Abitare migrante e povertà abitativa


I Policy Highlights di Politiche Sociali/Social Policies

L’articolo che segue sintetizza alcuni degli esiti del lavoro scritto da pubblicato sul numero 1/2024 di Politiche Sociali/Social Policies, rivista edita dal Mulino e promossa dalla rete ESPAnet-Italia. Per maggiori dettagli e citazioni: M. Bona, N. Mair e J. Mitterhofer, «We Trained Perfect Tenants, We Should Have Trained Landlords»: Migrants’ Housing Pathways and Social Innovation in South Tyrol, Italy, in «Politiche Sociali/Social Policies», 1/2024, pp. 89-108.

 

Esclusione e povertà abitativa nell’esperienza delle persone straniere

I dati su diseguaglianza e povertà abitativa in Italia indicano l’incidenza particolarmente acuta del fenomeno per le persone con background migratorio. Nonostante la casa sia da tempo riconosciuta come dimensione centrale nei percorsi di integrazione e inclusione1, e anche il Piano UE per l’integrazione e inclusione abbia finalmente riconosciuto l’accesso a un alloggio adeguato e a prezzi accessibili come fattore determinante, le attuali politiche abitative non solo non rispondono ai bisogni dei migranti e dei gruppi a basso o medio reddito in generale, ma costituiscono di fatto pratiche escludenti2.

Alcuni dati chiariscono la sovraesposizione alla povertà abitativa delle persone con background migratorio. In Italia, più di 2,5 milioni nuclei familiari (9,9% del totale) affrontano sovraccarico dovuto al costo dell’abitazione, spendendo il 40% o più del reddito disponibile per la casa. L’incidenza di questo indicatore supera il 30% tra le famiglie composte esclusivamente da persone straniere. Quasi la metà delle famiglie straniere vive in condizioni di sovraffollamento (48,1%), rispetto al 17,3% delle famiglie composte da soli cittadini italiani3.

Situazioni che portano a forme estreme di segregazione socioeconomica, con ripercussioni sulle opportunità e la stabilità di occupazione e istruzione, fino ai casi più gravi di sfratto e perdita della casa. Per le famiglie con bambini, l’inadeguatezza dell’alloggio e la mancanza di una casa possono portare all’allontanamento temporaneo dei minori. La precarietà abitativa mette a rischio la possibilità di iscrizione all’anagrafe comunale, prerequisito per l’accesso a molti servizi sociali4. Le implicazioni in termini di politica abitativa e politiche sociali sono decisamente ampie, alla luce della crescita della popolazione straniera e del progressivo ampliarsi del numero di persone colpite da esclusione e povertà abitativa.

A questa situazione concorrono molteplici cause. L’Italia detiene una quota tra le più basse in Europa di edilizia pubblica e sociale (il 4,2% rispetto alla media UE del 7,5%). Sconta inoltre l’effetto di decenni di politiche abitative che hanno favorito la proprietà della casa contribuendo a limitare la disponibilità di locazioni a prezzi accessibili, a scapito soprattutto dei gruppi a basso reddito. La carenza di edilizia residenziale pubblica (ERP) e i criteri per accedervi, assieme all’aumento dei prezzi e alle discriminazioni nel mercato immobiliare privato, rendono particolarmente difficile per i migranti trovare soluzioni abitative adeguate e a lungo termin5.

A ciò si aggiungono gli effetti del lacunoso sistema di accoglienza e integrazione per richiedenti protezione internazionale, da sempre caratterizzato da un approccio emergenziale. Oltre il 60% dei richiedenti asilo in Italia è accolto nel sistema dei CAS, inadeguato a supportare l’integrazione sociale, lavorativa e abitativa. Le recenti riforme del sistema di accoglienza ne hanno ulteriormente eroso la capacità6 di preparare coloro che escono dal sistema a una vita indipendente.

