Con questo nuovo contributo abbiamo quasi concluso la pubblicazione degli articoli, che verranno poi raccolti in un nuovo Punto di Welforum, tratti dagli interventi al seminario Welforum che si è tenuto a Cuneo lo scorso 6 marzo, dal titolo: “Disabilità: cantieri e prospettive”. L’autore qui utilizza molti termini al maschile per privilegiare la scorrevolezza della lettura. Evidentemente, tutto ciò che viene riferito a figlio, fratello ecc. è ugualmente riferito a figlia, sorella e alle loro declinazioni plurali.
Grazie dell’invito e buongiorno a tutti. La seconda sessione del convegno intende affrontare i temi delle esperienze partecipative e della progettazione personalizzata. Toccherò questi argomenti aggiungendone però un altro, ovvero: ne vale la pena? Ha senso mettersi tanti problemi per iniziare per tempo progetti abitativi, di autonomia sociale, ecc.? Produce davvero dei risultati così significativi da giustificare lo sforzo? La risposta, vi anticipo, è certamente sì, ma occorre affrontare la questione non secondo il paradigma “del risultato”, ma secondo quello “dell’investimento”.
Sono direttore della Fondazione Dopo di Noi Bologna Onlus che oggi ha 21 anni. Ero lì il primo giorno ed è stato un grande onore aver potuto seguire la progressiva costruzione di tanti progetti caratterizzati da un’elevata co-partecipazione tra famiglie, ente pubblico e privato non-profit.
Fondazione dopo di Noi Bologna nasce da 13 famiglie di persone con disabilità intellettiva, con la partecipazione esterna del Comune di Bologna, che nomina un componente del CdA. A tutti gli effetti un soggetto privato, che però fin dal primo giorno si è aperto al territorio con una logica di servizio pubblico. Un altro elemento distintivo di questa Fondazione è che pur essendo i fondatori tutti dei familiari, e pur essendo la presidente una familiare (prima Cesira Berardi ora Marina Cesari) questi hanno voluto delegare a dei “tecnici” – appassionati, coinvolti, ma pur sempre dei non-familiari – la progettazione e la costruzione di un metodo di lavoro. E questo non è cosa da poco.
Due parole sul nostro approccio
Il “dopo di noi” ha a che fare con invecchiamento e disabilità, due questioni di per sé irrisolvibili, aspetto che in parte spiega quella sensazione di “non essere mai riusciti a costruire la risposta giusta” che coglie chiunque si occupi di queste tematiche. Il motivo credo sia nel fatto che abbiamo di fronte un familiare preoccupato di invecchiare, preoccupato per il figlio, ma di tutta la vita in generale, in quanto gli richiede un’energia che sente venire meno pian piano. Preoccupato in quanto sa di non poter ricevere aiuto nella vecchiaia da quel figlio. Inevitabile quindi che anche a seguito di una nostra straordinaria proposta quel genitore non potrà mai essere completamente soddisfatto. La nostra proposta è per il figlio, infatti, e non risponde ai bisogni di una delle due parti in causa. Il dopo di noi non riguarda solo la persona con disabilità, ma nella stessa misura anche i suoi familiari.
La problematica non è la disabilità, ma il legame genitore-figlio. È il (sereno) distanziamento il luogo di lavoro del “dopo di noi”, perché è nella natura delle cose che i figli si allontanino dai genitori, e che (attenzione!) quando i genitori saranno anziani essi siano aiutati dai figli, cosa che non avverrà nei casi che seguiamo. Allora bisogna avere coscienza che è dentro a questo intricatissimo terreno di tematiche emotive, familiari, patrimoniali, assistenziali, giuridiche … che il “dopo di noi” si muove.
Un esempio. Riteniamo che l’Amministrazione di sostegno sia uno strumento straordinario per il “dopo di noi”, non solo perché permette di dare certezze alla gestione economico-patrimoniale di un adulto fragile, ma anche perché parla implicitamente di “distanziamento”. Tuo figlio ha una disabilità e tu ne hai sempre gestito il patrimonio. Però ora quel figlio è maggiorenne, è un cittadino adulto, e per gestire i suoi beni ora devi essere nominato amministratore di sostegno. A tanti sembra un sopruso, un’inutile vessazione, ma si passa anche da qui per la costruzione di un futuro NON necessariamente legato alla presenza di un genitore.
