Amministrazione condivisa: spunti per risolvere i profili problematici del rapporto tra PA e Terzo settore
Andrea Perrone | 7 Agosto 2024
Come più analiticamente discusso in un precedente contributo su Welforum (Perrone, 12 gennaio 2024), la concreta attuazione degli strumenti di collaborazione tra amministrazione pubblica ed Enti del Terzo settore (d’ora in poi, “ETS”) riconducibili al modello dell’amministrazione condivisa è chiamata a misurarsi con diverse problematiche di carattere giuridico e pratico.
La piena maturazione dell’amministrazione condivisa richiede, pertanto, di risolvere tali questioni, individuando soluzioni che consentano di “mettere a terra” il modello teorico.
Le questioni giuridiche riguardano tre aspetti fondamentali: (1) l’identificazione dei criteri che devono guidare l’amministrazione pubblica nella scelta tra il ricorso all’appalto pubblico e l’utilizzo di uno strumento di amministrazione condivisa; (2) la nozione giuridica di “gratuità” dell’attività svolta dagli ETS; e, da ultimo, (3) il rapporto tra co-programmazione e pianificazione zonale (Perrone, 18 luglio 2024).
Pur non essendo tra loro coerenti, le indicazioni del sistema con riguardo all’identificazione dei criteri che giustificano il ricorso a strumenti di amministrazione condivisa possono essere agevolmente ordinate. Il contrasto tra Linee guida sul rapporto tra amministrazioni pubbliche ed ETS negli articoli 55-57 del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore: d’ora in poi, “CTS”) predisposte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (decreto n. 72/2021), che rimettono la scelta a una pura opzione discrezionale delle amministrazioni pubbliche, e il d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (d’ora in poi, “Codice dei contratti pubblici”), che, di contro, impone il rispetto del principio del risultato, trova, infatti, soluzione nelle regole generali sulla gerarchia delle fonti. In questa prospettiva, la prevalenza della legge rispetto agli atti amministrativi porta, pertanto, a concludere che la scelta tra appalti pubblici o strumenti di amministrazione condivisa deve conformarsi ai criteri di efficacia, efficienza ed economicità in cui si declina il principio del risultato.
All’interno di questo quadro normativo, il ricorso alla co-programmazione e alla co-progettazione può essere giustificato alla luce di molteplici considerazioni. Sotto un primo profilo, la condivisione di idee con gli ETS attivi da tempo in un determinato settore permette la progettazione di azioni più efficaci rispetto all’affidamento di un servizio tramite un contratto di appalto. Nella prospettiva dell’economicità, il contributo di risorse da parte degli ETS e l’esclusione di un corrispettivo che consenta agli ETS di conseguire un “margine” per l’attività svolta comportano una riduzione delle spese affrontate dalle amministrazioni pubbliche. Il ricorso al mercato potrebbe, di contro, risultare preferibile solo per la sua maggiore efficienza in termini di tempestività nella risposta al bisogno sociale: co-programmazione e co-progettazione richiedono, infatti, alle amministrazioni pubbliche di selezionare gli ETS e, successivamente, collaborare per la realizzazione della funzione amministrativa, con un possibile incremento dei tempi necessari alla realizzazione delle azioni animate da finalità sociali (con riferimento alla co-programmazione, Marocchi 2024; Borzaga, Fazzi, Rosignoli 2023). Ciò vale, in particolare, per i percorsi completi di amministrazione condivisa, che vedono seguire alla co-programmazione la fase della co-progettazione per la delineazione degli specifici interventi.
