Le Case della Comunità: lavori in corso

Fra integrazione sociosanitaria ed empowerment comunitario


Con attenzione alle recenti Linee di indirizzo per l’attuazione del Modello Organizzativo Case della Comunità Hub – AGENAS, quali assistenti sociali con esperienza nei servizi della sanità pubblica lombarda, desideriamo proporre un contributo in merito alle funzioni sociosanitarie e comunitarie della Casa della Comunità ed alcune osservazioni che ci sono state sollecitate anche dalla lettura dell’articolo Case della comunità: come e per fare che cosa?, pubblicato su Welforum.it.

Tra i vari aspetti trattati nell’articolo sopra citato che potrebbero impattare sull’organizzazione delle attività delle Case della Comunità nonché sui professionisti coinvolti, l’autore al punto “Integrazione sociosanitaria: delle prestazioni o delle professioni?”, nel richiamare l’indicazione standard di una assistente sociale del SSN contenuta nelle Linee di indirizzo, evidenzia due possibili nodi critici:

  • l’integrazione sociosanitaria non dipende solo dalla interprofessionalità e muldisciplinarietà in quanto aspetto critico è dato dalla diversa titolarità delle funzioni e dalla possibilità per gli operatori, con afferenze diverse, di attivare gli interventi da parte degli enti di competenza (prestazioni sanitarie delle Asl, prestazioni socioassistenziali degli Enti locali);
  • se la Casa della Comunità può configurarsi come luogo di offerta del sistema socioassistenziale, altro aspetto critico è dato dall’eterogeneità organizzative e di accesso ai servizi sociali in quanto la sola presenza di un’assistente sociale non garantirebbe l’integrazione sociosanitaria pena il rischio di limitare l’intervento a ripetuti rimandi ad altri servizi.

In relazione a tali aspetti che si presentano nell’operatività dei servizi e dei professionisti, proponiamo, a partire da una lettura delle Linee di indirizzo di Agenas nonché del DM77/2022, alcuni spunti su come, a nostro avviso, interpretare e favorire l’integrazione sociosanitaria nella Casa della Comunità.

Casa della Comunità: presidio sanitario ma anche luogo di integrazione sociosanitaria ed empowerment comunitario

Mentre il DM 77 regolamenta modelli e standard di un insieme di servizi della sanità territoriale (Distretto, CDC, COT, Continuità assistenziale, Ospedale di Comunità, ecc.) con l’obbiettivo, in attuazione della Missione 6 del PNNR, di migliorare e potenziare l’assistenza sanitaria territoriale messa a dura prova dalla pandemia, le recenti Linee di indirizzo trattano del solo modello organizzativo della Casa della Comunità.

In questo quadro riformatore la Casa della Comunità risulta essere un nuovo presidio territoriale

“luogo fisico, di prossimità e di facile individuazione al quale i cittadini possono accedere per bisogni di salute che richiedono assistenza sanitaria e sociosanitaria a valenza sanitaria, nonché i necessari collegamenti con i servizi sociali per gli interventi socioassistenziali” e ancora dal DM 77 “luogo fisico per entrare in contatto con il sistema dell’assistenza sanitaria”.

Per i servizi previsti (assistenza sanitaria primaria e continuità assistenziale, PUA, assistenza infermieristica, punto prelievi, ecc.) è principalmente luogo e sede di offerta di prestazioni sanitarie caratterizzato però da un approccio multidimensionale, di prossimità e proattività.

Inoltre, l’attenzione alla stratificazione della popolazione per livello di cronicità -semplice e complessa- e bisogno assistenziale, evidenziano come l’investimento delle Case della Comunità sia finalizzato a garantire in particolare accesso e risposte coordinate alle persone con patologie croniche.

La dizione “assistenza sociosanitaria a valenza sanitaria” rimanda all’inscindibilità di quei bisogni di salute complessi -sui quali incidono anche i c.d. determinanti sociali- che devono trovare un’accoglienza ed una presa in carico unitaria, quando la persona, in particolare se fragile, accede al sistema sanitario.

Date queste caratteristiche della Casa della Comunità dove trovare le componenti dell’integrazione sociosanitaria e dell’empowement comunitario?

A nostro avviso gli elementi che favoriscono integrazione sociosanitaria ed empowerment, sono le macroaree “Integrazione con i servizi sociali” e “Partecipazione della Comunità e valorizzazione della co-produzione” già indicate nel DM 77 come obbligatorie e riprese nelle Linee di indirizzo.