Un altro punto fondamentale nel nostro approccio al dopo di noi è il concetto di “visione”. L’avvio dell’attività della Fondazione Dopo di Noi Bologna avveniva in un territorio dove la rete dei servizi per le persone con disabilità è di buon livello, dove la presenza dell’associazionismo, del volontariato e del privato sociale hanno numeri tra i primi posti in Italia.
Incontravo familiari che mi riferivano di essere contenti dei servizi che l’Ente pubblico offriva loro, di avere un ottimo rapporto con l’assistente sociale che spesso li aveva aiutati a risolvere dei problemi, che il figlio frequentava da anni un centro diurno, che l’estate faceva sempre quindici giorni di vacanza grazie al Comune … e gli stessi si dicevano angosciati dall’idea del futuro e del “dopo di noi”. Ma allora dove sta il problema? Non certo nella disponibilità di servizi, evidentemente.
Il fatto è che il “dopo di noi” NON è un problema di gestione, ma soprattutto di VISIONE. Come vorrei che vivesse mio figlio tra 15 anni? Cosa serve per realizzarlo? Dispongo degli strumenti giusti per farlo? Sono consapevole di quanto io e mio figlio cambieremo in questo tempo? …
È proprio di fronte a simili domande che acquista valore il ruolo di un soggetto terzo dedicato alla tematica del “dopo di noi”, che affianchi la famiglia in questo difficile percorso accompagnandola nella progressiva costruzione di una visione del futuro del figlio.
“Eh vabbè, 15 anni … poi vedremo”. No, il futuro è oggi! È da oggi che si inizia a costruire il suo domani.
Cosa c’entra tutto questo con la “progettazione partecipativa”? Tantissimo. Tra poco vi parlerò di progetti abitativi e di quanto abbiamo realizzato a Bologna. Lo abbiamo chiamato Sistema Residenziale Diffuso, che prima di essere un insieme di appartamenti è soprattutto una visione di futuro: immaginare il proprio figlio abitare insieme ad altri suoi pari, in un appartamento in un normale condominio, insieme ad altre 4/5 persone, in una dimensione familiare; un figlio che va a pranzo dai genitori la domenica, che riceve a casa familiari e amici, una convivenza che vede una partecipazione economica della famiglia commisurata alle possibilità e integrata dall’Ente pubblico e dalla Fondazione Dopo di Noi.
Un progetto con una visione di lungo periodo, ma fatto di tappe consapevoli e definite, che iniziano con un lavoro su più piani: il distanziamento dai genitori, l’acquisizione di una motivazione che è il presupposto di nuove autonomie, il lavoro sulle relazioni nel piccolo gruppo domestico, delle condivisioni delle scelte, dell’autodeterminazione e non da ultimo sulla costruzione presso i genitori di una nuova visione del figlio (ancora la visione!): più adulto, più capace, più motivato.
Progettazione partecipativa quindi perché necessariamente coinvolge la persona con disabilità, i suoi familiari, i referenti dell’Ente pubblico con i quali SEMPRE simili progetti devono essere condivisi, sia che l’Ente pubblico vi conferisca risorse e sia che non lo faccia (per ora).
L’esperienza della Fondazione, più da vicino
La Fondazione collabora con enti pubblici e privati per la realizzazione delle proprie attività. Si sostiene anche con risorse derivanti da raccolta fondi e quindi attraverso il coinvolgimento di altri soggetti (cittadini, aziende, fondazioni di erogazione). Nel 2007 fu avviato il primo appartamento dedicato a percorsi preparatori all’autonomia abitativa, Casa fuoriCasa, un luogo dove sperimentare la vita in piccolo gruppo, lontano (pochi chilometri) dalla casa di famiglia. Un luogo dove gli educatori possono osservare le capacità personali e relazionali effettive sia di giorno che di notte. Tutt’ora operativa, Casa fuoriCasa coinvolge mensilmente circa 25 persone con disabilità intellettiva suddivisi in 5 gruppi, ognuno con date di frequenza definite semestralmente.