In questa situazione, cruciale importanza acquista la decisione su come debba essere configurata la regola da applicare e, in particolare, su chi debba ricadere l’onere della prova. Sono gli ETS a dover dimostrare che il ricorso a strumenti di amministazione condivisa risponde al principio del risultato o sono, di contro, le amministrazioni pubbliche che debbono dimostrare l’incoerenza degli strumenti di amministrazione condivisa con il principio del risultato? Le indicazioni del CTS e il favor alla co-programmazione e alla co-progettazione riconosciuto dalla Corte costituzionale (Perrone, 12 gennaio 2024) potrebbero suggerire un’impostazone per la quale il ricorso all’amministrazione condivisa costituisce la regola di default: co-programmazione e co-progettazione rispondono al principio del risultato sino a prova contraria da parte delle amministrazioni pubbliche. Per la verità, un approccio non distante da questa impostazione si ritrova già nelle scelte operate da alcune amministrazioni regionali: con particolare riferimento alla co-programmazione, la l. regionale Toscana 22 luglio 2020, n. 65 e la l. regionale Molise 7 ottobre 2022, n. 21, per esempio, impongono alla Regione e agli enti locali di motivare le «esigenze che eventualmente impediscono l’attivazione» dello strumento di amministrazione condivisa (cfr., rispettivamente, art. 9, co. 1 e art. 10, co. 1). Un’analoga conclusione potrebbe derivare dal principio, esplicitato in alcune leggi regionali, secondo cui le amministrazioni pubbliche devono promuovere rapporti di collaborazione con gli ETS nell’ambito dell’amministrazione condivisa per esercitare le proprie funzioni amministrative (in questo senso, art. 1, co. 1, l. regionale Piemonte 14 marzo 2024, n. 5, art. 14, co. 1, l. regionale Emilia-Romagna 13 aprile 2023, n. 3, art. 4, co. 1, l. regionale Umbria 6 marzo 2023, n. 2, art. 3, co. 1, l. regionale Molise e, infine, art. 3, co. 1, l. regionale Toscana). Anche in tal caso, infatti, la decisione di non ricorrere a strumenti di amministrazione condivisa dovrebbe essere motivata.
Alla luce delle considerazioni sino qui svolte, possono anche indicarsi declinazioni ancora più particolari della soluzione indicata. Così, per esempio, si potrebbe formulare l’ipotesi che le amministrazioni pubbliche debbano attivare percorsi di amministrazione condivisa quando un bisogno sociale non richiede una risposta particolarmente rapida perché, per esempio, l’urgenza è già parzialmente “coperta” dall’erogazione di un servizio o dall’attività di soggetti presenti sul territorio. Ciò non significa che in casi dove è necessaria una “terapia d’urto” prevarrà esclusivamente il ricorso al mercato: anche quando un’esigenza sociale deve essere coperta da un appalto pubblico, le amministrazioni pubbliche potrebbero avviare la collaborazione con gli ETS per definire nel medio periodo una risposta migliore al bisogno emerso nella collettività.
Il parere spedito dal Consiglio di Stato su richiesta dell’Autorità Nazionale Anticorruzione il 20 agosto 2018 (n. 02052/2018) (d’ora in poi, “Parere Consiglio di Stato”) ha interpretato in maniera particolarmente stringente il concetto di gratuità (Perrone, 18 luglio 2024). Benché lo stesso giudice amministrativo riconosca che la «linea evolutiva della disciplina degli affidamenti dei servizi sociali» è «orientata» verso il «riconoscimento di ampi spazi di sottrazione» al «sistema della concorrenza e del mercato» (così il parere spedito dal Consiglio di Stato su richiesta dell’Autorità Nazionale Anticorruzione il 3 maggio 2022, n. 00802/2022), la giurisprudenza amministrativa si «rivela ancora fedele» a tale paradigma (Boschetti, Berti, Macdonald 2024): l’amministrazione condivisa è perseguibile quando il servizio è reso degli ETS non solo senza conseguire un corrispettivo che consenta un “margine”, ma anche senza il pieno rimborso dei costi da parte della amministrazione pubblica e, quindi, “in perdita”.
L’iniziale orientamento giurisprudenziale europeo in materia [Corte di Giustizia, 19 dicembre 2012 – Causa C-159/11 e, in particolare, le conclusioni dell’avvocato generale] e, per conseguenza, la posizione dei giudici amministrativi trova spiegazione nella volontà di evitare comportamenti abusivi: un pieno rimborso dei costi sostenuti per i fattori produttivi potrebbe, infatti, “mascherare” una remunerazione che consenta un “margine” e, quindi, consentire abusi. Meglio, dunque, evitare ex ante che le maggiori voci di costo – e, in particolare, il costo del lavoro – possano essere imputate all’amministrazione pubblica.
Tale impostazione sembra, tuttavia, poco proporzionata. L’esigenza di prevenire abusi può, infatti, essere soddisfatta mediante alcuni accorgimenti operativi già sperimentati a livello locale (per esempio, Comune di Milano 2023; art. 2, co. 1, lett. o, l. regionale Emilia-Romagna 13 aprile 2023, n.3). Si pensi, per esempio, alla “messa a punto” di un efficace sistema di rendicontazione delle spese oppure a una puntuale determinazione del costo dell’intervento “condiviso” e, eventualmente, delle quote di costo imputabili ai protagonisti dei percorsi collaborativi.
