Una fotografia generale dopo il primo semestre
Sono trascorsi sei mesi dalla stipula del nuovo contratto nazionale dei lavoratori delle cooperative sociali. L’obiettivo del nuovo contratto che prevede un incremento salariale di circa un 12-15% entro il 2026 era di contrastare il depauperamento delle condizioni reddituali in cui versano centinaia di migliaia di lavoratori della cooperazione sociale a livello nazionale. Il rinnovo del contratto è stato accompagnato da dichiarazioni di grande soddisfazione sia da parte delle associazioni cooperative che delle sigle sindacali che lo hanno firmato. Con l’obiettivo di comprendere quali sono gli effetti dell’applicazione del contratto è stata avviata un’analisi longitudinale su un campione di trenta cooperative sociali sull’intero territorio nazionale attraverso la somministrazione di interviste semestrali ai presidenti o ai direttori. La tab. 1 fa sintesi delle caratteristiche del campione costruito tenendo conto della tipologia delle cooperative (A, B o miste), delle dimensioni e delle aree geografiche. La tabella 1 fa sintesi delle caratteristiche delle imprese indagate.
Tabella 1 – Caratteristiche campione
|
|
Tipologia cooperativa |
A 22 B 7 Mista 1 |
Dimensioni di fatturato |
> 10.000.000 2 10.000.000 – 2.500.000 3 2.500.000-1.000.000 9 1.000.000 – 500.000 4 < 500.000 2 |
Area territoriale |
Nord est 9 Nord ovest 7 Centro 7 Sud e isole 7 |
Alla fine di giugno 2024 le cooperative che hanno riconosciuto ai lavoratori l’intero aumento contrattuale su tutti i servizi costituiscono l’83% del totale, mentre gli incrementi non sono stati ancora pagati in busta paga o sono stati versati solo parzialmente dal restante 17%. Gli aumenti sono stati riconosciuti principalmente da cooperative che intrattengono rapporti di vendita di servizi con le pubbliche amministrazioni. Per quanto riguarda il riconoscimento degli incrementi contrattuali da parte pubblica la situazione a giugno evidenzia un 17% di cooperative che hanno già ricevuto gli adeguamenti, un 20% che li ha ricevuti parzialmente e un altro 23% che ha avuto rassicurazioni sul fatto che con gli adeguamenti di bilancio di luglio o entro fine dell’anno le pubbliche amministrazioni dovrebbero riconoscere in toto o in parte l’aggiustamento delle tariffe.
Gli intervistati che hanno ricevuto dinieghi espliciti alla richiesta degli aumenti da parte di almeno un ente affidatario dei servizi sono quasi il 50%, mentre una promessa del solo adeguamento Istat (“perché di più non hanno in cassa”) da parte di almeno una pubblica amministrazione è riportata dal 15% degli intervistati. Mentre al nord la situazione è mediamente migliore, le difficoltà più acute soprattutto si registrano manifestamente tra le cooperative delle regioni del centro sud dove storicamente la situazione della finanza pubblica è più fragile. Non si registrano al momento situazioni di crisi aziendale legate alla difficoltà di finanziare gli aumenti e preoccupazioni in questo senso sono espresse da una minoranza di cooperative solo a partire dal 2025 nel caso gli incrementi non siano supportati da un parallelo aumento delle entrate economiche.
La gestione della partita contrattuale risulta al momento particolarmente faticosa. I primi sei mesi dall’approvazione del contratto nazionale sono stati caratterizzati da un forte impegno a rinegoziare i contratti con le pubbliche amministrazioni, soprattutto da parte delle cooperative di servizi che dipendono per circa l’85% dei finanziamenti dalle pubbliche amministrazioni.
La gran parte degli intervistati testimonia una notevole fatica a trattare con i funzionari e gli amministratori pubblici. Solo il 33% ha trovato piena disponibilità e ascolto, mentre per gli altri si è trattato e si tratta di un processo più complicato. Molte amministrazioni a febbraio non erano in condizione di modificare i bilanci oppure molti contratti erano tecnicamente non modificabili. Le tabelle ministeriali degli aumenti sono state pubblicate inoltre solo a giugno e questa tempistica ha ulteriormente complicato alcune negoziazioni. Le cooperative di medio grandi dimensioni con più contratti di affidamento sono state quelle più penalizzate con dirigenti che nell’arco di poche settimane hanno dovuto rapportarsi a decine di committenti pubblici.
I fattori facilitanti e ostacolanti degli adeguamenti dei contratti
Gli adeguamenti dei contratti dipendono da molti fattori.