Queste ultime indicano che l’Integrazione con i servizi sociali può realizzarsi in tutti i passaggi assistenziali, dalla valutazione all’erogazione dei servizi, ma precondizione è che gli strumenti facilitanti l’integrazione siano messi in campo da Accordi di programma tra Distretto ASL ed Ambiti Territoriali Sociali. Il DM 77 in più punti richiama l’art. 1 comma 163, legge n. 234/2021 – legge di Bilancio 2022. Tale norma prevede che SSN ed Ambiti garantiscano accesso ai servizi sociali e ai servizi sociosanitari alle persone in condizioni di non autosufficienza attraverso i PUA ubicati presso le Case della Comunità del SSN. Si tratta del livello di integrazione istituzionale che, mediante apposte Intese fra Enti, consente di attivare equipe integrate -composte da personale ASL e personale comunale per la valutazione multidimensionale e predisposizione del PAI a favore delle persone non autosufficienti.

Lo sviluppo di queste previsioni di carattere generale è strettamente collegato ai provvedimenti regionali e a quanto poi localmente i singoli Enti riescono a definire con la programmazione zonale Distretto ASL-Ambiti sociali. Programmazione che per quanto riguarda la Case della Comunità, afferente al Distretto, dovrebbe considerare l’analisi del contesto e delle risorse (popolazione anziana, pluripatologie complesse, punti informativi dei servizi, mappatura delle associazioni e del privato sociale, ecc.) nonché delle progettualità fattibili (percorsi formativi comuni ASL/Ambiti/Terzo Settore per condividere conoscenze, modalità operative in tema di misure, Tavoli di lavoro per definire procedure, valutazioni e sistemi informativi integrati, ecc.).

Regione Lombardia, ad esempio, con DGR 7592/2022, prevede che l’integrazione possa articolarsi in diverse forme e livelli: dalla collaborazione tra professionisti con la partecipazione di assistenti sociali dell’Ambito alle attività del PUA e della valutazione multidimensionale a forme anche di integrazione digitalizzata con il ricorso a percorsi e protocolli come quelli già individuati negli Accordi di programma per l’attuazione dei Piani di Zona triennali. Vi è anche l’indicazione a prevedere co-abitazioni di servizi sanitari e sociali con “l’unificazione dei processi informativi, di accesso, valutazione, erogazione e monitoraggio”.

Rispetto alla Partecipazione della Comunità e valorizzazione della co-produzione le Linee di indirizzo descrivono la Casa della Comunità come “luogo di partecipazione e di valorizzazione delle risorse presenti, in cui si possa sviluppare il coinvolgimento dei cittadini fino ad intraprendere percorsi di co-programmazione e co-progettazione”. La Casa della Comunità, quindi, non deve configurarsi solo come servizio che eroga prestazioni, ma luogo di promozione di benessere e welfare generativo con azioni di empowerment. Questi indirizzi si possono realizzare attraverso, da un lato, interventi di prevenzione finalizzati a mantenere la popolazione in stato di salute (es. iniziative di sensibilizzazione per stili di vita salutari, invecchiamento attivo) e dall’altro azioni e progettualità con il coinvolgimento, anche attraverso forme di partenariato, del terzo settore, volontariato, associazioni di pazienti, gruppi di auto aiuto delle persone fragili e/o malate, caregiver.

Un esempio di servizio concepito come luogo di interscambio con il territorio è rappresentato dai Centri per la Famiglia che Regione Lombardia, dopo una fase sperimentale ha esteso a tutto il territorio regionale (DGR 5955/2022 e DGR 1507/2023) con le finalità di potenziare la capacità di intercettare i bisogni della famiglia, offrire risposte flessibili alla genitorialità ed alla cura familiare. Caratteristica dei Centri per la Famiglia è la loro progettazione e gestione attraverso forme di partenariato tra pubblico (Aziende socio-sanitarie territoriali), terzo settore, associazionismo e la definizione di protocolli di collaborazione con servizi e le reti territoriali (reti conciliazione, reti di contrasto al bullismo, ecc.), nonché il raccordo con la Casa della Comunità anche collocandovi all’interno lo sportello di orientamento come già si verifica in diverse realtà.

Casa della Comunità: integrazione ed empowerment nelle funzioni dell’assistente sociale

Le attività fin qui descritte richiamano ruolo e funzioni dell’assistente sociale che, se pur indicato in una sola unità tra lo standard di personale minimo, le Linee di indirizzo precisano (quanto forse sottinteso nel DM 77) essere del SSN. Le sue funzioni risultano ben delineate nel profilo

“professionista sociosanitario della CdC hub che agisce negli interventi di valutazione degli aspetti sociali che influiscono sui bisogni di salute e nei percorsi integrati di presa in carico … occupandosi della lettura delle risorse e delle problematiche presenti in un dato territorio nonché della promozione di risposte comunitarie e partecipate; agisce nell’organizzazione e attivazione di processi di integrazione sociosanitaria, interni ed esterni alla CdC, assicura gli opportuni raccordi tra i servizi sanitari e sociosanitari ed i servizi sociali, sia a livello operativo nella costruzione di progetti personalizzati…, sia a livello organizzativo per la definizione di protocolli .. che richiedono azioni congiunte tra sistema sanitario e sociosanitario e sistema sociale degli ATS/enti locali”.