Una volta presidiato il rischio di abusi, il concetto di gratuità può essere ripensato nel suo contenuto e, nello specifico, precisato in termini di “non lucratività”. L’amministrazione condivisa può ritenersi praticabile anche quando la amministrazione pubblica rifonda integralmente i costi sostenuti dagli ETS per lo svolgimento delle attività di interesse generale. è l’assenza di un “margine” per gli ETS e, quindi, la non lucratività dell’attività a fare la differenza con gli appalti pubblici.
Una simile impostazione sembra confermata dal più recente orientamento della giurisprudenza europea, del tutto esplicita nel riconoscere chegli enti privati senza scopo di lucro che prestano determinati servizi sociali di assistenza alla persona «possono ottenere … il rimborso dei costi variabili, fissi e permanenti», con l’esclusione della realizzazione di un «utile commerciale» (così la Sentenza del 14 luglio 2022 – Causa C-436/2020, par. 89). Anche le linee guida n. 17 dell’Autorità nazionale anticorruzione (“ANAC”) (Delibera n. 382 del 27 luglio 2022) sembrano confermare la conclusione (sul punto, Boschetti, Berti, Macdonald 2024), riconoscendo che le iniziative di amministrazione condivisa possono essere sottratte all’applicazione del Codice dei contratti pubblici «anche se realizzate a titolo oneroso» (par. 2.1).
Tale conclusione trova conferme anche dal punto di vista normativo. Con riferimento agli “accordi” tra amministrazioni pubbliche e organizzazioni di volontariato (“ODV”) o associazioni di promozione sociale (“APS”), l’art. 56 CTS consente che tali accordi prevedano «il rimborso … delle spese effettivamente sostenute e documentate» (co. 2) e contengano «disposizioni dirette a garantire l’esistenza delle condizioni necessarie a svolgere con continuità le attività oggetto della convenzione» (co. 3). In tal modo, l’art. 56 CTS non solo permette il riconsocimento delle spese effettivamente sostenute, ma neppure esclude il rimborso delle spese affrontate per la remunerazione dei fattori produttivi, nella misura in cui ciò sia necessario per la continuità del servizio, così come può essere riscontrato nella prassi di alcune amministrazioni locali (Comune di Como e Comune di Milano 2023).
Non va negato che l’applicazione analogica delle previsioni indicate alle convenzioni stipulate a seguito di co-progettazioni può essere esclusa per la singolarità della disciplina prevista dall’art. 56 CTS (così il Parere Consiglio di Stato) o per la diversità di fattispecie (Gori 2023). Nondimeno, si potrebbe al riguardo osservare che il CTS regola il rapporto negoziale tra ETS e amministrazione pubblica solo in questa sede e che a questa ci si deve, quindi, riferire per la soluzione delle lacune dell’art. 55 CTS. Tale soluzione prospettata è stata accolta in una recente sentenza del Consiglio di Stato, che ha applicato l’art. 56 CTS a una convenzione stipulata al termine di una procedura di co-progettazione in materia di inclusione sociale (Consiglio di Stato, 26 maggio 2023, n. 5217 e 5218) e, quindi, al di fuori della puntuale fattispecie prevista dalla norma.
La disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201) conferma, ulteriormente, la conclusione. Nel regolare i rapporti di partenariato con gli ETS, l’art. 18, co. 3 è, infatti, del tutto esplicito nell’escludere che i rapporti di partenariato con gli ETS non possono essere attivati quando «le risorse pubbliche da mettere a disposizione degli ETS risultino, complessivamente considerate, superiori al rimborso dei costi, variabili, fissi e durevoli previsti ai fini dell’esecuzione del rapporto di partenariato». Il che equivale a dire che sono ben possibili rapporti di partenariato tra Pubbliche Amminstrazioni e ETS nei quali siano rimborsati tutti i costi necessari per lo svolgimento dell’attività da parte degli ETS.
Non particolarmente difficile pare, da ultimo, il superamento dell’obiezione per la quale la co-programmazione costituirebbe un “duplicato” di altri meccanismi collaborativi già previsti nell’ordinamento, come, per esempio, i piani di zona.
Al riguardo, può, infatti, esseere rilevato che la sovrapposizione tra le fattispecie è solamente parziale. La pianificazione di zona può essere promossa esclusivamente dai Comuni e solo con riguardo ai servizi sociali e socio-sanitari (art. 19, co. 1, l. 8 novembre 2000, n. 328). Di contro, co-programmazione e co-progettazione valgono per tutte le amministrazioni pubbliche e per tutte le attività di interesse generale. Con specifico riguardo ai Comuni, la co-programmazione potrebbe, in particolare, essere utilizzata per lo svolgimento delle attività di interesse generale non riconducibili ai servizi sociali e socio-sanitari (per esempio, nel settore scolastico) o per “arricchire” gli esiti della cooperazione nell’ambito dei piani di zona (Gorlani 2022; nel senso di un’integrazione tra i due strumenti, Bongini et al. 2021). Né è mancato chi ha prospettato la possibilità di utilizzare la co-programmazione quale luogo di confronto per l’adozione di piani di zona (Razetti ,Vesan 2024).
