Amministrazione condivisa: i profili problematici del rapporto tra PA e Terzo settore
Andrea Perrone | 18 Luglio 2024
La sentenza della Corte costituzionale, 26 giugno 2020, n. 131 e il d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (d’ora in poi, “Codice dei contratti pubblici”) hanno tracciato, con grande nettezza, la distinzione tra strumenti di amministrazione condivisa e appalti pubblici, assegnando ai primi una collocazione autonoma nel panorama delle modalità con il quale la amministrazione pubblica può perseguire attività di interesse generale. In una prospettiva più operativa, la pronuncia della Corte, poi recepita dal legislatore, ha favorito la diffusione di esperimenti di amministrazione condivisa rispetto ad una prima fase dove il ricorso ai procedimenti previsti dal d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore: d’ora in poi, “CTS”) è stato particolarmente contenuto (Vesan – Razetti – Papa 2023).
Come si è visto nell’approfondimento precedente dell’autore, pubblicato su welforum.it in gennaio la collaborazione tra amministrazione pubblica ed Enti del Terzo settore (d’ora in poi, “ETS”) permette l’elaborazione e la “messa a terra” di interventi efficaci e capaci di ridurre i costi che lo Stato deve sostenere per la realizzazione di attività di interesse generale. Da un lato, infatti, gli ETS possiedono un «patrimonio informativo di straordinaria importanza» e adottano un approccio più attento ai bisogni dei destinatari nello svolgimento della loro attività. Per altro verso, le risorse economiche “messe in campo” dagli ETS nella logica della condivisione dell’azione pubblica e lo svolgimento di attività di interesse generale senza fini di lucro rappresentano una «forma indiretta di concorso alla spesa pubblica» (Antonini 2023). Bastano queste rapide battute per cogliere come l’innovazione avviata dal CTS e promossa dalla Corte costituzionale sia, quindi, caratterizzata da rilevanti benefici e grandi potenzialità.
Non mancano, tuttavia, problematiche di carattere giuridico e pratico che impediscono all’amministrazione condivisa di “spiccare il volo”. Può essere utile, quindi, focalizzare l’attenzione su tali aspetti: fermi i lati positivi del nuovo paradigma, un consapevole approfondimento del tema non può che interrogarsi anche sulle zone ancora di ombra.
Alcuni problemi giuridici attraversano trasversalmente gli istituti riconducibili al modello dell’amministrazione condivisa.
Il primo riguarda i criteri per la scelta tra esternalizzazione al mercato mediante appalto pubblico e percorso collaborativo di amministrazione condivisa. In questa prospettiva, è decisivo comprendere quali siano gli elementi rilevanti che le amministrazioni pubbliche devono considerare per selezionare il modello con il quale organizzare la risposta ai bisogni emersi nella comunità civile.
I possibili approcci per governare la fase di scelta sembrano essere due.
Il primo, che emerge con chiarezza dalle Linee guida sul rapporto tra amministrazioni pubbliche ed ETS negli articoli 55-57 del CTS predisposte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (decreto n. 72/2021), riconosce piena discrezionalità alle amministrazioni pubbliche. Nelle parole delle Linee guida, quando per lo svolgimento di un servizio o la realizzazione di un’attività sono utilizzabili tanto l’«attivazione di un rapporto collaborativo» quanto l’«affidamento di un contratto pubblico», «la concreta scelta potrebbe essere la conseguenza di un’opzione politica propria della P.A., tesa a valorizzare il principio della tutela della concorrenza degli operatori economici all’interno di un mercato pubblico regolato o, in alternativa, il principio di sussidiarietà orizzontale».
Il Codice dei contratti pubblici riconosce, di contro, come decisivo il principio del risultato (art. 1, co. 4). In questa prospettiva, i «modelli organizzativi di amministrazione condivisa» devono contribuire al «perseguimento delle finalità sociali in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato» (art. 6, co. 1). Tale principio trova, a sua volta, la propria declinazione esclusivamente nell’ambito degli appalti pubblici e «costituisce attuazione … del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficacia, efficienza ed economicità» (art. 1, co. 3). In una simile prospettiva, la scelta di ricorrere a strumenti di amministrazione condivisa non è oggetto di una semplice opzione politica, ma richiede la dimostrazione che il principio del risultato sia stato effettivamente rispettato. Nelle parole dell’art. 18, co. 2, d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201 (“Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”), gli enti devono, pertanto, motivare la scelta perstrumenti di amministrazione condivisa non solo in relazione alla natura «effettivamente collaborativa del rapporto», bensì – e soprattutto – in ragione degli «effettivi benefici che tale soluzione comporta per il raggiungimento di obiettivi di universalità, solidarietà ed equilibrio di bilancio».
Il secondo problema giuridico riguarda il significato da attribuire alla nozione di “gratuità”. Secondo il tradizionale orientamento nella giurisprudenza amministrativa, infatti, i rapporti collaborativi possono essere sottratti alla disciplina degli appalti pubblici solo quando sia possibile escludere l’onerosità del servizio prestato.
L’interpretazione offerta, al riguardo, dal parere spedito dal Consiglio di Stato su richiesta dell’Autorità Nazionale Anticorruzione il 20 agosto 2018 (n. 02052/2018) è, tuttavia, assai stringente: la nozione di gratuità implica l’esclusione di «ogni possibile ripianamento» dei costi sostenuti dagli ETS avuto riguardo ai fattori produttivi impiegati per lo svolgimento dei loro compiti e la necessità che la collaborazione degli ETS sia in perdita.
