Imprese sociali e dominio maschile


Roberto Graziano | 14 Aprile 2025

Sono passati 27 anni dalla pubblicazione del La domination masculine del sociologo francese Pierre Bourdieu, che ha lucidamente messo in evidenza come l’ordine delle cose non “naturale” e quindi incontrastabile, ma una costruzione sociale e culturale che tutte e tutti noi dobbiamo provare a decostruire. In quest’opera sono presenti alcuni concetti chiave nell’analisi del dominio maschile che sono così potenti che ancora oggi sono essenziali per poter interpretare questo fenomeno, che nella sua complessità e diffusione stratificata attraversa e colpisce tutti i rami del vivere sociale. Bourdieu scriveva che questa pervasività, strutturale e sovrastrutturale sia così esclusiva che le stesse donne, che ne sono le vittime, l’hanno integrata nel proprio modo di pensare e nell’accettazione inconscia, contribuendo così attivamente alla loro subordinazione.

Ma cosa succede se anche il Terzo settore resta miope sulla disuguaglianza di genere? Cosa accade se, proprio negli ambienti del Terzo settore, anche in quella parte di soggetti che non si è limitata ad erogare servizi, ma si è posta come agente di cambiamento, protagonista nell’attivare processi innovativi orientati a minare dalle radici le disuguaglianze e l’esclusione sociale, non riesce a far proprio quell’approccio critico che per sintesi definiamo ottica di genere?

Per provare a fare chiarezza su questi interrogativi ho condotto una ricerca con lo scopo di mettere luce questa contradizione che anima l’imprenditoria sociale, e ho utilizzato come contesto di riferimento la regione Campania. Questa regione, ci fa conoscere cooperative eccellenti, impegnate in un’opera di trasformazione sociale di grande rilievo in una terra difficile, ma che si rivelano resistenti quando si tratta di sfondare il “tetto di cristallo” che esclude di fatto le donne dai ruoli direzionali.

Nonostante il tema delle disuguaglianze di genere rappresenti una priorità, le agende politiche, le pubblicazioni scientifiche, l’opinione pubblica, i media e la cultura evidenziano come le radici strutturali della disuguaglianza di genere siano ancora ben radicate nella terra che le nutre e riesce a renderle sempre più resistenti. Se la violenza contro le donne nelle sue forme estreme del femminicidio – punta dell’Iceberg dello strumento cardine del dominio maschile – riesce ad unire il motus del popolo italiano, il tentativo di indagarne realmente le radici strutturali si rivela estremamente divisivo e spinoso. Pochi temi sono così trasversalmente presenti nella quotidianità della vita di tutti, supportati da una mole incontrovertibile di dati istituzionali e al contempo così frequentemente oggetto di distorsione, rimozione e negazione.

La miopia inoltre tende a diventare cecità quando, nei rari casi in cui le donne riescono a raggiungere la leadership o ruoli manageriali, esse finiscono per emulare il modello maschile e questo fa sì che continuano anche nella posizione di leader a perpetuare le stesse dimensioni di dominio e la subordinazione delle donne (Gebauer, & Krais, 2009).

Infatti, sebbene in Italia la Presidente del Consiglio dei ministri sia una donna e per molti anni il modello imprenditoriale vincente del made in Italy digitale, così detto modello instafame ereditato dalla Silicon Valley sia stato rappresentato da una donna – Chiara Ferragni – i dati generali sui ruoli manageriali femminili delle imprese for profit raccontano tutt’altro (Piga & Pisu, 2021). Anche se in Europa si laureano il 48% dalle donne contro il 37% degli uomini, a ciò non corrisponde una conseguente distribuzione nello sviluppo di carriere. Parimenti in Italia, per quanto le donne si laureino prima, con voti migliori e in una percentuale maggiore rispetto agli uomini, solo una donna su sei in Italia ricopre posizioni apicali in azienda e, per quanto riguarda ruoli operativi, finanziari e strategici il dato sconcertante è che le donne manager rappresentano circa il 17%. Nonostante questi dati siano abbastanza inquietanti (seppur non nuovi) quello che desta maggior preoccupazione è che la disparità riscontrata nel mondo delle aziende italiane for profit trova continuità anche nel mondo del terzo settore.

Purtroppo, anche nel Terzo settore esiste un divario tra donne e uomini, le prime estremamente sottorappresentate negli incarichi di maggiore responsabilità. Il report Job 4 Good, Professioni nel Terzo Settore 2024 evidenza che le donne sono di gran lunga la maggioranza delle impiegate nel terzo settore nella nostra penisola: basti pensare che su 850 mila lavoratori, 700 mila sono donne. Tuttavia, le percentuali sono molto diverse laddove si considerino i ruoli manageriali ed apicali, anche nelle imprese del terzo settore. Per quanto riguarda il Terzo Settore, nonostante le donne siano il 70% della forza lavoro, ricoprono solo il 30,9% degli incarichi di dirigenza e presidenza. Questo scenario apre interessanti quesiti sul ruolo delle realtà del terzo settore nel contrastare e decostruire il dominio maschile. Attraverso lo studio di nove imprese sociali attive nella regione Campania nella ricerca sopra citata ho evidenziato alcune differenze significative sul ruolo che le imprese sociali possono assumere nella decostruzione del dominio maschile e nel contrasto della disuguaglianza di genere in ragione delle loro diverse governance. Sono emerse le diverse modalità di organizzazione e gestione delle imprese sociali intervistate, mettendo in evidenza l’efficacia di una governance e una leadership al femminile per la realizzazione di una maggiore equità di genere e mostrando quanto sia urgente per tutte le imprese sociali un’attenzione trasversale alle disuguaglianze di genere e al superamento di un approccio neutro nel contrasto alle discriminazioni a prescindere dalla propria mission.

