Nella premessa al PNRR il presidente Mario Draghi ha sottolineato come la pandemia abbia particolarmente colpito le donne e i giovani. Per questi ultimi, il Covid-19 ha in realtà aggravato una situazione già critica, come dimostrato ad esempio dall’alto tasso di NEET (il più alto nella UE) o di disoccupazione. Inoltre, il sistema complessivo di formazione scolastica e universitaria è stato particolarmente stressato dalla pandemia, con conseguenze che impatteranno negativamente sul futuro dei giovani.
Soprattutto nei primi mesi dell’emergenza, il mondo giovanile è stato oggetto di analisi e riflessioni a volte contrastanti, volte a evidenziare il tratto “egoistico” o apatico dei giovani oppure, al contrario, il loro slancio solidale, a volte improvvisato, di protagonismo impegnato.
Un piccolo “mondo”, fatto di giovani, che sin da subito ha dovuto fare i conti con la pandemia è stato quello del servizio civile, che ogni anno vede impegnati nel nostro Paese migliaia di giovani compresi tra i 18 e i 28 anni. Il 20 febbraio 2020, dunque una ventina di giorni prima del lockdown, iniziavano il servizio 9.279 operatori volontari che avevano partecipato al bando di selezione emanato a settembre 2019 e che prevedeva quasi 40 mila posti in Italia e all’estero. Gli avvii di febbraio facevano salire a poco più di 28 mila i giovani in servizio civile a quella data.
In realtà, la prima conseguenza della decretazione delle varie “zone rosse” da parte del governo è stata quella, sostanzialmente, del “restate a casa”. Infatti, il Dipartimento per le politiche giovanili e il Servizio civile universale della Presidenza del Consiglio disponeva la sospensione dei progetti di servizio civile che si svolgevano all’interno dei territori comunali “rossi” e la sospensione dal servizio degli operatori volontari residenti o domiciliati.
Man mano che la cartina dell’Italia si tingeva di “rosso” andava aumentando il numero dei progetti di servizio civile sospesi e dei giovani inattivi, sebbene lo stesso Dipartimento invitava gli enti, prima di sospendere i progetti in corso, a verificare la possibilità di riorganizzare temporaneamente il servizio degli operatori volontari, impiegandoli in attività diverse, ma correlate ai progetti.
Dopo le prime settimane di “stop”, agli inizi di marzo si comincia a intravvedere un possibile impegno del servizio civile nelle attività di emergenza. Partendo dal richiamare la finalità principale del servizio civile, quale forma di difesa non armata e non violenta della Patria, il Dipartimento qualificava i progetti di servizio civile attivi sui territori interessati alle prime chiusure come “strumenti preziosi per garantire quotidiano supporto e assistenza alle comunità, in uno sforzo comune di solidarietà e di partecipazione in grado di incidere positivamente sul bene della collettività.” Così gli enti di servizio civile erano autorizzati a “rimodulare i propri progetti per assicurare servizi utili alla collettività” sotto il coordinamento delle istituzioni pubbliche che operavano sui territori.
In tal modo, mentre veniva decretato il primo lockdown generalizzato e veniva disposto in via eccezionale la sospensione di tutti i progetti di servizio civile sull’intero territorio nazionale e la conseguente sospensione dal servizio degli operatori volontari, allo stesso tempo si consentiva la prosecuzione delle attività per “progetti di particolare e rilevante utilità, comunque funzionali alla situazione di emergenza in corso”.
Il primo passo era compiuto e aveva fatto maturare la consapevolezza che il sistema del servizio civile poteva essere attivato, e rivelarsi utile, proprio per contribuire ad affrontare un’emergenza inedita come quella che stiamo ancora vivendo. Si trattava di fare un secondo passo, quello di adattare le regole di quel sistema (tante, articolate, a volte rigide, molte delle quali improntate al formalismo) a una situazione in cui un virus non rispetta le regole. E così si è imboccata la via della massima flessibilità per consentire agli enti di riattivare i progetti sospesi, “così da contribuire alla gestione della straordinaria situazione di emergenza”. D’altronde, pur con tutte le difficoltà organizzative che la pandemia ha imposto, gli enti del Terzo settore e le organizzazioni di volontariato, spesso in sinergia con le istituzioni locali, sono riusciti a continuare le loro attività secondo nuove priorità e nuove modalità di azione per soddisfare i bisogni dei territori.
