miliardi di euro del 2024 ai 606 milioni di euro del 2025.

La logica assistenziale della Carta Dedicata a te

La carta “Dedicata a te” sebbene sia gestita dal Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare e delle Foreste non è un programma alimentare per le famiglie a basso reddito e non è pensata per promuovere un corretto stile alimentare. La legge di Bilancio 2025 rifinanzia questa misura con 500 milioni di euro (erano 600 milioni nel 2024). La misura consiste in un contributo economico annuale per nucleo familiare di 500 euro erogato attraverso carte elettroniche di pagamento, prepagate e ricaricabili. La Carta è destinata ai nuclei familiari a reddito basso o medio-basso con un indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) non superiore a 15.000 euro; consente l’acquisto di beni di prima necessità, di carburanti o in alternativa, di abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale. La carta “Dedicata a te” si affianca, senza prevedere un coordinamento tra le misure e tra i Ministeri competenti, alla “Carta acquisti”, gestita dal Ministero dell’Economia e delle Finanza istituita nel 2008 e destinata alle persone che hanno compiuto 65 anni oppure a genitori di bambini sotto i 3 anni.

In queste due misure:

  1. non sono previste misure di attivazione, intese sia come obbligo di una ricerca attiva del lavoro oppure come partecipazione a iniziative di formazione o di socializzazione;
  2. la copertura (take up) che assicura questa misura è molto bassa: sono 1,3 milioni i beneficiari della carta “Dedicata a te”;
  3. gli effetti del beneficio ai fini del superamento della condizione di povertà (adequacy) è irrilevante;
  4. l’appropriatezza sfugge ad ogni osservazione anche qualitativa, in quanto la misura non ha un target ben delineato (povertà alimentare, educativa, abitativa).

Il riferimento di queste misure è la social card introdotta nel 2008 in Italia e il “Food Stamp Program” pensato negli anni Trenta negli Stati Uniti dal Department of Agriculture del Governo federale (dall’ottobre del 2008 si chiama “Supplemental Nutrition Assistance Program”-SNAP) per assicurare anche alle persone più povere una alimentazione adeguata, soprattutto alle famiglie con figli minori, ed erogato attraverso una sorta di francobolli (successivamente carte elettroniche). Il programma originario statunitense ha una copertura molto più alta. Negli Stati Uniti, nel 2019, i beneficiari dello SNAP erano 1/8 della popolazione complessiva.

Il “Food Stamp Program” si affianca ad altri programmi che assicurano un livello minimo di beni alimentari alle persone più disagiate e soprattutto ai bambini ed ha un target di popolazione per le quali è più efficace: è rivolto, prevalentemente, ad una particolare categoria di persone povere – persone già in carico alla rete assistenziale, alla persone con dipendenza da alcol e da altre sostanze di abuso, persone con disturbo mentale o comunque incapaci di badare a se stessi – per le quali un trasferimento monetario normalmente non è efficace.

Nella forma di milk vouchers è stata introdotta in alcune città del Regno Unito, è stata comunque ritenuta un tipo di intervento che passivizza i beneficiari nella scelta del cibo e sostituiti, più recentemente, dalle food bank organizzate dalle varie associazioni e sostenute da volontari e agenzie governative.

Controllo e sorveglianza nel modello Caivano

In contesti territoriali particolarmente degradati, gli interventi individuali di sostegno al reddito e i progetti individuali di inclusione sono misure importanti per il contrasto delle povertà, ma sono misure non sempre efficaci: non sono sufficienti. In questi contesti, è necessario che gli interventi individuali siano affiancati da una pluralità di interventi collettivi, interventi urbanistici e di mobilitazione degli abitanti, azioni per la tutela della salute, opportunità di istruzione, misure organiche a favore dell’infanzia, di contrasto della illegalità, coordinando le iniziative delle associazioni con le politiche urbanistiche e sociali e le politiche del lavoro, la gestione autonoma di spazi fisici (Siza, 2025).

