L’AGENAS ha diffuso un suo documento di Linee di indirizzo per l’attuazione del modello organizzativo delle Case della Comunità hub e la sua lettura evidenzia non poche criticità, soprattutto perché non sono affrontati diversi snodi rilevanti sul tema, che qui si espongono per riflettere sull’organizzazione delle Case della Comunità.
1) Presenza e ruolo dei medici di medicina generale (MMG) e di infermieri
Senza discutere qui i meccanismi contrattuali che impegnano i MMG nelle Case della Comunità pare necessario approfondire questi aspetti:
- Poiché in queste strutture può operare un numero di MMG molto più piccolo del numero complessivo dei MMG del territorio, come vengono individuati quelli che devono lavorarci? Tutti, turnando a rotazione, o in quale altro modo?
- L’attuale limite principale della medicina territoriale consiste nel fatto che nella stragrande maggioranza i MMG lavorano da soli nel loro studio, e quindi sono unità operative del SSN non in grado di offrire prestazioni più articolate e consistenti, come quelle attivabili se il MMG fosse un operatore con più strumenti diagnostici, e che lavora “di default” con altri (infermieri per interventi anche a domicilio, specialisti su chiamata). Dunque non si può eludere questa domanda: in quale modo la Casa della Comunità non è soltanto un nuovo presidio aggiuntivo, ma produce un potenziamento robusto del lavoro di tutti i MMG distribuiti nel territorio? Se si manca questo obiettivo la maggior parte della medicina territoriale (e la più diffusa e capillare, ossia i MMG) non viene toccata dalla riforma.
- In che cosa consiste il lavoro dei MMG che opereranno entro la Casa della Comunità? Certo non sono lì per ricevere i loro pazienti invece di riceverli nel proprio studio, visto che questo creerebbe accessi complicati per questi pazienti. E dunque dovrebbero gestire attività di diagnosi di chi si presenta alle Case della Comunità con bisogni sanitari, per poi reinviarli al loro MMG? Ma non ne deriva gran vantaggio per i cittadini. Oppure la Casa della Comunità punta soprattutto a ridurre gli accessi al Pronto Soccorso ricevendo persone con urgenze sanitarie che non le espongono in primis ai loro MMG? Ma se la Casa della Comunità diventa un “Pronto Soccorso leggero”, come alternativa a codici bianchi e verdi per alleggerire il sovraffollamento dei PS., è molto difficile che i cittadini siano capaci di scegliere per quale emergenza sanitaria devono recarsi alla Casa della Comunità e per quale invece al Pronto Soccorso. Se cade e si procura una lussazione del gomito, come fa il cittadino a capire se deve andare al Pronto Soccorso o alla Casa della Comunità? Peraltro una funzione di “Pronto Soccorso leggero” si può ritenere adeguata in una struttura che non ha possibilità di disporre di tutti gli accertamenti diagnostici e gli specialisti presenti in ospedale, né di letti per ricoveri necessari? Non sono poche le diagnosi non facili in prima battuta, che possono nascondere eventi che richiedono rapidi approfondimenti non “leggeri” e veloci, anche se si mira a ridurre attività inappropriate e ridondanti richieste di esame dei pazienti1. La presenza ipotizzata nelle Case della Comunità anche di infermieri h 24, per 7 giorni su 7, pare enfatizzare la funzione primaria di alternativa al Pronto Soccorso, considerando che per le prestazioni infermieristiche non di urgenza, anche a domicilio, questa presenza così consistente rischia di essere ampiamente ridondante.
2) Presenza di medici specialisti e strumenti diagnostici
Le linee guida AGENAS prevedono la “Presenza di servizi ambulatoriali specialistici per le patologie ad elevata prevalenza” ed anche che “I servizi diagnostici nella CdC hub sono finalizzati prioritariamente al monitoraggio della cronicità con la relativa strumentazione (ecografo, elettrocardiografo, retinografo, tomografia ottica computerizzata – OCT, spirometro, diagnostica per immagini, ecc.) anche attraverso l’utilizzo di strumenti di telemedicina (telerefertazione, ecc.). Alle prestazioni diagnostiche della CdC hub accedono prioritariamente i pazienti cronici ed i cittadini della Comunità di riferimento”.
Dunque:
- la Casa della Comunità sostituisce i poliambulatori (almeno per alcune specialità) e perciò i MMG e i cittadini potranno/dovranno 0usarle a questo scopo? Peraltro, a parte comprendere come muoversi in questa più articolata rete, resta da capire quanto questa offerta della Casa della Comunità è “competitiva” o doppione dell’offerta di laboratori pubblici e convenzionati.