Viene così superata l’indicazione minima di “referente della risposta ai bisogni sociali del paziente” del DM 77 e riconosciute competenze e spazi di intervento per sviluppare un’azione professionale non solo a livello operativo, ma organizzativo e comunitario1.

Come noto l’accesso a un servizio sanitario avviene per un bisogno di salute/malattia, ma la definizione e la gestione del piano personalizzato di cura e assistenza può essere più o meno condizionata dai fattori sociali (condizioni di vita personali e relazionali, economiche e abitative, risorse familiari e di sostegno, ecc.). L’assistente sociale nei servizi sanitari è la figura che garantisce la dimensione sociale della persona, competente nella valutazione delle situazioni complesse sanitarie e sociali, nella conoscenza dei percorsi interni all’ambito sanitario e di quelli esterni delle risorse territoriali, che facilita il collegamento con il servizio sociale dell’ente locale quando si rendono necessarie valutazioni ed interventi del sistema socioassistenziale. 

Rispetto a quelle che possono essere le funzioni dell’assistente sociale del SSN nella Casa della Comunità, pensiamo che l’intervento, in primo luogo, debba collegarsi alle attività del PUA, dove il cittadino trova accoglienza, informazione, orientamento e una prima valutazione rispetto ai suoi bisogni, ma non esaurirsi a tale ambito. A seconda dei singoli modelli organizzativi, l’intervento può comportare attività informative e di orientamento di primo livello, ma soprattutto valutazioni delle situazioni più complesse che scaturiscano a seguito, per esempio, dell’uso da parte del personale di prima accoglienza di strumenti di triage con indicatori che rilevino le componenti di bisogno sociosanitario e/o sociale, come già avviene in altri contesti sanitari.

Altro aspetto importante è che le finalità partecipative della Casa della Comunità sollecitano a sviluppare metodologie del “servizio sociale di comunità” verso una cultura basata non solo sul bisogno, ma sulle capacità della comunità, ed impegnano l’assistente sociale nella conoscenza e valorizzazione delle risorse informali e solidali del territorio che possano co-operare con i professionisti ai progetti di salute.

Sottolineiamo, ad esempio, l’importanza di un lavoro di coinvolgimento dei caregiver familiari, figure a cui la normativa riconosce un ruolo rilevante nei percorsi di cura di familiari non autosufficienti o in condizioni di disabilità. In alcune Case della Comunità sono già avviati Gruppi di auto aiuto facilitati dall’assistente sociale a favore dei caregiver di persone anziane e/o con decadimento cognitivo; in questi casi il gruppo viene proposto a caregiver intercettati negli incontri di sensibilizzazione a tema o ancora da parte degli operatori alle persone che si rivolgono ai servizi, già coinvolti in percorsi di assistenza o nelle dimissioni ospedaliere.

Casa della Comunità: non solo assistente sociale del SSN, ma anche assistente sociale dell’Ente locale

L’assistente sociale del SSN svolge, quindi, la funzione sociosanitaria (riconosciutale dalla normativa) agendo nei processi di integrazione interni ed esterni coerentemente con le Linee di indirizzo

“l’integrazione tra sistema sanitario e socioassistenziale … è favorita dalla presenza dell’assistente sociale della CDC che può garantire il raccordo con i servizi sociali dei comuni e del Terzo settore operativi in ambito socioassistenziale”.

Rileviamo nelle Linee di indirizzo un altro importante passaggio che può favorire integrazione dove al punto dell’“Assistenza primaria e continuità assistenziale” tra i componenti dell’equipe multiprofessionale, insieme al medico di assistenza primaria, allo specialista ambulatoriale e all’IFoC, sono indicati l’assistente sociale del SSN e l’assistente sociale dell’Ente locale. Nella congiunzione “e” (e non “o”) sembra riconoscersi la funzione dell’assistente sociale nella doppia specificità e titolarità: sociosanitaria in capo al SSN e socioassistenziale all’Ente locale e l’opportunità, quindi, che entrambe possano essere presenti nella Casa della Comunità.

In questo nuovo sistema non mancano aspetti da attenzionare rispetto ai quali le esperienze che si sono avviate potranno fornire indicazioni utili. Sicuramente l’organizzazione dei PUA è uno di questi. Con l’avvio delle Case della Comunità si vengono a creare nuovi Punti di accesso oltre a quelli già esistenti (Servizi di Segretariato sociale di Ambito e Comuni, Sportelli Fragilità, Sportelli dei Centri per la Famiglia, Accoglienze dei Consultori, ecc.) con il rischio di generare confusione e ulteriori frammentazioni per il cittadino2. In tutto questo parlare di integrazione, co-progettazione, ci si dimentica che la persona anziana, la famiglia con il figlio con disabilità vengono, spesso, inviati velocemente a servizi contraddistinti da acronimi di comprensione dei soli operatori: “vada al CUP, dietro al CUP trova il PUA, al 3° piano troverà l’Ambulatorio UVG che farà la Valutazione con gli operatori del CDCD ma vada anche allo Sportello dell’ATS!!