Il primo è la tradizione collaborativa tra pubblico e cooperazione a livello locale. Dove i rapporti tra pubblico e terzo settore si basano su un reciproco interesse a collaborare si rileva sia la maggiore disponibilità a adeguare le tariffe, sia a garantire la promessa al prossimo assestamento di bilancio del riconoscimento degli aumenti. Il sistema di welfare nazionale è caratterizzato tuttavia da relazioni di welfare mix molto diverse sia rispetto ai territori che ai settori di attività. Dove prevalgono rapporti più competitivi l’interesse da parte del settore pubblico appare invece molto più limitato. Se per le pubbliche amministrazioni la relazione con la cooperazione sociale è semplicemente quella tra acquirente e fornitore, le richieste di adeguamento delle tariffe sono valutate in base al livello di intercambiabilità delle cooperative. “Qui già dopo il 2008 i comuni avevano tagliato le basi d’asta delle gare mettendo in crisi il sistema della cooperazione locale – racconta il direttore di una cooperativa della cintura milanese – se dico che senza adeguamenti devo ridurre i servizi, mi rispondono che ci sono altre cinque cooperative pronte a sostituirmi.”
Oltre alla dimensione della tradizione dei rapporti tra pubblico e terzo settore, una influenza sulla disponibilità a adeguare i contratti è naturalmente la capacità di spesa delle pubbliche amministrazioni. Il nuovo contratto è stato firmato a gennaio, mentre le previsioni di bilancio sono state fatte nell’autunno precedente. Se le pubbliche amministrazioni erano state informate preventivamente dell’imminente rinnovo contrattuale e i rapporti erano collaborativi con le cooperative ci sono stati accantonamenti delle risorse da utilizzare nel nuovo anno, altrimenti la negoziazione si sposta a luglio con l’assestamento di bilancio, o a fine anno. Più della metà degli intervistati rilevano inoltre una difficoltà strutturale e non solo temporanea da parte del pubblico a riconoscere gli incrementi salariali. La speranza di un sostegno politico all’adeguamento delle tariffe che diversi osservatori riponevano nell’Anci uno dei soggetti più direttamente interessati all’erogazione dei servizi è stata delusa proprio per questo motivo. La circolare emanata sostanzialmente comunica che l’adeguamento si può ma non si deve fare e va legato alla disponibilità dei bilanci dei comuni.
Il rapporto con la politica continua a costituire infine un ulteriore elemento di facilitazione o ostacolo nei rapporti tra pubblico e terzo settore. Continuano a persistere come tratto distintivo del welfare mix nazionale i canali di accesso privilegiati per le cooperative più vicine ai rappresentanti politici che ricoprono posizioni decisionali importanti per l’allocazione delle risorse. Avere un buon contatto con un sindaco per esempio può comportare un vantaggio nella discussione sull’adeguamento delle tariffe dei servizi appaltati da un singolo comune. Il problema è che dove la competizione è maggiore, i rapporti con la politica diventano anche più complicati, perché le relazioni di scambio si moltiplicano e i rappresentanti politici possono scegliere tra più opzioni. Inoltre, i politici devono confrontarsi con il livello burocratico e dirigenziale che ha responsabilità diretta sulle delibere e con vincoli che non sempre possono essere facilmente bypassati soprattutto negli enti che soffrono di difficoltà economiche manifeste.
Soddisfatti e insoddisfatti
L’esigenza di aumentare i salari per contrastare la difficoltà del reclutamento dei lavoratori è condivisa dai tre quarti degli intervistati. Il 33% degli intervistati esprime soddisfazione rispetto alla chiusura del nuovo contratto. La soddisfazione rispetto agli aumenti è legata principalmente alla situazione economico finanziaria delle cooperative. Più le stesse sono in una condizione di relativa solidità economico patrimoniale, o hanno ricevuto rassicurazioni da parte delle pubbliche amministrazioni rispetto alla fattibilità del riconoscimento degli aumenti nelle tariffe, più l’incremento salariale è visto in modo tendenzialmente positivo.
Il problema sollevato dalla gran parte degli intervistati è la gestibilità degli aumenti. “L’aumento è sacrosanto – dice un presidente di una cooperativa di tipo A di medie dimensioni del nord est – il punto è che se mancano le risorse sono le cooperative a doversi sobbarcare gli aumenti e non tutte riusciranno a farlo.” La preoccupazione di aumentare le entrate per supportare gli incrementi salariali riguardano sia le cooperative che lavorano con il pubblico che quelle, prevalentemente di tipo B, che vendono servizi al mercato e incontrano difficoltà significative a essere competitive a prezzi incrementati in ambiti di attività come le pulizie o la manutenzione del verde.