L’accesso alla casa per i migranti in provincia di Bolzano: due interventi di innovazione sociale

In un nostro articolo recentemente pubblicato nel fascicolo 1/2024 della rivista Politiche Sociali/Social Policies, cui rimandiamo per maggiori dettagli, abbiamo dato conto di una ricerca che abbiamo realizzato nella Provincia autonoma di Bolzano con l’obiettivo generale di comprendere in che modo due interventi, ispirati alla logica dell’innovazione sociale, potessero contribuire a migliorare l’accesso all’alloggio per i migranti. A questo scopo, abbiamo prima esaminato quali elementi delle politiche sociali e abitative locali influenzino i percorsi abitativi7 delle persone migranti, per poi concentrarci sulle esperienze di esclusione abitativa e su come gli interventi di innovazione sociale messi in atto siano riusciti a migliorare la situazione di partenza.

L’analisi del contesto locale indica alcune peculiarità e molte convergenze rispetto al quadro nazionale. Tra le caratteristiche distintive, il tasso di disoccupazione tra i più bassi a livello italiano (2,9%) si accompagna a una disparità di reddito tra autoctoni e stranieri tra le più marcate in Italia8 e a prezzi del mercato immobiliare superiori alla media nazionale. Per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, al requisito di residenza di cinque anni adottato in molte regioni italiane si aggiunge il criterio di proporzionalità linguistica, che restringe la quota di ERP assegnata annualmente ai cittadini non-UE. La spesa pubblica destinata ai sussidi per l’affitto è elevata e mitiga solo in parte i costi dell’alloggio, contribuendo indirettamente all’aumento degli stessi a vantaggio dei proprietari più che degli inquilini. Infine, il sistema di accoglienza locale è influenzato dalla posizione lungo la rotta migratoria del Brennero, elemento che ha esacerbato le condizionalità di accesso9 ai servizi essenziali e di emergenza, come i dormitori, e limitato l’attivazione di progetti SAI.

Rispetto alle esperienze di esclusione e povertà abitativa, il monitoraggio realizzato tramite la categorizzazione ETHOS su 140 partecipanti alla ricerca conferma la particolare persistenza di esclusione e povertà abitativa. Tra inizio e fine progetto, infatti, meno del 10% ha migliorato la propria situazione abitativa nonostante il supporto mirato e benché oltre il 30% delle persone iscritte potesse contare su una posizione lavorativa stabile.

La situazione più frequente riguarda le persone che rimangono “intrappolate” nelle residenze temporanee collettive gestite da Enti del Terzo settore, già analizzate qui su Welforum da Tommaso Frangioni. In molti casi si tratta dell’unica alternativa alla condizione di senza dimora, unica opzione accessibile a causa di discriminazioni e prezzi proibitivi nel mercato degli affitti privati e di requisiti e liste di attesa che rendono l’ERP un miraggio. La pervasività delle esperienze di discriminazione è trasversale a tutti i resoconti di ricerca casa che abbiamo raccolto: dalla formulazione degli annunci immobiliari da parte di privati (“solo affittuari nativi”) fino ai dinieghi “creativi” da parte delle agenzie immobiliari. I risultati sono in linea con studi recenti che evidenziano come a determinare la precarietà abitativa prolungata non sia tanto lo status giuridico quanto aspetti strutturali10, che finiscono per provocare un’esperienza di “temporaneità permanente”11.

Le interviste in profondità con le persone partecipanti ci hanno permesso di approfondire gli impatti personali e collettivi di questa temporaneità permanente. Discriminazioni dirette e indirette generano un profondo senso di esclusione e di emarginazione, minando la fiducia in sé stessi, aspirazioni, benessere e agency delle persone intervistate. Gli effetti della permanenza prolungata in strutture abitative collettive, inoltre, alimentano un profondo senso di precarietà causata dalla condivisione “forzata” degli spazi di vita e dallo status temporaneo di queste sistemazioni. Elementi che limitano la privacy e che condizionano la pianificazione personale e familiare e le prospettive di ricongiungimento delle famiglie.

