Insegnare e studiare social work
Spunti dal panorama internazionale
Giovanni Cellini | 27 Marzo 2025
Una formazione che interessa università e mondo dei servizi
Questo contributo si concentra sul tema della formazione al servizio sociale, che è al centro dell’attenzione non solo delle istituzioni universitarie ma anche della comunità professionale del servizio sociale, a livello sia nazionale che internazionale. Inoltre, i bisogni formativi dei futuri assistenti e l’offerta formativa per soddisfarli riguardano il complesso degli stakeholder e chi opera con ruoli di responsabilità nel sistema dei servizi. La formazione degli assistenti sociali è idonea a rispondere alle sfide del welfare? Ci sono dei punti di forza dei percorsi formativi che vanno consolidati? Ci sono dei punti di debolezza che occorre affrontare? Sono, questi, alcuni degli interrogativi diffusi sia tra i livelli manageriali dei servizi sia tra i professionisti che operano in prima linea. L’Università è impegnata con un ruolo attivo nell’affrontare tali questioni; nel contesto nazionale si pensi ad esempio al ruolo dei Comitati di indirizzo, istituiti per far fronte alla necessità degli Atenei di progettare Corsi di Studio coerenti con la domanda di formazione individuata dagli stakeholder esterni, proprio con la finalità di facilitare l’incontro fra domanda e offerta formativa, considerando ed eventualmente contribuendo a modificare i curricula, per rispondere alle esigenze concrete dei territori1.
L’istituzione universitaria, in questa cornice, è chiamata a dare risposte non solo attraverso la didattica, ma anche attraverso attività di studio e ricerca sul servizio sociale.
Oltre il contesto nazionale
Didattica e ricerca, dunque. Due “poli” che si attraggono ma che possono anche respingersi. Un binomio su cui a nostro parere è importante riflettere, ponendo attenzione non solo al contesto nazionale ma anche a ciò che avviene all’estero. In Italia, con l’ingresso stabile nell’università, la formazione al servizio sociale si è caratterizzata, fra gli altri aspetti, per l’assenza di un settore scientifico disciplinare autonomo di servizio sociale e per l’ampio contributo di professionisti esterni all’accademia (assistenti sociali docenti a contratto, in particolare) concentrati sulla didattica. Si può affermare che nel nostro sistema vi è di fatto una netta differenza tra gli “accademici” incardinati nelle università, chiamati a svolgere le missioni della didattica e della ricerca, e gli “esterni” chiamati per lo più ad occuparsi della didattica. In questo quadro, inoltre, sono pochi gli incardinati nelle università che hanno un background di servizio sociale, in termini sia di formazione che di esperienza professionale.
All’estero il panorama è alquanto diverso. Un esempio tratto da uno specifico contesto europeo, quello del Belgio, può essere utile per una riflessione che contribuisca ad ampliare le vedute e a non dare per scontato, nel nostro contesto nazionale, un sistema formativo statico e sostanzialmente poco modificabile.
Pur nella frammentazione e nelle diversità che caratterizzano il Belgio, diviso nelle due regioni di Fiandre e Vallonia, con due sistemi formativi diversi e non connessi fra loro, nella realtà di Gent, città delle Fiandre, è stato possibile entrare in contatto con i percorsi formativi al social work fiamminghi, alquanto differenziati tra loro. Da un lato, infatti, vi è il Bachelor of Social Work, di durata triennale e a carattere professionalizzante (presso l’Università HoGent e la Artveldehogeschool); dall’altro il Master of Science in Social Work and Social Welfare Studies (presso l’Università UGent), più orientato verso gli approcci teorici e a carattere non professionalizzante. La ricerca si è concentrata in particolare sul percorso triennale del Bachelor di Hogent2. Attraverso 12 interviste a docenti e 5 interviste a studenti3 si è provato a rispondere ad alcuni interrogativi: quali sono le caratteristiche distintive dell’offerta formativa professionalizzante? C’è coerenza tra gli obiettivi formativi prestabiliti, che contraddistinguono il percorso di studi, e il contenuto dei corsi stessi? Sono necessari dei cambiamenti? Di seguito proponiamo alcuni risultati significativi, che riguardano solo una parte dei contenuti della ricerca, ma possono essere utili ad evidenziare differenze col nostro contesto nazionale ed offrire elementi di riflessione.