La possibile adesione a tale orientamento da parte delle amministrazioni pubbliche è particolarmente critica. Come è, infatti, del tutto evidente, un simile approccio disincentiva la diffusione delle pratiche di amministrazione condivisa: i fattori produttivi utilizzati per l’erogazione delle attività di interesse generale (in particolare: lavoro e i beni strumentali) sono la maggiore voce di costo per gli ETS.
Un ulteriore problema giuridico riguarda la sola forma di partenariato denominata dal CTS come “co-programmazione”.
Le prime indagini empiriche sull’amministrazione condivisa dimostrano lo scarso utilizzo di tale strumento da parte delle amministrazioni pubbliche. Tale fenomeno potrebbe trovare la sua spiegazione nel fatto che la co-programmazione si sovrappone ad altri strumenti di pianificazione “collaborativa” già contemplati nel nostro ordinamento, come i piani di zona (Fazzi 2023 e 2022). In questa prospettiva, la puntuale identificazione delle specifiche aree di elezione del CTS e degli altri meccanismi volti a programmare in modo condiviso interventi di interesse generale consente di coordinare le diverse fonti normative rilevanti e porre le basi per individuare il terreno di elezione dove può svilupparsi il ricorso allo strumento della co-programmazione.
La risoluzione dei problemi giuridici sino a ora indicati risulta, quindi, decisiva per mettere a frutto le potenzialità dell’amministrazione condivisa. Il superamento di tali questioni non è, tuttavia, da solo sufficiente a promuovere un effettivo funzionamento dei meccanismi previsti dal CTS. I rapporti collaborativi possono, infatti, presentare diverse criticità anche nella loro concreta attuazione: senza superare tali problemi pratici i tratti caratteristici dell’amministrazione condivisa possono essere deformati, sino al punto di rendere “lettera morta” gli strumenti previsti dal CTS.
Il primo ostacolo “pratico” ai procedimenti collaborativi tra amministrazione pubblica ed ETS è costotuito dagli elevati costi di coordinamento (Becchetti et al. 2022), che possono nascere dalla partecipazione di numerosi e variegati ETS ai tavoli di lavoro per la condivisione delle attività di interesse generale. Tali ostacoli attingono, quindi, alla sfera relazionale (Guarna – Maino 2023): creare relazioni costruttive e, dunque, capaci di accompagnare una sana cooperazione tra amministrazione pubblica ed ETS è un processo articolato e particolarmente complesso. Non è difficile immaginare, al riguardo, le conflittualità che possono sorgere nell’organizzazione dei servizi in una co-progettazione oppure nella formulazione di un progetto unitario da parte degli ETS che partecipano al medesimo procedimento.
A loro volta, i considerevoli costi dei rapporti collaborativi possono condurre la amministrazione pubblica ad adottare pratiche operative che finiscono per svilire il potenziale dell’amministrazione condivisa. Gli enti pubblici potrebbero, in particolare, ridurre le occasioni di confronto sulla programmazione degli interventi di interesse generale e avvicinare la co-progettazione al consolidato modello competitivo degli appalti pubblici. In quest’ultima prospettiva, possono trovare spiegazione alcune prassi potenzialmente capaci di alterare la logica che dovrebbe animare l’utilizzo dell’amministrazione condivisa. Si pensi, per esempio, ad avvisi pubblici che determinino in maniera molto selettiva gli attori privati ammessi a co-definire l’azione pubblica, con una forte riduzione del tasso di inclusività dei procedimenti e, pertanto, una minore capacità di raccogliere diversi contributi nella prospettiva di rispondere al meglio ai bisogni della collettività. Oppure, si considerono gli avvisi pubblici che definiscono in anticipo le caratteristiche principali del servizio di interesse generale, senza lasciare alcuno spazio al dialogo tra amministrazione pubblica procedente ed ETS nella configurazione degli interventi da co-progettare. Con riferimento a tale pratica, una recente sentenza del Consiglio di Stato ha sostenuto che la prefigurazione dettagliata dei servizi in un documento allegato all’avviso pubblico rappresenta un «illegittimo utilizzo» del modello dell’amministrazione condivisa (Consiglio di Stato, 26 maggio 2023, n. 5217).
Un ultimo problema pratico dell’amministrazione condivisa riguarda la compartecipazione degli ETS ai costi per lo svolgimento delle attività di interesse generale. La richiesta agli attori privati di apportare risorse economiche per lo svolgimento dei relativi servizi, infatti, può disincentivare in maniera significativa la partecipazione a forme di co-progettazione. L’esperienza dimostra, inoltre, che l’importo richiesto a titolo di co-finanziamento può essere particolarmente elevato e raggiungere un importo pari al 20% del costo totale di un intervento. La condivisione delle spese può così rappresentare una “barriera all’ingresso” per una pluralità di ETS che – pur avendo scarse risorse economiche – sono in grado di fornire un importante contributo dal punto di vista ideativo o esperienziale (Vesan – Razetti – Papa 2023). In altri termini, la partecipazione degli ETS alle spese può avere l’effetto di ridurre il tasso di adesione a iniziative di amministrazione condivisa e, per conseguenza, ridurre le diverse prospettive che possono arricchire il dialogo con la amministrazione pubblica.
La maturità e la piena esplicazione dei meccanismi collaborativi previsti dal CTS passano, quindi, necessariamente dalla soluzione di questi problemi. A tali questioni sarà dedicato il prossimo approfondimento.