In questa nuova mappa della solidarietà, il servizio civile ha giocato il proprio ruolo, anche grazie al coinvolgimento delle energie giovanili. I giovani, appunto. Come hanno vissuto questa situazione che, per restare all’ambito del servizio civile, è passata dall’iniziale incertezza alla consapevolezza di un ruolo positivo attivo?
Una risposta, seppur parziale, a questa domanda ha provato a cercarla la Caritas Italiana tra i giovani che hanno svolto il servizio civile proprio nei primi mesi della pandemia. I risultati qui riportati sono stati pubblicati nel Rapporto 2021 su povertà ed esclusione sociale di Caritas Italiana.
Il primo lockdown generalizzato del marzo 2020 ha sospeso le attività di quasi 700 operatori volontari in servizio civile in 71 Caritas diocesane in Italia, che avevano avviato i progetti un paio di mesi prima, il 15 gennaio. Anche questi progetti, dopo l’iniziale “congelamento”, hanno potuto rimodulare le attività originariamente previste e modificare le modalità di attuazione, riconvertendole man mano in attività anti-Covid-19.
Al termine del servizio di questi giovani, abbiamo inserito una piccola indagine nel sistema di monitoraggio periodico che Caritas Italiana normalmente applica ai progetti di servizio civile che vengono realizzati e che, per gli operatori volontari, prevede la somministrazione online di tre questionari. Le risposte, che si riferiscono ai soli progetti in Italia (i progetti all’estero sono stati quasi tutti interrotti col rimpatrio dei volontari), sono state raccolte tra gennaio e aprile 2021, parallelamente al termine scaglionato dei progetti. L’universo dell’indagine è costituito da tutti i giovani che hanno concluso regolarmente il loro servizio civile di 12 mesi (in questo caso, 572 operatori volontari), un numero inferiore sia al numero iniziale di posti inseriti nel bando sia al numero di giovani che iniziano il servizio e che, durante i mesi a seguire, interrompono l’esperienza per vari motivi (lavoro, studio, ecc.).
Una prima domanda ha chiesto di valutare quanto complessivamente abbia influito la pandemia da Covid-19 sull’andamento del progetto nel quale i giovani sono stati impiegati. Su 572 risposte valide solo il 6,5% ha ritenuto inesistente o poco rilevante l’impatto, mentre il 55% lo ha considerato molto rilevante.
Secondo te, complessivamente quanto ha influito la pandemia da Covid-19 sull’andamento del progetto nel quale hai operato in questo anno di servizio?
Sempre relativamente al progetto realizzato, il giudizio complessivo che ne hanno dato gli operatori volontari è positivo “alla luce dell’emergenza da Covid-19”: il 60% non ha mutato il giudizio positivo rispetto all’inizio delle attività, mentre il 29% lo ha mutato in senso positivo. Analogo giudizio positivo è quello dato più in generale all’esperienza di servizio civile “alla luce dell’emergenza da Covid-19”: il 58% non ha mutato il giudizio positivo iniziale, mentre il 33% lo ha mutato in senso positivo. La positività con la quale i giovani hanno giudicato sia l’esperienza personale fatta sia la collocazione nel singolo progetto testimoniano la maturità mostrata dai giovani che nell’emergenza hanno saputo dare il meglio di sé, nonché la capacità delle Caritas di adattarsi alle mutate condizioni e valorizzare queste energie.
Rispetto all’inizio della tua attività, hai mutato il tuo giudizio sul progetto e sull’esperienza in cui sei coinvolta/o alla luce dell’emergenza da Covid-19?
Giudizi | sul progetto | sull’esperienza |
No, continua ad essere positivo | 60% | 58% |
No, continua ad essere negativo | 2% | 1% |
Sì, soprattutto in senso positivo | 29% | 33% |
Sì, soprattutto in senso negativo | 9% | 8% |
Una quarta domanda ha cercato di indagare quanto il Covid-19 avesse colpito la famiglia d’appartenenza dei giovani in servizio civile, con contagi, ospedalizzazione, perdita del lavoro, coabitazione difficile, difficoltà nella didattica a distanza, ecc. Il 37% ha risposto “per niente”, il 32% “poco” mentre per i restanti operatori l’impatto del Covid è stato più rilevante.
Ai 572 operatori volontari è stato poi chiesto di esprimere la propria condivisione rispetto ad alcune affermazioni sul servizio civile in situazioni di emergenza, un tema, questo, che a guardar bene la legislazione primaria che si è succeduta dal 2001 risulta stranamente assente. L’89% condivide l’idea che nelle situazioni di emergenza il Servizio Civile Universale debba poter operare come forma di difesa civile del Paese. Un bel risultato, questo, che dimostra quanto l’anno vissuto abbia saputo concretizzare i principi valoriali alla base del servizio civile.