Formarsi al social work fra teoria, pratiche professionali e ricerca
Un primo aspetto di rilievo riguarda alcune caratteristiche dei docenti del Bachelor, nel nostro campione tutti incardinati nell’università (cioè, figure interne, assunte dall’università stessa). Una parte di essi non svolge attività di ricerca scientifica, ma solo di docenza; altri invece si dedicano ad entrambe le attività. Chi svolge solo attività didattica, tuttavia, in diversi casi ha svolto in passato attività di ricerca e prevede di riprenderla in futuro. Alcuni insegnano o hanno insegnato sia nel Bachelor che al Master di UGent.
La maggior parte dei docenti del Bachelor (non solo quelli intervistati) ha un background di social work, con esperienza professionale sul campo, caratteristica comune a tutto il sistema fiammingo. Questo tratto distintivo marca un’evidente differenza tra la nostra formazione al servizio sociale, nella quale, come si è accennato prima, i docenti incardinati dei Corsi di laurea triennale solo in pochi casi hanno un background formativo di servizio sociale ed esperienza professionale di assistente sociale. Nelle interviste è emerso come l’esperienza sul campo rappresenti per i docenti un bagaglio essenziale, fondamentale per la didattica e più in generale per la gestione dei percorsi formativi. Questo punto di vista è ampiamente condiviso anche da studenti e studentesse, una delle quali afferma:
“ciò che apprezzo di più della mia esperienza di formazione è che molti dei nostri insegnanti sono persone che hanno esperienza sul campo come professionisti impegnati nel contesto sociale. Questo fa una grande differenza”.
Un’altra differenza importante con le nostre università riguarda la collocazione del Bachelor, che a Hogent è all’interno di un dipartimento di social work. In Italia non vi sono dipartimenti specifici di servizio sociale e i Corsi di studio in servizio sociale sono inseriti prevalentemente in dipartimenti di area sociologica e politica4.
Un nodo critico emerso nelle interviste riguarda due rischi, connessi tra loro: da un lato quello di offrire, nei dipartimenti di social work, percorsi formativi con focus “troppo professionalizzanti” e poco attenti alle teorie; dall’altro quello di un’offerta formativa caratterizzata da un approccio “troppo accademico” e centrato sulla ricerca, che tuttavia caratterizzerebbe soprattutto il Master e meno il Bachelor. Si potrebbe pensare, dunque, ad una separazione tra una didattica orientata prevalentemente alle pratiche ed una didattica incentrata invece solo sulle teorie, svolta da docenti che investono poco su di essa e molto di più sulla ricerca accademica. In realtà, dalle interviste emerge un quadro diverso.
Sebbene vi sia, fra i docenti, chi afferma che
“la ricerca non sa cosa significa fare social work e qundi è distante delle pratiche professionali”,
il punto di vista prevalente sembra essere quello di una collaborazione virtuosa fra didattica e ricerca. Tale sinergia è senza dubbio facilitata dalle già richiamate caratteristiche dei docenti, molti dei quali hanno esperienza sia nella pratica professionale che nella ricerca accademica. L’impostazione del Bachelor, inoltre, investe molto su un’offerta formativa che consenta agli studenti di acquisire competenze nella ricerca. Uno dei docenti intervistati, ad esempio, ci spiega che tiene:
“un corso che si chiama ‘Ricerca e social work’, che riguarda il ciclo della ricerca e le attività che i ricercatori svolgono nelle diverse fasi del ciclo. Ma è anche un corso in cui gli studenti stessi svolgono una vera e propria ricerca. Nel mio caso, si tratta di uno studio d’impatto in un servizio”.
