Il Comune di Milano ha di recente elaborato il Piano per i senza dimora 2017/2018, che è stato presentato dall’assessore Pierfrancesco Majorino e dal direttore dell’Area emergenze sociali, diritti ed inclusione Cosimo Palazzo, in occasione della seduta della Commissione comunale Politiche sociali e servizi per la salute. L’intento del Comune di Milano è quello di costruire intorno al concetto di accoglienza un sistema potenziato di collaborazione tra strutture pubbliche e private, finalizzato al reinserimento delle persone senza dimora nel tessuto sociale cittadino. L’obiettivo principale non è tanto quello di togliere le persone dalle strade, quanto quello di fare in modo che le stesse non ci ritornino più: si tratta quindi di lavorare non solo attraverso interventi rapidi ed emergenziali, ma soprattutto mediante azioni che abbiano come scopo ultimo facilitare la progressiva e permanente re-inclusione delle persone senza dimora all’interno della società1. Tale sistema ha il suo perno nel Centro Aiuto Stazione Centrale, dove confluiscono tutte le richieste di aiuto – sia da parte di migranti, di cui molti minori non accompagnati, sia da parte di chi vive per strada – e che vengono poi smistate a seconda della tipologia di servizio richiesto. Accanto a tale intervento ruotano un gran numero di strutture pubbliche e private di accoglienza, centri diurni, presidi di salute pubblica e unità mobili che operano sul territorio, e una larga serie di iniziative del privato sociale e della società civile quali la raccolta di coperte e indumenti, la raccolta di alimenti e farmaci.
Il fenomeno della homelessness in Italia
Cosa si intende per homelessness? Una definizione del fenomeno è contenuta nelle Linee di indirizzo approvate in sede di Conferenza Unificata il 9 novembre 2015: “fenomeno sociale complesso, dinamico, multiforme che non si esaurisce nella sola sfera dei bisogni primari ma che investe l’intera sfera delle necessità e delle aspettative della persona, in particolare sotto il profilo relazionale, emotivo ed affettivo”. Ciò che connota le persone senza dimora e in condizioni di grave emarginazione è una situazione più o meno grave di disagio abitativo, che è spesso parte determinante di una più complessa situazione di povertà e deprivazione.
Qualche numero. Nel 2014 in Italia, secondo i dati elaborati da Istat in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, la Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora (fio.PSD) e Caritas, le persone senza dimora sono più di 50 mila2. Tra esse prevalgono gli uomini (85,7%), stranieri (58,2%), con meno di 54 anni (75,8%) o con basso titolo di studio. Molte sono le differenze territoriali: il 56% delle persone in condizione di grave emarginazione vive nelle regioni del Nord Italia, in particolare all’interno delle grandi aree metropolitane. Nel 2014 in Regione Lombardia si contano 16.003 persone senza dimora (il 31,5% del totale nazionale), di cui 12.004 concentrate solo a Milano.
I dati ci raccontano che la maggior parte di queste persone, prima di diventare homeless, viveva nella propria casa, mentre soltanto il 6,8% dichiara di non averne mai avuta una. Quasi un terzo di queste persone è occupato, seppur in lavori a termine, saltuari e a bassa qualifica, senza percepire dunque un reddito dignitoso. Tra i principali eventi responsabili dell’avvio di un percorso di progressiva emarginazione vi sono la perdita di un lavoro stabile, la separazione dal coniuge e/o dai figli e, seppur in misura minore, le cattive condizioni di salute (disabilità, malattie croniche, dipendenze).
Governance e servizi di contrasto alla grave emarginazione
A livello nazionale le politiche sociali a favore delle persone in condizione di grave marginalità trovano l’unico riferimento legislativo all’articolo 28 della legge 328/2000. I Comuni, singoli o associati, sono i soggetti che si occupano di «progettare, gestire ed erogare servizi e interventi rivolti alla grave marginalità senza vincoli derivanti dalla normativa nazionale o regionale». In tale sistema di grande importanza è l’apporto degli enti non profit, della società civile e degli organismi privati, di matrice laica e religiosa, che nella maggior parte delle situazioni si fanno concretamente carico delle persone senza dimora erogando la maggior parte dei servizi di contrasto alla grave emarginazione. È bene sottolineare però che tali contributi non possono – né tantomeno devono – sostituire in alcun modo il sistema organizzato e programmato di servizi e interventi che fa capo all’Ente locale pubblico, ma anzi integrarsi e coordinarsi ad esso.
