Cogliere un’occasione dalla riforma sulla disabilità

Rilanciare l’integrazione sociosanitaria e il confronto tra le buone pratiche dei territori


Francesco Crisafulli | 7 Febbraio 2025

Con l’avvio della sperimentazione sulle riforme introdotte dalla Legge delega in materia di disabilità, potenzialmente si apre una fase nuova nei rapporti tra istituzioni, cittadini, terzo settore, mondo dell’associazionismo e del volontariato. La spinta verso la co-progettazione insieme ai principi di inclusione sociale, di diritti e di qualità di vità sostenuti dall’impianto normativo, ci consegnano una possibilità per ripensare politiche e servizi rivolti alle persone con disabilità, alle famiglie e ai caregiver. Quale occasione migliore per rilanciare una stagione di confronto tra i territori, per valorizzare le esperienze avanzate di integrazione sociosanitaria e le buone pratiche di intervento sulle questioni rilevanti per la vita delle persone.

La geografia regionale e locale italiana vede politiche e servizi in materia di disabilità, diversificate tra loro a partire dai finanziamenti dedicati, dai modelli organizzativi territoriali, dai sistemi che integrano politiche sociali a quelle sanitarie. Sappiamo che gli assi principali dell’integrazione socio sanitaria sono la centralità della persona, la continuità assistenziale per garantire un passaggio fluido tra i diversi servizi e livelli di cura evitando frammentazioni e duplicazioni, la prevenzione e promozione della salute, l’integrazione e ottimizzazione delle risorse sia pubbliche che del privato sociale, per offrire risposte più complete ed efficienti. I modelli di governance e di gestione integrata dei servizi, le modalità di finanziamento, le diverse modalità della presa in carico (valutazione dei bisogni, pianificazione degli interventi, monitoraggio dei risultati), il ruolo dei professionisti (competenze, responsabilità), il livello ed il ruolo di partecipazione delle persone/utenti e delle loro famiglie nei processi decisionali e nella progettazione dei servizi, sono gli elementi determinanti e qualificanti del grado di integrazione nei territori.  I modelli organizzativi alla base dell’integrazione, prevedono forme avanzate di co-programmazione, co-progettazione e collaborazione tra i diversi soggetti della rete: Comuni/Unioni dei Comuni, Aziende sanitarie, Aziende di Servizi alla persona (ASP, ASC – ex IPAB), il sistema accreditato e/o convenzionato gestito in prevalenza da Enti del Terzo Settore, il vasto mondo costituito dalle Organizzazioni del Volontariato, al fine di realizzare risposte integrate per i cittadini di un territorio.

Secondo il Decreto legislativo 62/2024 (art. 19)

“l’integrazione sociosanitaria è conseguita in sede di valutazione multidimensionale” (…) attraverso la valutazione del profilo di funzionamento, l’analisi dei bisogni e delle preferenze e la definizione congiunta e contestuale degli interventi da attivare”.

Ripreso anche in articoli successivi, il processo viene centrato nella sede dell’incontro tra i professionisti e le persone coinvolte sul PdV della persona. Sappiamo dall’esperienza che l’UVM è una sede importante di sintesi ma il processo di integrazione non si può realizzare solo in questo ambito: la letteratura in materia1 ci suggerisce, infatti, che

“l’integrazione è l’insieme coerente di metodi e di modelli riguardanti il finanziamento, l’amministrazione, l’organizzazione, l’erogazione di servizi (…) progettati per creare connessioni, allineamento e collaborazione all’interno e tra i settori delle cure (cure) e dell’assistenza (care).”