Se per diverse cooperative gli aumenti salariali sono comunque gestibili, per una altra quota le preoccupazioni soprattutto per la sostenibilità dell’aumento nel triennio risultano molto più marcate. Alcuni intervistati indicano come alcuni enti pubblici sono disponibili a riconoscere gli aumenti in cambio di un incremento delle prestazioni offerte il che significa impattare negativamente sulla qualità dei servizi offerti (“con lo stesso personale dovremmo fare di più”).
La maggiore insoddisfazione è manifestata da circa un terzo di intervistati a cui le pubbliche amministrazioni hanno espresso un diniego netto a riconoscere gli aumenti o a cui è stato comunicato che per motivi di cambio di giunte o di referenti politici o amministrativi la discussione sugli aumenti è destinata a slittare in avanti senza certezze. Si registrano anche alcuni casi di effetti paradossali del nuovo contratto, ad esempio in Friuli Venezia Giulia dove le richieste di adeguamento contrattuale si inseriscono e rischiano di accelerare il processo di ritorno in house delle Rsa in parte fino a ora gestite da cooperative sociali.
Ma sono gli adeguamenti del contratto la vera partita?
Nonostante l’enfasi riposta sugli aumenti del contratto nazionale, le interviste sollevano anche altre questioni che andrebbero considerate per inquadrare la tematica della difficoltà del reclutamento dei lavoratori nelle cooperative sociali. Alla domanda se gli aumenti miglioreranno la situazione della difficoltà di reclutamento e fidelizzazione dei lavoratori nelle cooperative, solo un terzo degli intervistati si dice fiducioso. Diverse ricerche recenti mettono in luce la centralità della questione salariale come leva per il reclutamento e la fidelizzazione dei lavoratori nelle cooperative sociali (Giullari e Lucciarini, 2024). Gli aumenti previsti dal nuovo contratto alzano i salari, ma come ha detto un intervistato, “siamo arrivati a parlare di aumenti che ancora prima di essere dati ai lavoratori sono stati già mangiati dall’inflazione, mentre tutti fan finta che lavorare nelle cooperative, a parte gli aspetti economici sia paradisiaco; e non è cosi”. In effetti quello che la discussione sui salari promossa da associazioni di rappresentanza cooperative e sindacati omette di affrontare sono le condizioni più generali del lavoro in molte cooperative e la capacità delle stesse di fare leva sulle motivazioni ideali dei lavoratori per selezionare individui motivati. Parcellizzazione del lavoro, intermediazioni di manodopera, educatori cui non sono pagati gli spostamenti per seguire le famiglie a domicilio, servizi affidati a minutaggio, mancato riconoscimento nei contratti di affidamento dei servizi delle ore di programmazione degli interventi complessi sono condizioni diffuse e interiorizzate come normali prassi di lavoro in un grande numero di bandi. L’idea che il sociale sia qualcosa di poco di diverso dallo svolgimento di funzioni di controllo sociale e che si stia assistendo a una dismissione del welfare dei servizi è largamente condivisa. Le evidenze empiriche mostrano come questa concezione riduzionistica del welfare, quando ricade sulle attività e l’organizzazione del lavoro delle cooperative, rischia di trasformarsi in uno svuotamento di senso del lavoro sociale e di allontanare molti lavoratori specialmente giovani e motivati dalla cooperazione sociale che ha introiettato i modelli di funzionamento più prestazionali e burocratici (Fazzi, 2024). Come molti intervistati evidenziano, in molti settori l’idea di partnership tra pubblico e cooperazione sociale è stata sostituita nel tempo dalla logica della fornitura di prestazioni ridefinendo l’identità stessa di molte cooperative che, nate per co-costruire il welfare locale, sono diventate qualcosa di molto simile a mere esecutrici di servizi preordinati in base a valutazioni amministrative e contabili che rendono difficile una risposta ai bisogni emergenti. La crisi del lavoro nelle cooperative sociali è dunque non solo crisi di salari, ma anche crisi di senso e di prospettiva. Come rispetto a queste questioni si collochino la politica, le pubbliche amministrazioni, le centrali cooperative e le sigle sindacali non è facile dire, ma l’impressione è che, al di là di proclami più o meno velleitari, una visione seria di cosa debba essere il welfare del futuro sia ancora lontana da essere posta al centro del dibattito e si tiri a campare senza affrontare il vero nodo: ovvero l’esigenza di investimenti economici e politici che segnino l’importanza del welfare dei servizi e diano fiato e gambe alle cooperative per esprimere le loro potenzialità di attori di cambiamento, fornendo ai lavoratori incentivi sia intrinseci che estrinseci per entrare e impegnarsi al loro interno.