Così chiarite le questioni giuridiche, rimangono da affrontare gli ostacoli “pratici” che possono condizionare lo sviluppo dell’amministrazione controllata. Come già ricordato (Perrone, 18 luglio 2024), tali ostacoli riguardano: (1) gli elevati costi di coordinamento che caratterizzano gli strumenti previsti nel CTS (2) e la possibile riduzione del tasso di adesione a co-progettazioni conseguente alla partecipazione degli ETS alle relative spese.
Gli elevati costi di coordinamento implicati dalla co-programmazione e dalla co-progettazione richiedono di “impostare” i lavori cercando di ridurne la farraginosità, senza però obliterare l’esigenza di coagulare i diversi apporti ideativi e organizzativi.
Una pluralità di misure concrete elaborate nella prassi o segnalate da studi in materia (Borzaga, Fazzi, Rosignoli 2023) aiutano a mettere a fuoco le possibili soluzioni.
Così, per esempio, una riduzione dei costi di coordinamento può derivare (1) organizzando il lavoro per sottogruppi o tavoli di lavoro tematici e (2) individuando le priorità tra i diversi bisogni e tra le diverse modalità per la loro soddisfazione. Secondo un approccio ancor più deciso, è possibile ipotizzare che gli avvisi pubblici promuovano forme di aggregazione tra ETS, così che le amministrazioni pubbliche possano confrontarsi solo con uno o più enti capofila. In questa ottica, nei procedimenti di co-progettazione gli avvisi pubblici potrebbero prevedere quale criterio di valutazione delle diverse proposte la realizzazione di piattaforme collaborative tra ETS.
La moderazione dei tavoli di lavoro da parte di un soggetto terzo all’amministrazione pubblica e agli ETS (c.d. “facilitatore”) rappresenta un’altra buona pratica nell’ottica di ridurre i costi di coordinamento. Il facilitatore può moderare il dialogo, gestire i possibili conflitti nella discussione e ridurre il rischio che gli attori coinvolti non si focalizzino su obiettivi ed esigenze del percorso collaborativo (Borzaga – Fazzi – Rosignoli 2023). Né va esclusa la possibilità di attribuire alla amministrazione pubblica o al facilitatore il potere di escludere dalle interlocuzioni gli ETS che non partecipino proattivamente ai tavoli di lavoro (De Ambrogio – Guidetti 2023).
Il problema di una ridotta adesione degli ETS a iniziative di co-progettazione per l’impossibilità di sostenerne i costi può trovare soluzione nell’apertura dei percorsi collaborativi a soggetti con maggiori disponibilità economiche, come le fondazioni bancarie o le fondazioni filantropiche. Tali soggetti potrebbero, infatti, mettere a disposizione le proprie risorse al fine di ridurre o coprire gli oneri a cui gli ETS non sono in grado di fare fronte.
Da questo punto di vista, è fondamentale che le amministrazioni pubbliche o gli ETS promuovano le iniziative di amministrazione condivisa anche contattando imprese o altri soggetti della società civile con le competenze e i mezzi economici per supportarle in maniera adeguata. Tale prassi è stata recentemente ammessa in ambito regionale: l’art. 5, co. 1, lett. e, l. regionale Umbria 6 marzo 2023, n. 2 ha previsto che gli ETS «possono avvalersi del contributo di soggetti diversi da questi ultimi». La realizzazione di partnership tra ETS, già richiamata come modalità per ridurre i costi di coordinamento, potrebbe risultare utile anche a questi fini: una “squadra” di ETS, dove ognuno porta il suo contributo ideale, di esperienza e di risorse economiche, costituisce un interlocutore di una fondazione bancaria o di una fondazione filantropica assai più adeguato di un gruppo di ETS che si muovono in ordine sparso.
Anche in questa prospettiva, rimane così confermato che il futuro dell’amministrazione condivisa risulta affidato a scelte “forti”: non solo della Pubblica Amministazione, sollecitata a superare gli schemi tradizonali e a ripensare forme e modalità della propria azione; ma anche degli ETS, chiamati a evitare “partite in proprio” e a sviluppare, di contro, una costante apertura alla costruzione comune.