Questa sperimentazione dura il tempo necessario – anche parecchi anni – affinché si creino le condizioni, le motivazioni (familiari e personali), e spesso l’occasione, per passare ad esperienze abitative stabili, insieme ad un gruppo già noto quindi e con motivazioni affini.
Negli anni questa sperimentazione ha dato luogo alla realizzazione di altri 5+1 gruppi appartamento dove oggi convivono stabilmente 20 persone, con una presenza di personale che varia dalle 24 ore/giorno a 12 ore settimanali.
DENOMINAZIONE |
AVVIO |
DESCRIZIONE |
---|---|---|
Casa fuoriCasa |
2007 |
sede di progetti preparatori per 25–28 persone/anno |
Casa Simo e Matte |
2014 |
un’abitazione privata dove convive una coppia |
Casa di Paola |
2015 |
gruppo appartamento di 3 persone |
Le ragazze di via Mazzini |
2015 |
gruppo appartamento di 4 persone |
Una Casa in San Donato |
2020 |
gruppo appartamento di 5 persone |
6 a Casa |
2023 |
gruppo appartamento di 6 persone |
Appartamento protetto |
2006 |
rivolto a nuclei composti da genitore anziano e figlia/o con disabilità |
Tutte queste case, con relativi inquilini, hanno storie differenti, ma in comune tre fattori:
- nascono dal basso, non una casa che si riempie con le persone che via via ne hanno bisogno, confidando nella loro compatibilità, ma persone che hanno già sperimentato la vita in comune e ora vogliono “mettere su casa” insieme;
- vivono grazie alla compartecipazione economica tra tutti i soggetti, ovvero le famiglie, la Fondazione Dopo di Noi, l’Ente pubblico; con modalità e tempi differenziati tra loro;
- sono promosse da un soggetto “terzo”, la Fondazione Dopo di Noi, che mette risorse professionali, progettuali ed economiche per la realizzazione del progetto. Non un semplice gestore quindi, ma un promotore, un tecnico e un garante che assicura, almeno per gli anni di avvio, continuità e solidità al progetto.
Ora vorrei concentrarmi su due aspetti:
- quanto tempo e quanti soldi servono per preparare la persona a poter intraprendere un serio progetto abitativo alternativo, ma parallelo, alla casa di famiglia?
- vale la pena investire quelle risorse e quella fatica in simili percorsi? Non è che a iniziare così in anticipo si vanno a impiegare risorse maggiori di quanto non succederebbe aspettando l’emergenza? Sembra un quesito meschino, ma per i familiari, e soprattutto per l’Ente pubblico, è una domanda cruciale.
Alcune esperienze
N.d.R.: Durante la relazione, il relatore proietta delle diapositive nelle quali si presentano dati salienti del percorso presso Fondazione Dopo di Noi Bologna di tre persone che oggi vivono stabilmente fuori casa, in tre differenti gruppi appartamento. Di seguito viene presentata una sintesi delle risultanze più significative dell’analisi.
Gianni inizia il percorso educativo propedeutico all’abitare nel 2017 a 28 anni. Il primo anno frequenta sabato e domenica, ma possiede oggettivamente buone autonomie, che unite al lavoro degli educatori, rendono possibile, dal secondo anno, la NON presenza di operatori durante la notte. Insieme al suo gruppo l’anno seguente frequenta dal lunedì al venerdì ogni 15 giorni, il terzo anno tutte le settimane. La sua storia, come quella di altri, vede un rallentamento (ma non l’interruzione) negli anni del Covid. Nel quinto anno, il 2022, Gianni e altri tre partecipanti vivono a Casa fuoriCasa tutti i giorni feriali e tutte le festività in cui la casa non è utilizzata da altri gruppi. Nel 2023, a 34 anni, Gianni inizia la convivenza stabile presso il gruppo appartamento 6 a Casa, insieme alle persone che avevano condiviso con lui il percorso negli ultimi due anni e ad altre tre con le quali già da un anno era stato avviato un percorso di saltuaria convivenza.