Nei due interventi esaminati nel saggio contenuto nel focus di Politiche Sociali/Social Policies il supporto abitativo si è concentrato sul rafforzamento delle competenze individuali e della conoscenza dei contesti abitativi locali. Le persone iscritte ai due progetti sono state formate a essere “meritevoli, non troppo esotiche”, invitate a sostituire nei profili online indizi di affiliazioni religiose “altre” con immagini che le ritraggano davanti ad attrazioni locali, incoraggiate a frequentare corsi incentrati sulla pulizia della casa o sul riciclaggio. Raramente le pratiche discriminatorie e razziste sono state affrontate esplicitamente, nonostante fossero una costante nell’esperienza dei partecipanti. I progetti non hanno offerto una formazione antidiscriminatoria per i locatori o per le agenzie abitative. Come ha dichiarato autocriticamente una delle operatrici sociali “Abbiamo formato inquilini perfetti, ma avremmo dovuto formare i proprietari”.

Quali raccomandazioni dallo studio di caso?

Nonostante alcune peculiarità del contesto locale della Provincia autonoma di Bolzano – costi elevati nel mercato immobiliare e barriere aggiuntive per l’accesso all’ERP – buona parte delle sfide emerse è riconducibile a dinamiche comuni al contesto italiano. Pertanto, le osservazioni raccolte nella nostra ricerca portano a raccomandazioni che possono essere estese fuori dal contesto di elaborazione.

La nostra ricerca in ambito locale conferma il peso delle caratteristiche strutturali del sistema abitativo in combinazione con fattori socioculturali. Questo ribadisce che non basta certo il rafforzamento delle competenze individuali per garantire il diritto all’abitare, ma servono interventi sistemici che colleghino i diversi attori del sistema abitativo locale per superare crisi abitativa e discriminazioni che ostacolano il diritto all’abitare: ERP, municipalità, Terzo settore, piccoli e grandi proprietari. L’approccio dell’innovazione sociale può essere utile ma deve andare oltre lo slogan: le iniziative socialmente innovative possono svolgere un ruolo nella soluzione della crisi abitativa, in particolare a sostegno dei cosiddetti gruppi vulnerabili, se sono in grado di affrontare – attraverso un approccio intersettoriale che metta in rete diversi attori dell’abitare – le caratteristiche strutturali del sistema abitativo.

Le raccomandazioni si basano sulla necessità di rimettere al centro il valore sociale della casa. Una politica abitativa efficace e inclusiva richiede un approccio integrato e intersettoriale, che valorizzi il patrimonio abitativo esistente, promuova l’inclusione sociale attraverso interventi innovativi e mirati, e sia in stretto coordinamento con le politiche di accesso all’occupazione, all’istruzione, alla sanità e ai servizi sociali.

È inoltre fondamentale aumentare accessibilità e economicità degli alloggi, a partire dalla valorizzazione del patrimonio abitativo inutilizzato o sottoutilizzato di proprietà pubblica, attraverso forme di cogestione con il Terzo settore12. È inoltre urgente rimodellare l’accesso all’edilizia residenziale pubblica dando priorità ai bisogni reali rispetto agli attuali criteri che generano discriminazione indiretta, come riconosciuto recentemente dalla Corte costituzionale italiana secondo cui l’accesso all’alloggio, in quanto “diritto sociale inviolabile”, non può essere soggetto a criteri che vadano oltre lo stato di necessità di una persona.

Soluzioni abitative autonome e programmi di integrazione abitativa per richiedenti asilo e rifugiati sono fondamentali per prevenire l’emarginazione a lungo termine e dovrebbero essere avviati già nei Centri di accoglienza per migliorare i processi di transizione verso una vita indipendente. I fondi UE possono finanziare servizi di accompagnamento (ad esempio Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, ESF+, FAMI, e InvestEU).

Questi interventi richiedono specifiche competenze del Terzo settore: sono fondamentali programmi di formazione per operatori sociali, incentrati sulla conoscenza del mercato immobiliare e dei servizi di supporto abitativo locali, basati su esperienze di progetti pilota. Non va infatti sottovalutata la specificità di intervento nel fornire supporto abitativo in quanto ambito di intervento multisettoriale e che invoca conoscenze specialistiche.