Nell’indagine empirica condotta è emerso che da un lato le cooperative guidate da uomini nonostante la volontà politica dichiarata, le spinte valoriali che orientano le loro azioni, il bisogno di contribuire attivamente al cambiamento positivo della regione in cui operano costruendo reti e partnership collaborative e perseguendo in maniera ottimale le loro mission, restano condizionati da radicati resistenze culturali che li spingono inconsapevolmente a riprodurre dinamiche di esclusione che rallentano l’affermarsi di leadership al femminile e non contribuiscono alla decostruzione del dominio maschile. Se da un punto di vista etico e politico sono schierati al fianco delle donne, nel senso pratico (Bourdieu, 1980) non sembrano rappresentare una reale e concreta alternativa per l’equità di genere alle aziende del profit. Da l’altro lato è emerso invece che le cooperative che hanno adottato una leadership al femminile hanno assunto anche modelli di governance più attenti a dinamiche relazioni e più rispettose dei tempi e delle difficoltà soggettive dei destinatari e delle destinatarie degli interventi, la capacità di gestire le dimensioni emotive del contesto organizzativo e complessivamente l’attenzione alla cura di ogni ambito dell’impresa determina una maggiore capacità di valorizzare la soggettività delle donne e rimuovere i vincoli che generano disuguaglianze di genere nei luoghi di lavoro. Di fatto la ricaduta positiva di tale modello si evidenzia nei risultati di una delle cooperative intervistate che, gestita da donne, nel corso degli anni ha sostenuto inserimento lavorativo di più di 70 donne attraverso un lavoro che ha valorizzato le capacità e le potenzialità delle persone provenienti da contesti di marginalità economica e vulnerabilità sociale.

Il lavoro di indagine empirica di natura qualitativa e contestualmente circoscritta non ha l’ambizione di generalizzare i risultati prodotti, ma tenta di porre l’attenzione al mondo del terzo settore che per generare cambiamenti significativi nel complesso processo di decostruzione del dominio maschile non bastano le buone intenzioni e il rispetto della cornice normativa. Attenersi al contratto collettivo nazionale, assicurare parità di retribuzioni a parità di funzioni, assicurare la tutela della maternità e scongiurare licenziamenti non sono dimensioni sufficienti per generare l’auspicabile cambiamento culturale che parallelamente alla creazione di servizi, interventi e azioni oggettivamente mirate all’empowerment delle donne, deve essere sostenuto da una radicale rivisitazione critica di tutto l’ambito organizzativo delle imprese. Dall’interpretazione del materiale empirico risulta fondamentale infatti assumere una nuova consapevolezza dell’esistenza di un problema strutturale che non può prescindere dal partire dal proprio interno, ripensare la propria organizzazione con le sue dinamiche di potere scontate e naturalizzate dal proprio ordine simbolico, quell’approccio critico che per sintesi definiamo ottica di genere.

“Quell’approccio che sa leggere le discriminazioni ancora in essere ed assumere come dato di partenza che le persone non sono esposte al medesimo rischio di disparità ma è reale e persistente un pregresso, trasversale divario in ragione del sesso alla nascita che determina inevitabilmente una diversa traiettoria di vita a partire dalla socializzazione primaria” (Palladino, 2024).

Al di là di quanto emerso dai contenuti delle interviste, sono significativi i risultati delle attività realizzate dalle diverse cooperative e l’impatto sociale generato dalle loro azioni per dimostrare il loro diverso peso nel decostruire il dominio maschile. Dalla lettura del lavoro empirico si considera che solo le cooperative con una governance al femminile e promosse con un’esplicita ottica di genere – che hanno quindi nella propria mission il contrasto alla discriminazione di genere – hanno generato nel tempo politiche complessive in grado di determinare cambiamenti significativi nei territori di riferimento realizzando buone pratiche note anche a livello nazionale sul tema oggetto di studio. Infatti, le imprese sociali più attive nel realizzare servizi per garantire l’occupazione di donne in condizioni di vulnerabilità e percorsi di inclusione sostenibili hanno promosso contestualmente interventi di sensibilizzazione e attivazione di reti locali sinergiche in grado di attivare trasformazioni culturali di contesto. Dimostrare che è possibile riappropriarsi della propria vita nonostante condizioni di vulnerabilità estreme, superare le condizioni di inefficacia appresa tipiche dei contesti deprivati, marginali e violenti, recuperare dignità, autonomia, autorevolezza e libertà in territori segnati da illegalità diffusa e da molteplici fattori di esclusione è un elemento significativo non solo per i soggetti coinvolti nei percorsi di lavoro sociale sia nel ruolo di destinatari dei servizi che in quello di operatori ma per la valenza simbolica che tali percorsi veicolano. Le cooperative con leadership al femminile riescono così ad aprire un varco nelle frontiere del possibile e decostruire dalle radici le strutture del dominio maschile.