- E il fatto che la Casa della Comunità sia “… finalizzata prioritariamente al monitoraggio della cronicità”, nonché che alle sue “…prestazioni diagnostiche accedono prioritariamente i pazienti cronici”, che cosa significa? Che i cronici sono il target di elezione e hanno anche priorità sugli altri cittadini? Ma con quali meccanismi?
- E poiché la cronicità è tema rilevante in tutti i servizi, perché la strumentazione anche diagnostica per gestirla non viene diffusa a tutti i MMG, che sono il servizio che più di tutti la incontra di default?
3) Sanità di iniziativa e azioni proattive
Le linee guida AGENAS espongono in alcuni punti l’obiettivo generale di attività di questo tipo da parte delle Case della Comunità; ma nulla si prevede su come attivarle, e dunque nessun meccanismo operativo viene indicato. Solo per fare due esempi: l’estrazione dalle anagrafi dei comuni degli anziani over 75 anni che vivono soli (o in coppia di soli anziani), per contattarli con una lettera del Sindaco che li informi di possibili sostegni; oppure un contatto di iniziativa con pazienti valutati in UVG e che lì sono apparsi complessi.
4) Sistemi informativi
Le linee guida AGENAS prevedono che “Al fine di facilitare la comunicazione all’interno della rete di cura e tra professionisti […] dovranno essere attivate modalità di cooperazione applicativa tra i software in uso nei diversi setting assistenziali e il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE)”.
Ma questo cruciale obiettivo, visto che i sistemi informativi e lo scambio di informazioni sono il “tessuto connettore” della rete di cura, si deve raggiungere con ben altre azioni che questa semplice enunciazione. Né può essere affidato ai soli governi regionali o locali, ma richiede precise azioni nazionali. Ecco alcuni nodi da superare:
- Il Fascicolo Sanitario Elettronico trascura completamente tutti gli interventi sociosanitari sulla disabilità e non autosufficienza, dalla valutazione multidimensionale sino agli inserimenti in assistenza domiciliare tutelare (non solo ADI) , in centri diurni (come quelli per demenze), in strutture residenziali.
- Permane una pluralità caotica di sistemi informativi gestionali diversi tra differenti servizi sanitari, anche tutti interni alla stessa ASL. E altrettanto nei servizi sociali dei Comuni. Inoltre continua a gravare sui servizi locali, sia sanitari che sociali, un defatigante lavoro di “invio di dati” ai Ministeri e all’ISTAT. Invece sarebbe utile fornire dal livello nazionale una piattaforma di interoperabilità che non solo connetta i diversi sistemi, ma catturi in automatico le informazioni per il livello nazionale.
- Non è attiva una produzione di informazioni adeguata, che venga restituita ai livelli locali, di monitoraggio dei bisogni e del rapporto tra domanda e offerta. E un sistema di valutazione della messa in opera dei livelli essenziali che sia mirato a “quanto si riducono gli eventi da evitare”, come i ricoveri in ospedale ed in RSA evitabili ed indesiderati.
- Sarebbe di grande efficacia che i dati sempre aggiornati dell’intero nucleo familiare popolassero in automatico dall’ANPR (Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente) i fascicoli che i servizi locali (sanitari e sociali) usano per gestire i loro interventi sui nuclei.
5) Integrazione sociosanitaria: delle prestazioni, o delle professioni?
Le linee guida AGENAS prevedono la presenza nella Casa della comunità di un’assistente sociale, che viene descritta come appartenente al SSN. Ma va deciso che cosa si vuol ottenere rispetto alle funzioni socioassistenziali, considerando due aspetti:
- Vi sono servizi sanitari che includono tra i loro operatori sia profili sanitari (medici, infermieri, psicologi) che sociali (assistenti sociali, educatori), come i SerD, e i Servizi per la salute mentale. Ma poter offrire all’utente prestazioni integrate non dipende solo dalla compresenza di professionalità diverse all’interno del servizio; questa può facilitare interazioni di professioni, ma è decisivo verificare quali prestazioni (anche materiali) si vogliono offrire. E possono esserlo solo facendo confluire sull’utente funzioni che sono svolte da Enti diversi (ad esempio ASL o Consorzi/Comuni). Ad esempio una assistente sociale dei SerD e del Servizio per la Salute Mentale non può attivare sui suoi utenti interventi sociali che sono di competenza dei Comuni/Consorzi solo in ragione del suo profilo professionale. Ciò che determina la possibilità di erogare specifici interventi non è la qualifica professionale dell’operatore bensì la competenza dell’Ente cui appartiene. Dunque se nella Casa della Comunità ci sono assistenti sociali dell’ASL potranno attivare solo interventi del SSN, mentre soltanto se sono degli Enti Gestori dei servizi sociali potranno attivare i relativi interventi .