Un altro esempio di attenzione alla ricerca è quello delle tesi del Bachelor, nelle quali dev’essere presentata una ricerca basata sull’esperienza di tirocinio.
La posizione prevalente sembra dunque essere quella di una significativa attenzione alla ricerca, in quanto necessaria per lo sviluppo dinamico e critico della professione, il cui riconoscimento dipende (non solo) dalla capacità di rivendicazione (claiming) delle proprie basi conoscitive5. Al tempo stesso vi è una diffusa enfasi sulla didattica, una parte della quale è focalizzata su attività di apprendimento basate sulla riflessività, ma che -evidenziano alcuni docenti- non devono essere troppo orientate sulla mindfulness, col rischio di una perdita “antiteorica” della dimensione macro e, in ultima analisi, di una formazione e di una professionalizzazione “apolitica”. Emerge, in tale ottica, un’attenzione costante alla dimensione “macro” del social work, che favorisca, ad esempio, la conoscenza e la comprensione delle policies.
I percorsi di studio fiamminghi propongono un approccio multidisciplinare, una caratteristica comune anche al Master e che indubbiamente riguarda anche i percorsi di formazione al servizio sociale nel nostro paese. Caratteristica molto apprezzata dagli studenti, sebbene essi abbiano aspettative ed interessi più incentrati sull’apprendimento del metodo del social work e sulle sperimentazioni nelle pratiche professionali.
Un tratto distintivo fondamentale del Bachelor è quello rappresentato dal tirocinio, molto valorizzato dai docenti e molto apprezzato dagli studenti, volto sia all’osservazione che alla sperimentazione (il Master invece propone un tirocinio a valenza prevalentemente osservativa). L’attenzione dei docenti è incentrata sulla metodologia del servizio sociale e sulle capacità relazionali, mentre la conoscenza delle procedure viene ritenuta secondaria. Una focalizzazione sulle procedure, secondo i docenti intervistati, esporrebbe al rischio di una burocratizzazione delle attività del tirocinio e di un modello di separazione marcata fra apprendimenti “sbilanciati” sulle pratiche, che trascurano il pensiero critico e l’elaborazione concettuale. Rispetto al nostro panorama nazionale vi sono elementi di similitudine, come ad esempio l’investimento su attività a carattere laboratoriale durante il tirocinio. Analogie vi sono inoltre sulla complessità del panorama degli enti, nel pubblico e nel privato sociale, in cui si svolgono i tirocini; vi sono tuttavia ambiti caratteristici della realtà fiamminga, come i tirocini in ambito culturale (cultural social work) in cui si investe su progetti artistici inclusivi. Un esempio portato nelle interviste agli studenti è quello della creazione di un’orchestra di homeless.