Le Linee di indirizzo di cui si è parlato prima definiscono i servizi contro la homelessness come delle “unità organizzative specifiche atte ad erogare presso una determinata sede tipologie di prestazioni ben determinate, in modo continuativo o ripetuto nel tempo, socialmente riconosciuto e fruibile”. L’indagine condotta nel 2011 da Istat, Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, fio.PSD e Caritas individua 32 differenti servizi, distinti per orientamento funzionale. Servizi di supporto in risposta ai bisogni primari (distribuzione viveri, distribuzione indumenti, distribuzione farmaci, docce e igiene personale, mense, unità di strada, contributi economici una tantum); servizi di accoglienza notturna (dormitori, dormitori di emergenza, comunità semiresidenziali, comunità residenziali, alloggi protetti, alloggi autogestiti); servizi di accoglienza diurna (centri diurni, comunità residenziali, circoli ricreativi, laboratori); servizi di segretariato sociale (servizi informativi e di orientamento, residenza anagrafica fittizia, domiciliazione postale, espletamento pratiche, accompagnamento ai servizi del territorio); servizi di presa in carico e accompagnamento (progettazione personalizzata, counselling e sostegno psicologico, counselling e sostegno educativo, sostegno economico strutturato, inserimento lavorativo, ambulatori infermieristici e medici, custodia e somministrazione terapie, tutela legale).
Nel 2014 la maggior parte delle persone senza dimora che utilizzano i servizi di contrasto alla grave emarginazione vive nel Nord Italia (56%). Tale risultato è strettamente legato all’offerta dei servizi sul territorio e alla concentrazione della popolazione nei grandi centri urbani. Sui 768 servizi attivi a livello nazionale contro la homelessness rilevati dall’indagine, in Lombardia se ne contano 154 (il 20,1% del totale nazionale), di cui 52 attivi solo a Milano.
Accanto ai servizi di tipo emergenziale – meno strutturati e non specificatamente dedicati alle persone senza dimora – vi sono interventi più strutturati orientati a garantire almeno servizi di bassa soglia o di riduzione del danno, indirizzati al perseguimento del maggior grado di inclusione sociale possibile, anche mediante servizi di pronta e prima accoglienza svolti in strada o in strutture di facile accessibilità. Tra i servizi più ampiamente strutturati che utilizzano un approccio di tipo olistico e multidimensionale rientrano i servizi di housing first3, che si basano su due concetti specifici: la casa come diritto umano di base, e la presa in carico della persona e l’accompagnamento ai servizi sociosanitari verso un percorso di integrazione sociale e benessere. Secondo questo approccio soltanto l’accesso a un’abitazione stabile e sicura può generare benessere diffuso negli homeless di lunga durata e successivo reinserimento nella società4.
Trattandosi di un fenomeno sociale complesso, dinamico e multiforme, la presa in carico delle persone senza dimora, affinché sia efficace, deve necessariamente avvenire mediante un’attivazione coordinata di tutte le risorse professionali e culturali, formali e informali, che possono esse messe a disposizione della persona in difficoltà in un dato territorio, al fine di ricostruire legami sociali significativi e permettere all’individuo di riappropriarsi di un’esistenza dignitosa.
- A questo proposito si veda su questo sito l’intervista di Costanzo Ranci ad Antonio Tosi in occasione della pubblicazione del volume “Le case dei poveri. È ancora possibile pensare un welfare abitativo?”
- Tali stime fanno riferimento alle persone senza dimora che, nei mesi di novembre e dicembre 2014, hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna nei 158 comuni italiani in cui è stata condotta l’indagine.
- Simile, ma non totalmente sovrapponibile all’approccio housing first, è l’approccio housing led. Quest’ultimo fa riferimento a servizi di più bassa intensità e durata, destinati a persone non croniche. Lo scopo di tali servizi è quello di assicurare che venga rispettato il diritto alla casa e l’accesso rapido all’abitazione, mettendo la persona nelle condizioni di ricollocarsi nel breve periodo nel mondo del lavoro, incrementando così il proprio reddito.
- Per approfondimenti si rimanda al sito Housing First Italia e al volume “Prima la casa” curato da Paolo Molinari e Anna Zenarolla, che analizza obiettivi e risultati della sperimentazione italiana di housing first illustrandone l’impatto su beneficiari, operatori, luoghi e contesti istituzionali e territoriali di applicazione.