Come si è avuto più volte modo di evidenziare (vedi questi due articoli 1 – 2) il percorso di implementazione della Riforma del Terzo settore prevede, dopo l’approvazione dei decreti del luglio 2017, ancora numerosi atti applicativi da approvarsi da parte dei ministeri (nella sezione «normativa» del sito Forum del Terzo settore è presente lo stato dell’arte aggiornato degli atti approvati). Ciò determina la necessità di definire quali parti della normativa siano in vigore e quali no, soprattutto nei casi in cui legge e decreti attuativi non prevedano indicazioni esplicite in merito.
Questo è il caso del bilancio sociale, sicuramente tra i documenti che caratterizzano l’impianto della Riforma; sono tenuti, come è noto, a presentare questo documento:
- Gli enti di terzo settore con proventi o entrate superiori al milione di euro, come indicato dall’art. 14 del d.lgs. 117/2017 (il “Codice del Terzo settore”);
- Tutte le imprese sociali indipendentemente dalla loro dimensione economica, come indicato nel d.lgs. 112/2017 che attua la Riforma relativamente all’impresa sociale.
In entrambi i casi tale documento va redatto “secondo linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali” (atto non ancora approvato) e i sindaci dovranno attestare tale conformità (e il bilancio sociale riportare gli esiti della verifica fatta dai sindaci); in entrambi i casi il bilancio sociale va reso consultabile sul sito internet dell’ente e depositato presso il Registro unico nazionale del Terzo settore o, nel caso delle imprese sociali, presso il Registro delle Imprese. Per le imprese sociali si specifica inoltre che tra le informazioni di cui dare conto in sede di bilancio sociale vi sono il differenziale tra la retribuzione più bassa e quella più alta (che non deve eccedere il rapporto di 1 a 8), nonché le modalità di coinvolgimento dei lavoratori e degli altri stakeholder.
Ma la domanda è: da quando incorre tale obbligo? Da subito, malgrado non siano ancora state approvate le linee guida? O da quando saranno approvate e comunque con riferimento al primo anno di completa vigenza dei decreti attuativi (cioè il 2018, essendo i decreti stati approvati nel corso del 2017; e quindi, in questo caso, nel bilancio depositato nel corso dell’anno 2019)?
Tale domanda registra, nel giro di poche settimane, due pronunciamenti di segno diverso.
Il primo è del 22 febbraio scorso; si tratta di una nota della Direzione Generale del Terzo Settore indirizzata alle Regioni e relativa ad alcuni quesiti avanzati in tema di cooperazione sociale. In questa nota – così come in una precedente circolare del dicembre 2017 – si sostiene che, dal momento che il bilancio è oggetto di un’attestazione di conformità alle Linee guida da parte dei sindaci, tale verifica non può che avvenire una volta che le Linee guida siano state approvate. Quindi non oggi, nei bilanci in corso di approvazione in queste settimane, ma ragionevolmente dall’anno prossimo o forse ancora oltre. La nota conferma inoltre che le cooperative sociali, in quanto imprese sociali, saranno tenute a presentare tale documento in CCIAA.
Meno di un mese più tardi il Ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, approva però un Decreto interministeriale, poi pubblicato in Gazzetta ufficiale il 21 aprile. In esso si legge che, in assenza delle linee guida in questione, il bilancio sociale va redatto adottando a modello le previgenti linee guida riferite alla precedente e abrogata normativa sull’impresa sociale risalenti al 2008; ciò può far presumere che si intenda che tale documento sia da presentare già dal presente esercizio, provvedendo a depositarlo insieme agli altri documenti di bilancio entro il 30 giugno.
Fermo restando che l’introduzione di forme di rendicontazione sociale è del tutto auspicabile, questa vicenda evidenzia almeno tre aspetti discutibili:
- il primo, già evidenziato, è che siano emessi due pronunciamenti diversi su uno stesso tema e con il coinvolgimento di uno stesso enti a distanza di un mese;
- il secondo è che siano – se si comprende bene quanto contenuto nel Decreto Interministeriale del 16 marzo – delineati degli obblighi che i destinatari non si attendevano (redigere il bilancio sociale) e le relative modalità di assolvimento (con i criteri delle vecchie linee guida) che vanno a ricadere su almeno 16 mila imprese con un preavviso nullo: la nota è pubblicata in Gazzetta ufficiale il 21 aprile, quando ragionevolmente i bilanci sono già stati approvati dai Consigli di Amministrazione e le assemblee che devono esaminarli già convocate (se non, in alcuni casi, già svolte) e comunque da celebrare entro il 30/6; come si può ipotizzare che l’obbligo venga rispettato, tanto più che era stato rimandato a successivi esercizi con una nota di fine febbraio e una circolare di dicembre?
- vi è poi un terzo aspetto: il Decreto Interministeriale del 16 marzo individua gli obblighi relativi ad atti e documenti da depositare (tra i quali il bilancio sociale) cui sono sottoposti “gli enti privati che, secondo quanto previsto dai rispettivi atti costitutivi, esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” (art. 2). Ora, questa perifrasi, pur lasciando intuire la volontà di riferirsi alle «imprese sociali», da un punto di vista tecnico individua un perimetro più ampio; vi possono essere cioè enti che rispondono alla definizione del Decreto pur non essendo imprese sociali e quindi non essendo, sulla base della fonte normativa di riferimento, tenuti alla presentazione del bilancio sociale qualora con ricavi inferiori al milione di Euro. In sostanza un Ente di terzo settore (diverso dal una cooperativa sociale) può, a normativa vigente, svolgere in via principale e stabile attività di impresa scegliendo di non qualificarsi come impresa sociale; e se ha ricavi inferiori al milione di euro non è tenuto a presentare il bilancio sociale.
È sicuramente comprensibile come l’implementazione di una normativa complessa come la Riforma del Terzo settore richieda un lavoro normativo attuativo impegnativo e come di conseguenza possano sorgere dubbi applicativi. Ma proprio per questo sarebbe opportuna da parte del legislatore attenzione e precisione nello svolgimento di questo delicato compito, attenzione e precisione che in alcuni casi sembra venire a mancare.
Nel merito, introdurre e diffondere forme di rendicontazione come il bilancio sociale è senz’altro una sfida importante per le imprese sociali e per il terzo settore, da due punti di vista: favorisce la trasparenza e il rapporto con i cittadini (non a caso si tratta di un documento da rendere obbligatoriamente accessibile via web sul sito istituzionale dell’ente) e contribuisce a dare alle organizzazioni una base concreta e fattuale per analizzare il proprio operato, ponendo così le condizioni per azioni di miglioramento organizzativo. Ma ciò presuppone che il bilancio sociale sia affrontato dal terzo settore non come l’ennesima pratica da assolvere, come costo burocratico ulteriore cui si è sottoposti, ma come conseguenza naturale e consapevole della propria “finalità civica e solidaristica”, che non può essere solo enunciata e presupposta, ma va via via verificata e resa visibile agli stakeholder; questo presuppone però di introdurre il bilancio sociale in modo tale da permettere agli enti – quantomeno a quelli potenzialmente sensibili al tema – di farne un oggetto di riflessione consapevole, e di avviare i conseguenti processi interni e con gli stakeholder, cosa sicuramente non possibile laddove esso sia introdotto in modo forzato e affrettato.