Il cosiddetto modello Caivano delineato in due decreti-legge (123/2023 e 208/2024) impegna notevoli risorse che non sono ripartite fra le regioni per assicurare una copertura di welfare equa, anche parziale, del territorio nazionale. Il modello Caivano prevede opere di riqualificazione urbanistica, ma semplifica la complessità di un intervento di rigenerazione urbana in una area dove esistono case e persone, affidando principalmente il cambiamento all’inasprimento delle sanzioni, all’espansione e all’anticipazione dell’intervento penale, alla detenzione dei minori piuttosto che alla messa in prova, alla videosorveglianza e operazioni di polizia, ai commissari prefettizi e a un commissario straordinario.

In questo approccio le relazioni esistenti e le associazioni fra le persone non sono percepite come risorsa che è necessario coinvolgere in processi collaborativi con le istituzioni, ma solo come forme di socialità che è necessario sostituire con nuove forme aggregative e con associazioni spesso esterne alla comunità stessa, reprimere o separare con daspo urbano per i minori, custodia cautelare e reclusioni.

La Legge di Bilancio 2025 aveva cancellato il Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile nelle periferie urbane e previsto l’istituzione di un nuovo fondo (Fondo Dote Famiglia), a favore delle famiglie che partecipano alle attività delle associazioni sportive. Queste norme ben esprimevano la logica sostitutiva privilegiata. Con il recente decreto Milleproroghe e su proposta di tutte le forze politiche, il Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile è stato parzialmente ripristinato, ma la strategia di fondo e l’impostazione culturale rimane immutata.

Come è stato rilevato da numerosi autori (Polito, 2023; Cavalieri, 2023) il decreto Caivano esalta una visione della prevenzione incentrata sull’intervento anticipato delle forze dell’ordine. L’impostazione repressiva del problema della dispersione scolastica si sostituisce ad una soluzione sociale del problema, che privilegi interventi di sostegno e/o anche sanzionatori, ma meno invasivi per le famiglie coinvolte (Cavalieri, 2023). Le disposizioni in materia di sicurezza e di prevenzione della criminalità minorile prevedono un significativo inasprimento di sanzioni penali, misure di prevenzione e ammonimento, disposizioni concernenti il procedimento penale minorile e l’esecuzione penitenziaria. Sul versante della prevenzione sociale è prevista soltanto, all’art.3-bis, l’istituzione, presso il Ministero dell’Interno, di un «Osservatorio sulle periferie», al quale vengono assegnati compiti di mera promozione di iniziative finalizzate al monitoraggio delle condizioni di vivibilità e decoro delle aree periferiche delle città, di incentivazione di iniziative di formazione (Cavalieri, 2023) che dovrà operare senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

È evidente che è necessario affrontare l’illegalità e la criminalità con più controlli e video sorveglianza, con interventi contro il degrado urbanistico. Allo stesso tempo, è necessario avviare progetti di rigenerazione di un quartiere non settoriali che attivino le risorse e le opportunità di crescita civile che sono sempre presenti in una comunità, strategie di sostegno alle famiglie problematiche, potenziamento delle attività scolastiche, favorire nuove attività commerciali, mercati rionali, recupero di edifici e spazi, trasporti pubblici più funzionali, percorsi collaborativi fra le persone e le istituzioni civili e religiose, promuovere una mobilitazione estesa che coinvolga le associazioni esistenti, la scuola e l’attività delle istituzioni.

Le relazioni umane non sono un ambiente esterno alle istituzioni che dobbiamo controllare e separare affinché le istituzioni stesse possano operare efficacemente, ma la parte che distingue una comunità da un aggregato abitativo. Sanzioni e norme di legge regolano conflitti e casi estremi, ma nella normalità delle relazioni di vita, non sono il timore delle sanzioni penali o amministrative che producono buone relazioni in una comunità e la responsabilizzazione degli adulti, ma le opportunità di cambiamento, le speranze e i valori collettivi, la vitalità, i sentimenti di fiducia, le forme associative e di stare insieme che riusciamo a produrre fra gli abitanti e a mobilitare in un progetto condiviso di rigenerazione economica, urbanistica e della vita sociale.