Contrattazione sociale territoriale: il sindacato per la partecipazione, l’inclusione e la democrazia
Beppe De SarioMaria Guidotti | 28 Febbraio 2020
“Fino a quando il pregiudizio e la segretezza, la cattiva rappresentazione dei bisogni, o la semplice ignoranza non saranno sostituiti da un atteggiamento serio di indagine e di vera apertura del processo di costituzione delle decisioni, non potremo renderci conto di quanto l’intelligenza della gente comune possa essere adatta a risolvere il problemi posti dalle politiche pubbliche”
(John Dewey 1954)
Crediamo che la citazione di Dewey individui con molta efficacia alcuni degli obiettivi e delle funzioni fondamentali che deve porsi la contrattazione sociale territoriale.
La contrattazione sociale territoriale è una specificità italiana, ma certamente si colloca nel sistema di relazioni tra le parti sociali che – pur tra significative diversità – ha caratterizzato i paesi membri dell’Unione europea a partire dal secondo dopoguerra del Novecento. In esso il ruolo del sindacato non si limita a quello di portatore di interessi, ma di promotore di partecipazione, benessere, sviluppo equo e inclusivo. La contrattazione sociale territoriale è basata e legittimata fondamentalmente dalle pratiche, dalle intese e dalle coalizioni che realizza sul terreno. Essa è meno formalizzata della contrattazione collettiva; non realizza “contratti” ma “accordi”; rappresenta le istanze sociali in un rapporto non semplice tra la naturale constituency del sindacato (costituita da lavoratori e lavoratrici) e i bisogni della cittadinanza in senso più ampio e di specifici gruppi sociali.
La negoziazione che si concentra sul sociale e sul territorio è anche uno strumento per indagare lo stato di salute della democrazia. Questa si alimenta e si sostanzia a condizione che si diffonda la conoscenza di come combinare il particolare e il generale. La democrazia è un regime sociale e politico in apprendimento – e di apprendimento – e l’attività negoziale tra i soggetti organizzati e i corpi intermedi ne costituisce uno degli strumenti.
Una efficace negoziazione, consapevole della sua importanza, deve essere attenta sia alla necessaria redistribuzione delle risorse che a quella dei poteri.
Il welfare è una cartina di tornasole inequivoca. Oggi esso sta subendo profonde modificazioni, tali da metterne in discussione le stesse finalità costitutive (benessere per tutti, inclusione, pari opportunità, perequazione delle diseguaglianze). Lo strumento principe con sui si persegue il ridimensionamento del welfare è l’entità dei tagli di cui è stato fatto oggetto, accanto al crescente ruolo del settore privato. Noi pensiamo, al contrario, che il welfare sia una delle istituzioni più moderne e necessarie, caratterizzanti di uno sviluppo finalizzato all’accrescimento del benessere collettivo, ed irrinunciabile presupposto di una società moderna, solidale, equa ed inclusiva.
La negoziazione si caratterizza per gli obiettivi che si propone, non si limita ad agire “contro” scelte ritenute sbagliate ma avanza soluzioni alternative e, spesso, innovative.
Per questo la contrattazione sociale territoriale è oggi più che mai necessaria, perché contribuisce a una più equa redistribuzione dei poteri e a tutelare il reddito dei lavoratori; rende esigibili diritti fondamentali rispondendo al profondo e crescente senso di insicurezza delle persone. Essa può arginare la crescita dell’individualismo ricostruendo logiche solidali, e così facendo può offrire nuove prospettive ai giovani, agli anziani, ai migranti e ai nuovi cittadini. Essa contribuisce, insomma, a ricostituire un ambiente sociale più coeso, giusto e solidale, e a ridare pensiero, progettualità e profondità all’orizzonte del nostro lavoro di ogni giorno.