Servono, infine, interventi che affrontino sia la domanda che l’offerta nel mercato immobiliare. La diffusa discriminazione – sia da parte delle istituzioni che dei singoli – invoca politiche antidiscriminatorie supportate da un sistema di monitoraggio e sanzionamento e dalla creazione di un’agenzia sociale per la casa, che agisca come mediatore no-profit. Concentrandosi solo sul rafforzamento delle competenze individuali senza mettere in discussione il contesto socioeconomico discriminatorio che determina in prima istanza l’esclusione rischia di scadere nel paternalismo13. Le politiche devono invece riconoscere i beneficiari come attori che utilizzano una varietà di strategie per negoziare le barriere all’accesso all’alloggio14.

  1. Si vedano  A. Ager e A. Strang (2008), Understanding Integration: A Conceptual Framework, in «Journal of Refugee Studies», 21(2), pp.166–191, e E. Fravega (2018), L’abitare migrante. Aspetti teorici e prospettive di ricerca, in «Mondi Migranti», 1, pp. 199-223.
  2. R. Serpa (a cura di) (2023), Migrant Homelessness and the Crimmigration Control System, New York, Routledge.
  3. Istat (2022), Gruppo di lavoro sulle politiche per la casa e l’emergenza abitativa. Audizione dell’Istituto Nazionale di Statistica Dott.ssa Cristina Freguja Direttrice della Direzione centrale per le statistiche sociali e il welfare.
  4. M. Bolzoni, E. Gargiulo e M. Manocchi (2015), The social consequences of the denied access to housing for refugees in urban settings: the case of Turin, Italy, in «International Journal of Housing Policy», 15(4), pp. 400-417.
  5. S. Dotsey e M. Ambrosini (2023), Migration, (il)legal status and housing precarity: Difficulties and coping strategies, in «Journal of Urban Affairs», pp. 1-20.
  6. M. Bovo, B. Marani, S. Sabatinelli e A. Tagliaferri (2022), Verso un accesso “ordinario”: Limiti e prospettive delle soluzioni abitative post-accoglienza, in G. Marconi e A. Cancellieri (a cura di) Immigrazione e welfare locale nelle città metropolitane. Bari-Milano-Napoli-Torino-Venezia, Milano, FrancoAngeli, pp. 215-226.
  7. D. Clapham (2005), The Meaning of Housing: A Pathways Approach, Bristol, Bristol University Press.
  8. Fondazione Leone Moressa (2023), Rapporto 2023 sull’economia dell’immigrazione, Mestre, Fondazione Leone Moressa.
  9. S. degli Uberti, Borders within. An Ethnographic Take on the Reception Policies of Asylum Seekers in Alto Adige/South Tyrol, in «Archivio antropologico mediterraneo» [Online], Anno XXII, n. 21 (2).
  10. S. Dotsey e M. Ambrosini (2023), Migration, (il)legal status and housing precarity: Difficulties and coping strategies, in «Journal of Urban Affairs», pp. 1-20
  11. R. Altin e S. degli Uberti (2021), Placed in Time. Migration Policies and Temporalities of (Im)Mobility Across the Eastern European Borders, in «Journal of Balkan and Near Eastern Studies», 24(3), pp. 439-459.
  12. M. Bovo, B. Marani, S. Sabatinelli e A. Tagliaferri (2022), Verso un accesso “ordinario”: Limiti e prospettive delle soluzioni abitative post-accoglienza, in G. Marconi e A. Cancellieri (a cura di) Immigrazione e welfare locale nelle città metropolitane. Bari-Milano-Napoli-Torino-Venezia, Milano, FrancoAngeli, pp. 215-226.
  13. A. Lumley-Sapanski (2022), “It will kill your dreams, your goals, your everything” – Humanitarian migrants, governance through containment and the Italian accommodation system, in «Political Geography», 94, 102573.
  14. Si vedano P. Boccagni (a cura di) (2023), Handbook on Home and Migration, Cheltenham (UK) e Northampton (US), Edward Elgar, e F. Chiodelli, A. Coppola, E. Belotti, G. Berruti, I. Clough Marinaro, F. Curci e F. Zanfi (2021), The production of informal space: A critical atlas of housing informalities in Italy between public institutions and political strategies, in «Progress in Planning», 149, 100495.