Il sociosanitario e il socioassistenziale, inoltre, si muovono su due “velocità diverse” e con profondi sistemi rigidi, per diversa titolarità di funzioni, fonti di finanziamento, criteri di attivazione delle prestazioni, basti pensare alla valutazione delle risorse economiche della famiglia che a volte non permette di attivare in tempi brevi un’assistenza comunale al domicilio o una valutazione multidimensionale integrata (a meno che non ci sia un progetto sperimentale che bypassi questo indicatore) e allora come fare?

È necessario, a nostro avviso, che l’assistente sociale del sociosanitario e del socioassistenziale possano essere stabilmente collegate alle attività del PUA nella funzione di “servizio” al cittadino non tanto perché sia sufficiente un loro affiancamento in Casa della Comunità per realizzare l’integrazione sociosanitaria, ma perché la presenza di entrambe le due figure, per specificità e competenza e non equivalenza, permette, da subito, orientamento e valutazioni appropriate in relazione alla prevalenza del bisogno a cui far seguire il percorso più adatto (valutazioni approfondite di equipe multidimensionali, invio ai servizi specialistici, accesso a specifiche misure sociosanitarie e/o misure socioassistenziali, presa in carico, ecc.).

La sfida non è la contrapposizione fra sanitario, sociosanitario e socioassistenziale ma capire, in base alle valutazioni svolte anche con gli altri professionisti, in primis MMG ed IFoC, alle necessità assistenziali ed alle risorse della persona e della famiglia, la figura di orientamento o case manager più adeguata. Il professionista così individuato, se assistente sociale della Casa della Comunità o dell’Ambito/Comune, accompagnerà la persona/famiglia nel percorso indicato ed anche a seguito di un eventuale “aggancio” a servizi diversi (servizi sanitari specialisti, servizi tutela minori, ecc.) rimarrà riferimento per altri o modificati bisogni.

Si supererebbe in questo modo il nodo critico della “competenza – non competenza”: la presenza di entrambe le figure, per conoscenza diretta dei bisogni e della comunità, dei processi sociosanitari da un lato e di quelli socioassistenziali dall’altro, diventa un’interfaccia fra le due istituzioni che, in uno scambio continuo e produttivo, alimenta anche i livelli di programmazione istituzionale.

Sono note le difficoltà organizzative nel mettere insieme da parte di Enti diversi architetture gestionali che coinvolgono risorse umane, strumentali e procedurali, ma pensiamo che l’avvio dei PUA della Casa della Comunità possa essere l’occasione per una verifica dei Punti di accesso esistenti e la definizione di quello che, per i bisogni sociosanitari delle persone con patologie croniche e/o non autosufficienti, potrebbe essere un Punto di accesso integrato, anche mediante l’allargamento ed il recupero di esperienze dove sia già stato possibile condividere spazi ed interventi.

Ci riferiamo a situazioni quali ad esempio quelle di PUA itineranti in territorio lombardo montano, dove il PUA esce dalla Casa della Comunità e si trasferisce nelle sedi messe a disposizione dei Comuni con attività in sinergia con i medici dell’assistenza primaria o ad altri casi in cui presso la Casa della Comunità sono presenti Sportelli informativi dei Comuni o dei Centri per la Famiglia o ancora ad esperienze di coprogettazione tra attori pubblici e terzo settore per la gestione di “Spazi Fragilità” dove professionisti (di Comune e ASL) e volontari garantiscono accoglienza, orientamento e accesso ai servizi per la popolazione fragile, familiari e caregiver con modalità organizzative riconducibili ai PUA delle Case di Comunità3

In conclusione, a nostro avviso, lo standard di assistente sociale nella Casa della Comunità è sicuramente insufficiente, ma gli elementi per costruire percorsi di integrazione sociosanitaria e integrazione comunitaria sono rilevabili nelle Linee di indirizzo, Linee che contribuiscono ad indicare una “strada”, se pur in salita, percorribile anche grazie ad un apporto proattivo del professionista assistente sociale.

  1. Silvani M. Case della Comunità: strada in salita, ma sosteniamo il cambiamento – Quotidiano Sanità (quotidianosanita.it)
  2. Albrigoni A. Case della Comunità: obiettivi e percorsi di integrazione socio-sanitaria condivisi • Secondo Welfare
  3. L’importanza della prossimità dei servizi per il cittadino: il caso di “Spazio Fragilità” a Novara • Secondo Welfare