Allo stesso tempo ci sono le esperienze già percorse nei territori e le buone pratiche di intervento che possono con una sintesi essere definite come

“un insieme di azioni e strategie, validate da evidenze scientifiche e dall’esperienza, che mirano a risolvere problemi specifici o a raggiungere obiettivi prefissati in modo efficace ed efficiente”

e che sono patrimonio acquisito di molte delle nostre realtà territoriali in Italia. Miglioramento continuo, trasferibilità, insieme a ottimizzazione delle risorse (riduzione degli sprechi) e valorizzazione dei risultati, sostenibilità, flessibilità, trasparenza e replicabilità  sono alla base di un sistema di servizi moderno e sensibile. Un patrimonio di conoscenze ed esperienze che ha trovato spazio nella lungimiranza, caparbietà e spirito avanguardistico di alcuni territori del Paese, accompagnati da politiche e norme regionali, da amministratori e funzionari competenti che stanno già favorendo la realizzazione di progetti importanti e significativi per le persone con disabilità.

Il piano formativo nazionale rivolto alle 9 province individuate per la sperimentazione che prende avvio nel 2025, è un primo laboratorio nel quale vedere gli effetti di alcuni capisaldi della riforma in materia di disabilità, come la nuova valutazione di base INPS e la costruzione nei territori dei Progetti di vita individuali. Nella Regione Emilia Romagna la provincia individuata per la sperimentazione è quella di Forlì Cesena; nella città di Bologna, come Servizio Sociale per la Disabilità del Comune, abbiamo creato un “Prototipo di Progetto di Vita individuale, personalizzato e partecipato”2 che stiamo utilizzando nel sistema integrato sociosanitario dei servizi, per dare risposta alle persone con disabilità e alle famiglie. Mettere insieme intorno alla persona con disabilità, la valutazione multidimensionale, la raccolta delle preferenze, la definizione di un piano di intervento, il budget di progetto, depongono naturalmente verso il processo di integrazione sociosanitaria, senza il quale il sistema dei sostegni rischia la frammentazione e risposte incomplete ai bisogni delle parti. Fino ad oggi sono tre i PdV sottoscritti ed il nostro gruppo di lavoro sta lavorando ad altri 10 Progetti partecipati. I feedback raccolti fino ad oggi dai sottoscrittori ci incoraggiano ad andare avanti nella direzione intrapresa, sempre attenti allo sviluppo che seguirà la sperimentazione nazionale. Il bacino di potenziali interessati al provvedimento è ampio ed in forte crescita, vista la risonanza mediatica che viene data a questo elemento della riforma; questo dato, se messo in relazione al tempo medio per la stesura del Progetto (tra le 10 e le 20 ore di lavoro a seconda della complessità della situazione) pone in rilievo il tema delle risorse di personale necessarie per dare corso alla progettazione personalizzata; fino ad oggi non abbiamo registrato difficoltà ma per il futuro questo tema potrebbe diventare complesso da gestire iso-risorse. Inoltre la presentazione del modello di Progetto di Vita in diversi contesti pubblici e formativi (Exposanità 2024, Forum della Non Autosufficienza e dell’autonomia possibile (Bologna e Bari, 2024), Stati generali Fish ER, ANCI area Welfare, Politiche sociali e Salute, ecc) ci ha dato modo di entrare in contatto con alcune realtà territoriali che a diverso livello di avanzamento, hanno in essere esperienze di progettazione individuale. Il confronto con le diverse realtà del Paese come Ambiti Territoriali Sociali, Servizi sociali dei Comuni e Servizi ASL territoriali per la disabilità, Associazioni di volontariato, Cooperative sociali, responsabili di UVM di alcuni servizi per la disabilità, ecc. da un lato è l’occasione per confrontarsi sui diversi sistemi organizzativi dei territori, dall’altro per conoscere modelli ed esperienze di progettazione individuale sviluppate soprattutto nell’ambito della Legge 112/2016 (cosiddetta del “Dopo di noi”) e della vita indipendente. Durante questi contatti emerge da più parti l’esigenza di mantenere il confronto aperto per migliorare la propria offerta seguendo il principio dello scambio delle buone pratiche in essere nei territori.