- Ma se la Casa della Comunità vuole essere anche un luogo integrato di offerta di prestazioni socioassistenziali dei Comuni, allora occorre che la presenza dei loro operatori derivi da un ridisegno complessivo dei front office dei servizi sociali, oggi distribuiti nel territorio con modalità molto diverse nelle reti organizzative dei loro accessi. Ossia questa prospettiva richiede un riordino degli accessi al socioassistenziale per collocarli entro le Case della Comunità, ma certo non solo collocandoci “un assistente sociale”, bensì tutte le professioni che gestiscono l’accesso e la presa in carico. Visto che le linee guida AGENAS le descrivono in modo troppo generico resta dunque da capire meglio quali funzioni si prevedono per assistenti sociali nella Casa della Comunità, soprattutto sperando che non arrivino poi a consistere di fatto solo nell’inviare i cittadini ad altri servizi che attivano interventi, visto che il solo “invio” (specie per i più fragili) è sempre un cattivo servizio.
6) Assistenza domiciliare
In particolare per persone con disabilità e non autosufficienti questo servizio è ora drammaticamente carente. Le linee guida AGENAS dicono che “Il servizio di cure domiciliari garantisce la continuità assistenziale 7 giorni su 7 e 24 ore su 24 nelle modalità indicate dalla normativa nazionale”. Ma, a parte il grado di realismo di questa affermazione, nulla viene previsto su un nodo cruciale perché questa assistenza richiede certo di aumentare le capacità degli interventi sanitari a domicilio (infermieristici, diagnostici riabilitativi), ma soprattutto richiede di fornire molti più sostegni per la tutela negli atti della vita quotidiana (andare a letto e alzarsi, usare il bagno, mangiare, vestirsi, essere lavati). È la mancanza di questi sostegni che oggi costringe a ricoveri indesiderati in RSA, o ad opporsi alle dimissioni dall’ospedale, o a portare per disperazione i non autosufficienti al Pronto Soccorso, o al crollo od impoverimento delle famiglie.
Ed è del tutto inefficace e scorretto pensare solo a un potenziamento dell’ADI lasciando l’assistenza domiciliare di tutela negli atti della vita quotidiana tutta a carico delle famiglie o dei Comuni, senza invece ingaggiare a tal fine anche il SSN.
7) I Punti Unici di Accesso (PUA)
Le linee guida AGENAS prevedono il PUA come luogo nel quale “…trova accoglienza, informazione, orientamento e una prima valutazione in risposta alla richiesta di intervento per bisogni sociosanitari”. Ma la definizione è troppo generica, perché possono essere attivati PUA con orizzonti di attività molto diversi tra loro, che producono effetti sui cittadini assai differenti; e mi permetto sul punto di rinviare a un mio articolo su questo stesso sito, che propone diversi modelli di PUA, tra i quali è necessario scegliere.
In conclusione l’assenza di approfondimenti sui temi citati rischia sia di aumentare profonde differenze non motivate tra le Case della Comunità nei diversi territori, sia l’impossibilità di superare ostacoli che il governo locale da solo non può risolvere. Resta inoltre il rischio di un uso delle risorse finanziarie per costruire/allestire le sedi delle Case della Comunità prima di averne ben chiarito le funzioni ed i processi da gestirvi.
- Brevi ma lucide discussioni sono consultabili qui e anche qui.
Informo che in ambito del Municipio 2, Milano, sono in progress iniziative e progetti che rientrano nella tematica degli aspetti sociosanitari di cui si dice nell’articolo. Quanto sopra lo proporrò, al nostro interno, come argomento di discussione per la prossima conf call.
Carlo Geri,
http://www.medicivolontaritaliani.org
Gruppo Volontari Busta Rossa, Comune di Milano
Grazie molte dell’attenzione. E se poi volete proporre un articolo sulla vostra esperienza…ben venga
Sono io che ringrazio della risposta con proposta….ben arrivata !
Così d’acchito, le invio il link d’invito alla Mostra, già fatta, del decennale della Busta Rossa…questa Carneade !
https://www.partecipami.it/calendar/event/1/9894
Buon Ferragosto
l’assistenza domiciliare “di tutela negli atti della vita quotidiana” non può che essere a carico delle famiglie o di agenzie come i Comuni, che governano i FNA. Rimane senz’altro “l’ingaggio” del SSN per tutti gli interventi che sono esclusivamente sanitari (infermieristici, diagnostici riabilitativi). Non sarebbe prudente confondere il tema dei costi di prestazione assistenziale con quello della spesa di prestazione sanitaria