Gli esiti delle recenti elezioni politiche hanno indubbiamente confermato che la maggioranza degli italiani ha un atteggiamento negativo contro l’immigrazione e l’accoglienza dei richiedenti asilo. C’è però una minoranza che in vario modo si mobilita a sostegno degli immigrati e dei rifugiati, e non manca neppure chi, pur essendo contrario sul piano generale e politico, non rifiuta simpatia e aiuto a qualche caso personale e concreto.
Le politiche migratorie, e segnatamente dell’asilo, possono quindi essere definite come un campo di battaglia, a cui prendono parte diversi attori. I processi migratori non sono governati soltanto dalle autorità politiche e dalle norme legislative, ma sono influenzati da relazioni di potere a cui anche altri attori concorrono: anzitutto i migranti stessi, e in secondo luogo vari soggetti delle società civili. Da un lato, i valori democratici tutelati dalle convenzioni internazionali e dalle costituzioni nazionali frenano l’applicazione di politiche aggressive. Dall’altro lato, gli attori pro-immigrati formano un’advocacy coalition che sfida attivamente le politiche di esclusione, promuovendo quelle che possono essere chiamate campagne di de-bordering. A complicare il quadro, intervengono poi i movimenti anti-immigrati, che intervengono rumorosamente nelle dinamiche del campo di battaglia.
Tra gli attori pro-immigrati rientrano soggetti molto diversi, che possono essere suddivisi in cinque categorie.
La prima è costituita dalle ONG e altri operatori strutturati e specializzati nel settore. Sono protagonisti dell’offerta di servizi dedicati, che spaziano dal salvataggio in mare all’accoglienza a terra. Lavorano in linea di principio in accordo con i governi e in genere beneficiano di finanziamenti pubblici. In alcuni casi però, come nella disputa sul ruolo delle navi dei soccorritori nelle acque del Mediterraneo, le ONG possono agire con una certa indipendenza dalle politiche governative, e anche operare in contrasto con esse. Questa vicenda rivela che gli attori “umanitari” della società civile possono coltivare visioni, valori e priorità non allineate con quelle dei poteri pubblici, e possono agire secondo codici che divergono da quelli degli Stati. Nella pubblica opinione ONG e operatori dell’accoglienza sono oggi oggetto di una stigmatizzazione che ha raggiunto toni veementi, ma anche nel discorso accademico “l’umanitario” è stato investito da critiche severe e generalizzanti, che lo identificano come un docile alleato delle politiche di chiusura. Le vicende dell’estate 2017 suggeriscono quanto meno una valutazione meno ideologica del ruolo delle ONG rispetto alle politiche dell’asilo. Come ha rilevato Sandri1 nel suo studio sulla cosiddetta “giungla” di Calais,gli attori umanitari hanno mostrato di andare oltre una “governance neoliberale” dei confini, trasgredendo le limitazioni nei confronti delle azioni di soccorso e dando priorità alle vite umane in pericolo nei confronti della riaffermazione della sovranità statuale.
La seconda categoria è formata dalle organizzazioni della società civile che intervengono in vario modo sulle questioni dell’immigrazione e dell’asilo, pur non essendo specializzate in tale ambito o rimanendo prevalentemente nell’ambito del volontariato. Spesso combinano servizi operativi con azioni di sostegno e sensibilizzazione a livello politico e culturale. Rientrano qui i sindacati, le istituzioni religiose, le associazioni di promozione sociale e di volontariato. Impiegano sia personale retribuito sia volontari, talvolta cooperando con i poteri pubblici, altre volte compensando con i loro servizi le carenze dei sistemi di accoglienza: per esempio, fornendo qualche forma di assistenza ai rifugiati che pur avendo ottenuto una forma di protezione legale, in Italia non ricevono nessun tipo di aiuto se non trovano posto nel sistema SPRAR. Dopo qualche giorno dal riconoscimento dello status di rifugiati, devono lasciare i centri di accoglienza presso i quali sono stati accolti durante la lunga procedura di esame della domanda di asilo. Possono però ricevere pasti caldi da istituzioni caritative, corsi di italiano da associazioni di volontariato o istituzioni religiose, accoglienza nei dormitori e altri servizi di base da attori non-profit. A volte anche queste organizzazioni della società civile vanno oltre i confini della legge: per esempio, procurando cibo e alloggio anche a richiedenti asilo denegati. Come negli Stati Uniti, questi attori spesso si considerano in obbligo di assistere anche immigrati in condizione irregolare.