Per ciascuna delle seguenti affermazioni attribuisci un punteggio da 1 a 4 secondo il grado di condivisione (1= per niente d’accordo, 2= poco d’accordo, 3=abbastanza d’accordo, 4= pienamente d’accordo) – Valori % di riga
1 | 2 | 3 | 4 | |
Nelle situazioni di emergenza il Servizio Civile Universale deve poter operare come forma di difesa civile del Paese | 2% | 9% | 33% | 56% |
Nelle situazioni di emergenza è bene che gli interventi siano affidati a personale esperto e remunerato e non a dei giovani del servizio civile con poca esperienza | 21% | 43% | 19% | 17% |
Durante emergenze come quella da Covid19 sarebbe meglio chiudere tutti i progetti di servizio civile in corso e attendere il ristabilirsi di condizioni di normalità | 57% | 26% | 10% | 7% |
Ai giovani costretti a interrompere il servizio civile a causa di emergenze come quella da Covid19 si deve dare la possibilità di ripresentare la domanda in un prossimo bando | 2% | 5% | 22% | 71% |
Nelle situazioni di emergenza gli operatori in servizio civile dovrebbero passare alle dipendenze della Protezione Civile e non operare negli Enti accreditati | 25% | 45% | 19% | 11% |
Il 64% non condivide l’idea che nelle situazioni di emergenza sarebbe meglio che gli interventi fossero affidati a personale esperto e remunerato e non a dei giovani del servizio civile con poca esperienza. Il 57% non ritiene che durante emergenze come quella da Covid-19 sarebbe meglio chiudere tutti i progetti di servizio civile in corso e attendere il ristabilirsi di condizioni di normalità.
Ancora: il 93% crede che ai giovani costretti a interrompere il servizio civile a causa di emergenze come quella da Covid-19 si debba dare la possibilità di ripresentare la domanda in un bando successivo, cosa che poi è avvenuta con il bando ordinario 2020 anche a seguito di una modifica legislativa intervenuta.
Infine, gli operatori volontari del servizio civile sono ben consapevoli della funzione autonoma di questo istituto repubblicano: solo il 30%, infatti, è convinto che nelle situazioni di emergenza gli operatori in servizio civile debbano passare alle dipendenze della Protezione Civile e non operare negli Enti accreditati.
L’ultima domanda alla quale hanno risposto i 572 operatori volontari ha inteso indagare il grado di influenza della pandemia da Covid-19 sulle decisioni da prendere una volta terminato il servizio civile. Per il 56% tale influenza sarà assente o poco rilevante, mentre per il restante 44% sarà abbastanza o molto determinante.
La pandemia da Covid-19 influenzerà le decisioni che prenderai sul tuo futuro dopo aver terminato il servizio civile?
A distanza di molti mesi da quel primo impatto della pandemia sul sistema del servizio civile che cosa resta? Resta anzitutto una generazione di giovani che, a dispetto di molte analisi superficiali, hanno vissuto da protagonisti quella dimensione della cittadinanza attiva e responsabile che il servizio civile intende perseguire. Anche grazie agli enti che hanno permesso tutto ciò. Insomma, il sistema ha funzionato.
Quella che forse è mancata finora è stata una sistematizzazione della riflessione che provi a disegnare il ruolo del servizio civile in una situazione di emergenza. Lodevole, in tal senso, è stato ad esempio il contributo del quotidiano Avvenire che tra marzo e agosto 2020 ha ospitato una serie di articoli che meriterebbero di essere riletti, a partire dall’appello di 53 accademici e intellettuali che il 7 aprile scrivevano: “La pandemia che stiamo attraversando ha dimostrato che esiste una grande necessità di competenze al servizio del bene pubblico. Riteniamo pertanto che questo sia un momento quanto mai opportuno per ripensare e rilanciare il Servizio Civile Universale, affidando a una forza nazionale giovanile la missione di aiutare le fasce più deboli della cittadinanza, a fianco della Protezione Civile e altre organizzazioni già attive. Insieme al personale della Sanità, i giovani motivati da un forte senso civico costituiscono oggi la nostra risorsa più preziosa.” Sarebbe un peccato imperdonabile se il mondo degli adulti trascurasse questa risorsa.