Riflessioni conclusive
Lo studio sul percorso triennale di formazione al social work alla HoGent, pur con limiti metodologici e con un focus su una realtà molto specifica che non consentono generalizzazioni, mette in luce fattori di sinergia tra didattica e ricerca, legati sia alle caratteristiche e al background dei docenti richiamate in precedenza, sia dall’attenzione allo sviluppo di capacità di ricerca da parte degli studenti, che favoriscano l’ampliamento del bagaglio conoscitivo e la capacità di pensiero. Tali caratteristiche si rivelano come punti di forza dell’offerta formativa di HoGent e segnano alcune differenze rispetto al nostro contesto nazionale, in cui ad esempio – con riferimento al background formativo e professionale – i docenti di discipline di servizio sociale incardinati nelle università sono pochi e quindi in diversi casi coloro che insegnano le discipline stesse non sono assistenti sociali. Senza entrare nella complessità di quest’ultimo aspetto, possiamo tuttavia evidenziare l’importanza, per i professionisti che lavorano nei servizi, di una costante apertura alla conoscenza di realtà diverse da quella nazionale, nell’ottica di un ampliamento di prospettive e di arricchimento del proprio “bagaglio professionale”. Sottolineiamo inoltre uno dei risultati emersi dalla ricerca sul contesto di HoGhent, cioè la necessità di non centrare il percorso formativo degli studenti sulle procedure che caratterizzano i servizi, ma sull’acquisizione di capacità di connettere teoria, metodologia e pratiche dell’assistente sociale. Si tratta di una scelta formativa che trova ampio consenso anche nel nostro panorama nazionale, ma che al tempo stesso non è scontata. La consapevolezza di un approccio formativo che non enfatizzi gli aspetti procedurali a discapito di una visione più ampia sul ruolo del servizio sociale, come “snodo”6 del sistema di welfare, rappresenta per chi opera sul campo, soprattutto per gli assistenti sociali supervisori di studenti in tirocinio, un fattore rilevante per orientare meglio le aspettative nei confronti delle sedi formative e degli studenti stessi. Di particolare importanza, con riferimento alla supervisione dei tirocini, è anche la consapevolezza del significato che assume la riflessività nei percorsi degli studenti; come si è visto, la ricerca nel contesto di HoGent mette in luce importanza di una riflessività che non abbia solo un carattere introspettivo, ma che sia anche connessa con una costante attività di pensiero su processi macro e sul ruolo politico dell’assistente sociale.
Quanto emerso richiama a nostro parere la necessità di integrare costantemente ricerca, didattica e sperimentazioni nelle pratiche professionali, considerando il significato “globale” della formazione al social work, costruito in un campo occupato da più attori. Tra di essi, i soggetti del welfare e le università sono chiamati ad una collaborazione costruttiva che sempre più si consolidi nel tempo e che si connoti anche come un “forum culturale” in relazione ai cambiamenti storici, sociali, politici, con cui il servizio sociale e le professioni sociali nel loro complesso sono chiamati a confrontarsi.
- Partecipano ai Comitati d’indirizzo rappresentanti dei docenti, dei servizi del welfare (non solo del settore pubblico), della politica.
- La ricerca si è svolta nell’anno accademico 2022-2023 presso il campus Schoonmeersen di Gent.
- Le interviste sono state realizzate sia presso il campus sia presso i servizi in cui gli studenti svolgono il tirocinio.
- Cellini, G., Dellavalle, M. (2022). Professionalism and training needs of social work between theoretical and practical knowledge. Italian Journal of Sociology of Education, 14(1), 207-226.
- Banks, S., Barnes, D. (2005). Getting started with a piece of research/evaluation in social work. Social Work Futures: Crossing Boundaries, Transforming Practice. New York: Palgrave Macmillan, 237-250.
- Facchini, C., Tra impegno e Professione: gli assistenti sociali come soggetti del welfare, Bologna, Il Mulino, 2010, p.12.
Sarebbe interessante indagare i motivi storici che hanno impedito al social work di divenire una disciplina autonoma in Italia, come nei paesi anglosassoni. Pur in presenza di un Ordine prof. Contraddizione auto evidente. Interessi corporativi dei sociologi? Ignoranza del legislatore? A Bologna, negli anni 80, le guide dello studente della facolta’ di Scienze Politiche indicavano, come possibile esito dell’indirizzo Politico Sociale, la professione di assistente Sociale (prima del 87). Il dipartimento di sociologia guidato da Ardigo’ aveva un sincero interesse sulle tematiche del sociale/welfare/ servizi sociali. E il Dipartimento collaborava con la locale scuola privata di Servizio Sociale. Ad ogni modo, il risultato e’ quello che sappiamo, in Italia abbiamo l’Ordine (in Italia non si nega a nessuno) ma il social work e’ dei sociologi…e gli studenti hanno piani di studio non esattamente coerenti con il servizio sociale.