Una terza categoria di attori è rappresentata dai movimenti sociali, portatori di istanze politiche radicali di protesta contro lo Stato e il sistema economico capitalistico. Per essi, il sostegno verso i rifugiati e i migranti privi di status legale rientra tra le battaglie politiche che li vedono impegnati. I movimenti No Borders ne sono la più chiara espressione. Oltre alle campagne di protesta, anche i movimenti sociali in vari casi forniscono servizi tangibili ai migranti in difficoltà, come l’accoglienza in stabili occupati. In alcuni luoghi emblematici di confine, come Ventimiglia, l’attivismo dei movimenti si esprime non solo mediante azioni politiche, ma anche mediante il sostegno ai migranti lì bloccati, e specialmente aiutandoli ad attraversare clandestinamente le frontiere.
In quarto luogo, si possono distinguere i gruppi che si sono formati spontaneamente a livello locale per fornire servizi ai richiedenti asilo, temporaneamente accolti oppure in transito: per esempio i gruppi attivi per diversi mesi alla stazione Centrale di Milano, o quelli che in maniera diffusa sul territorio e perlopiù informale offrono lezioni di italiano o propongono attività sportive, musicali, di animazione del tempo libero ai richiedenti asilo. Fenomeni simili sono stati riscontrati in Germania, con ampie mobilitazioni spontanee dei cittadini a sostegno dell’accoglienza dei rifugiati, soprattutto nelle prime fasi degli arrivi dalla Siria e dall’Iraq, in contrasto con le dimostrazioni xenofobe. A Bruxelles una rete informale che ha raccolto diverse migliaia di adesioni (bxlrefugees, “Plateforme citoyenne de soutien aux réfugiés”, consultato l’8 marzo 2018.) collega cittadini che, in funzione delle loro disponibilità, la sera si concentrano in un luogo convenuto per raccogliere e ospitare richiedenti asilo che non si registrano ufficialmente e quindi rimangono esclusi dall’assistenza pubblica, sperando di transitare in direzione del Regno Unito.
Da ultimo, vanno menzionati come categoria a parte i privati cittadini che in modo spontaneo e informale, senza nessuna veste organizzativa o partecipazione a gruppi, offrono donazioni, come cibo, denaro e soluzioni abitative, o lezioni di italiano presso i centri di accoglienza. Qui entra in gioco a volte una dinamica osservata in diversi ambiti, come i rapporti di vicinato o le classi scolastiche: anche persone ideologicamente ostili all’immigrazione tendono spesso a distinguere il fenomeno migratorio in termini generali e astratti, verso cui si appunta la loro contrarietà, dal rapporto con le persone in carne e ossa, con un volto e un nome. Nel secondo caso sono disponibili a simpatizzare, ad aiutare, a entrare in relazione. A volte il rapporto personale li conduce a modificare il loro atteggiamento politico: varie ricerche mostrano che chi conosce personalmente delle persone immigrate o rifugiate è meno prevenuto di chi ne ha una conoscenza soltanto alla lontana, mediata in genere dai mass-media. Sono le persone che stanno di più in casa e conoscono il mondo esterno soltanto attraverso la televisione ad avere atteggiamenti più duri verso l’immigrazione.
Altre volte invece questi solidali post-ideologici spiegano la contraddizione mediante il meccanismo dell’eccezione: l’immigrazione è un flagello, ma questi immigrati particolari che conosco sono persone per bene, persino simpatiche. Ne discende una conclusione: aumentare le opportunità d’incontro e di conoscenza reciproca aiuta a smontare le paure e a far crescere lo spirito di accoglienza.