La contrattazione sociale territoriale crea una relazione evidente tra diritti del lavoro e diritti di cittadinanza, evitando che la loro separazione porti all’erosione di entrambi, con utenti-consumatori che non rendendosi conto degli effetti negativi dell’impoverimento del lavoro creano le condizioni anche per l’indebolimento dei propri diritti, e lavoratori che trascurando l’importanza della tutela dei diritti universali creano le condizioni anche per il proprio isolamento sociale e dunque per la propria sconfitta. L’Integrazione tra i diversi livelli della contrattazione (sociale territoriale, contrattazione collettiva) rappresenta una sfida assai concreta per il sindacato: sollecitare la partecipazione delle categorie degli attivi fino al livello delle rappresentanze nei luoghi di lavoro, per fare in modo che la domanda sociale proveniente dai lavoratori diventi domanda sindacale all’interno delle agende della contrattazione sociale.
Investire nella dinamica relazione tra diritti del lavoro e diritti di cittadinanza, dunque nella complementarietà tra contrattazione a tutela del lavoro e negoziazione dei diritti sociali e di cittadinanza, è al centro di una prospettiva inclusiva dell’azione sindacale nella società. Per fare ciò occorre qualificare e sviluppare la negoziazione: mediante la formazione dei “contrattualisti del sociale”, la valorizzazione delle competenze sociali dei responsabili sindacali e dei rappresentanti nei luoghi di lavoro, la messa a frutto di processi partecipativi sia all’interno sia all’esterno del sindacato. Tutto questo per essere preparati a contribuire nel merito rispetto all’ampio spettro di temi che si ritrovano sul tavolo del confronto con enti e istituzioni pubbliche, evitando così il rischio della “sottonegoziazione” degli interventi.
La contrattazione sociale e territoriale dunque è una pratica democratica che agisce nel confronto tra interessi diversi con l’obiettivo di trovare una sintesi che rappresenti un avanzamento per i singoli, per la collettività e il suo benessere, misurato non solo in termini economici.
Il lungo periodo di crisi ha evidenziato ancora di più, se necessario, l’importanza fondamentale di questa attività per la tenuta del tessuto democratico e non solo per difendere i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, dei pensionati e delle pensionate.
Sono molte le innovazioni che grazie alla contrattazione sociale territoriale sono state portate nelle politiche sociali, sia locali sia nazionali: strumenti di contrasto della povertà, di sostegno al reddito dei lavoratori colpiti dalla crisi, la generalizzazione del nuovo Isee nell’equa compartecipazione dei cittadini ai costi del welfare, una modulazione di tasse, tariffe e tributi locali ispirata al principio di progressività.
In questo senso, la contrattazione sociale territoriale ha una funzione redistributiva (nell’allocazione delle risorse pubbliche), regolativa (si pensi agli accordi sulla qualificazione sociale degli appalti, o alla programmazione dei servizi e delle prestazioni sociali entro i Piani di zona), ma anche una funzione sperimentale che vede il sindacato promotore esso stesso di reti sociali e aggregazioni di attori del territorio (campagne e progetti sul tema dell’accoglienza, del benessere, del contrasto dell’esclusione sociale e lavorativa, etc.).
La contrattazione sociale territoriale, agendo nel merito dei problemi reali, fa giustizia di tanti luoghi comuni. Ne è testimonianza non solo il fatto che essa è interamente unitaria, ma che ha realizzato anche una vasta rete di relazioni con soggetti diversi (fondazioni, associazioni imprenditoriali, del terzo settore), nonché, ovviamente, con le istituzioni, per trovare soluzioni , anche innovative, a problemi che investono il vissuto di milioni di donne e di uomini.
La necessaria risposta all’emergenza della crisi economica e sociale non ha impedito un’azione più strategica e di prospettiva relativamente a politiche di inclusione, in particolare per quanto attiene il tema immigrazione e a tutte le problematiche connesse: da quella abitativa, all’inserimento scolastico dei bambini e dei giovani, emersione del lavoro nero, luoghi di socializzazione e di integrazione etc.