Senza nascondere le “ombre” del livello di integrazione socio sanitaria del nostro Paese, è interessante citare il lavoro di due autori Kodner e Spreeuwenberg (2002)3 che enfatizzano il ruolo dell’integrazione professionale come elemento determinante nella realizzazione dell’integrazione sociosanitaria dei servizi alla persona:

“È l’integrazione sul campo, sulla frontiera dei bisogni e dei servizi erogati, che dipende in modo decisivo da convinzioni e comportamenti dei professionisti che occorre incentivare e sostenere nelle loro autonomie sul campo, raccordandosi con precise responsabilità deontologiche e doveri di rendicontazione”.

La ricchezza e l’originalità di alcuni Progetti visionati, rafforzano l’idea e l’esigenza di trovare sempre più occasioni di confronto tra i territori. Eventi convegnistici o formativi, già oggi offrono questa possibilità, ma agevolare scambi diretti tra due o più territori e creare occasioni allargate di confronto, possono diventare un’occasione per far crescere la qualità dei servizi.

Professionisti, Cooperatori, Volontari, Familiari, Persone con Disabilità, Dirigenti e Funzionari pubblici, insieme possono accompagnare i principi di una buona Legge di riforma dando forma, risposte e servizi utili ai cittadini e alle famiglie.

  1. Kodner e Spreeuwenberg (2002) in AGENAS – Raccomandazione SIQUAS sul tema: “La qualità nell’integrazione tra sociale e sanitario”, 2012.
  2. Il Prototipo del Progetto di Vita individuale, personalizzato e partecipato realizzato dal Servizio Sociale per la Disabilità del Comune di Bologna, non ha una versione pubblica; tuttavia è possibile poterlo ricevere in visione attraverso una richiesta all’indirizzo mail francesco.crisafulli@comune.bologna.it che ne prescrive, all’invio, delle regole di utilizzo. Il Prototipo di PdV-IPP è da intendersi anche quale contributo ANCI in quanto discusso e condiviso in sede nazionale.
  3. Kodner e Spreeuwenberg (2002) in AGENAS – Raccomandazione SIQUAS sul tema: “La qualità nell’integrazione tra sociale e sanitario”, 2012.

Commenti

Bisogna tenere alta la guardia, non ci sono buone notizie sul D.Lgs 62/2024. Come mai non è trapelata prima questa notizia?
Il Governo ha proposto un decreto (già approvato in Senato!) con una serie di emendamenti al D.Lgs 62 che prorogano di un altro anno la cosiddetta “sperimentazione” e di conseguenza l’entrata in vigore del progetto di vita sul territorio nazionale!! Così sul territorio nazionale si potrà cominciare a richiedere il progetto di vita personalizzato e partecipato solo dal 1° gennaio 2027!

Buongiorno Mariagrazia. In effetti lo slittamento di 12 mesi della fine della sperimentazione, è stata una novità dell’ultima ora. E’ vero che questo ritarda le richieste di PdV, anche se in alcuni territori si inizia già adesso a rispondere alle istanze presentate. A Bologna, ad esempio, abbiamo già sottoscritto 3 PdV e ne stiamo lavorando almeno altri 10. Non è semplice ma noi siamo ottimisti sui cambiamenti di questa riforma.

Tante belle parole scritte che ho già letto e sentito nel passato e che sono rimaste solo sulla grandi intenti ma nella pratica molto poco si è realizzato a beneficio delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Oggi si ripetono ma quanto tempo si dovrà aspettare per veder realizzato quanto detto? Ormai ho perso ogni speranza, tanto da chiedere ” se la disabilità sia ancora un problema sociale, o solo un problema privato ” perché è solo così che ci sentiamo genitori di figli con disabilità grave, SOLI e Abbandonati a sé stessi.

Lo sconforto è comprensibile, ma occorre sempre guardare ai cambiamenti con criticità e apertura. Vedremo i provvedimenti a seguire, soprattutto in termini di risorse per i territori per implementare PdV utili alle persone.