È nel territorio che – attraverso la contrattazione sociale – il concetto di “pari opportunità” esce dall’angusto e miope riferimento alla sola condizione delle donne e della loro possibilità di accesso al mercato del lavoro per diventare una vera e propria questione culturale e di giustizia, quindi una più generale politica di affermazione dei diritti delle persone svantaggiate e/o in condizione di marginalità sociale, culturale, lavorativa, socialmente trasversale e dirimente per lo sviluppo del nostro Paese. In questo contesto va inserito il tema delle nuove generazioni e dei rapporti intergenerazionali.
La questione giovanile ha ormai assunto le caratteristiche dell’emergenza sociale, lungo tutto l’arco di crescita e di sviluppo delle persone: denatalità, dispersione scolastica, nuova emigrazione dei giovani, lavoro precario e discontinuo quasi sempre senza coperture nei periodi di disoccupazione, impossibilità di progettarsi un futuro, neanche parlare di carriere, di farsi una famiglia, insomma di essere liberi di costruirsi una vita degna.
L’invecchiamento della società è l’altra faccia della medaglia, di una parte crescente di società troppo spesso lasciata sola, nella sua dimensione privata, talvolta sostenuta da relazioni familiari, verso la quale ci si rivolge, se lo si fa, in termini assistenzialistici, senza riconoscerne fino in fondo i diritti, la dignità, la ricchezza della sua esperienza, dei suoi saperi, del tempo liberato dal lavoro.
È più “facile” ma molto pericoloso, e soprattutto ingiusto, cercare di creare contrapposizione di interessi e additarli come coloro che sottraggono le risorse alle nuove generazioni. Sappiamo bene che ben altre sono le ragioni del furto di futuro che si sta perpetrando ai danni dei giovani.
La questione di genere è giustamente affrontata come la necessità di una visione non neutrale delle politiche, sia sociali che del lavoro, come necessità di un nuovo rapporto rispetto all’onere del lavoro di cura: la riproduzione sociale, la sua qualità, sono un diritto ed una un’obbligazione per tutti i cittadini, come riconoscimento della differenza per dare solide basi ad una società sostanzialmente integrata ed inclusiva che ricomponga la polarizzazione sociale, ma soprattutto di potere, con tutti i riflessi e le conseguenze connesse, oggi dominante.
La contrattazione sociale si è occupata e si occupa di ambiente, non solo per la sua difesa, ma anche come uno degli assi attorno a cui costruire un nuovo modello produttivo, che non abbia nell’uso e abuso delle risorse naturali uno dei più potenti generatori di ingiustizia e di sfruttamento sia a livello globale che locale. Ma ambiente è anche la vivibilità delle nostre città, il recupero urbano e le “piccole opere”, il sistema dei servizi e il loro accesso, sono le politiche di uso del suolo, del ciclo dei rifiuti, il rapporto tra pubblico e privato nella gestione dei beni comuni.
La contrattazione sociale territoriale si conferma come una grande occasione di partecipazione democratica, che affronta le tante nuove frontiere linguistiche, culturali e politiche che ci segnalano anzitutto la necessità di comprendere e continuare ad apprendere. Di andare avanti per superarle e ricostituirne di nuove come forma di prospettiva e di speranza.ricercatore della Fondazione Giuseppe Di Vittorio; per essa è responsabile dell’Osservatorio sulla contrattazione sociale, inoltre si occupa principalmente di contrattazione di secondo livello e immigrazione.
La contrattazione sociale ci insegna che la democrazia è sempre incompiuta, da conquistare e perfezionare e per questo serve l’impegno diffuso e consapevole di ciascuno, non in quanto individui isolati ma come lavoratori, cittadini che si organizzano attraverso le loro rappresentanze, per rafforzare e non delegare il diritto a esprimersi e partecipare in forma diretta.
È possibile scaricare qui alcuni dati tratti da Cgil, Spi, Fondazione Di Vittorio, “Decimo Rapporto sulla contrattazione sociale”.