Nei sei anni precedenti Gianni e la sua famiglia hanno contribuito con 11.700 euro, 1.960 euro l’anno. L’Ente pubblico, attraverso una convenzione con la Fondazione, ha contribuito con 12.850 euro, 2.140 euro l’anno, mentre Fondazione Dopo di Noi Bologna ha contribuito con 2.700 euro complessivi mettendo a disposizione Casa fuoriCasa.
Ora Gianni vive a 6 a Casa sette giorni su sette: alla famiglia costa 9.000 euro l’anno (tutto incluso), l’Ente pubblico contribuisce con 7.080 euro e la Fondazione con 1.500 euro nel primo anno, scesi a 1.000 nel secondo man mano che la convivenza entra a regime. La Fondazione, attraverso specifiche iniziative di raccolta fondi, ha messo a disposizione le risorse per la ristrutturazione e l’arredo.
La storia di Luca è simile a quella di Gianni, ma Luca ha autonomie ben inferiori e necessita di essere supportato in tutte le azioni quotidiane. Il suo percorso educativo inizia nel 2009 a 34 anni e dura 11 anni attraverso la frequenza a differenti gruppi sempre nel fine settimana. Finalmente, si vengono a creare le condizioni per la realizzazione di un gruppo appartamento per persone con disabilità “grave”. Non soffermiamoci sulle enormi resistenze del padre vedovo, unico familiare. Luca, dal 2020, a 46 anni, ha iniziato la convivenza in Una Casa in San Donato, con una presenza operativa sulle 24 ore, dove lui potrà vivere per sempre.
Negli 11 anni precedenti al gruppo appartamento la famiglia ha investito 1.030 euro/anno, l’Ente pubblico 1.800 euro/anno, la Fondazione 550 euro/anno e la disponibilità di Casa fuoriCasa. Oggi il padre di Luca lo vede condurre una vita piena di stimoli e relazioni alla quale contribuisce con 9.850 euro/anno, tutto incluso; l’Ente pubblico partecipa con 20.400 euro/anno e la Fondazione con 5.000 euro/anno nei primi due anni, ridotti ora a zero affinando la gestione. La Fondazione, attraverso specifiche iniziative di raccolta fondi, ha messo a disposizione le risorse per la ristrutturazione e l’arredo.
La storia di Elisa ha un percorso completamente diverso dalle precedenti. Due famiglie “illuminate” che da subito sposano l’idea che sia opportuno per le loro figlie, amiche e con Sindrome di Down, avviare un’esperienza abitativa. Chiedono aiuto alla Fondazione, insieme si studia il progetto, si cerca l’appartamento, si cercano le risorse per sistemarlo. A 34 anni, nel 2015, Elisa inizia a vivere a Casa di Paola. Le due partecipanti hanno davvero buone capacità, ma Eleonora non ha mai dormito senza la presenza di adulti di riferimento. Il lavoro delle educatrici unisce professionalità, affetto e determinazione e bastano pochi mesi perché la presenza notturna non sia più necessaria. L’Ente pubblico approva e condivide il progetto, ma non vi destina risorse perché Elisa ha risorse familiari adeguate e, in definitiva, si tratta di una progettualità privata.
L’appartamento ha tre posti, uno viene da subito messo a disposizione dell’Ente pubblico, con il vincolo che la nuova partecipante fosse non solo adeguata, ma anche gradita alle prime due inquiline. Dopo tre anni una terza inquilina condivise la casa.
Per i primi 7 anni Elisa e la sua famiglia hanno contribuito con 5.500 euro/anno, l’Ente pubblico con zero e la Fondazione con 850 euro/anno oltre alle risorse per sistemare e arredare la casa (offerta in comodato gratuito da un’altra famiglia). Dal 2022 l’Ente pubblico ridefinisce la propria partecipazione e attraverso un contratto con la Fondazione copre ora la parte relativa alle spese educative. Oggi Elisa contribuisce con 3.500 euro/anno, l’Ente Pubblico con 4.800 euro/anno e la Fondazione non sostiene più alcun costo. Il gruppo appartamento è sostenibile nel tempo, con quote contenute da parte di tutti i soggetti.
Alcune riflessioni conclusive
Non intendo entrare nel merito di tutte le cifre che ho elencato. Mi sembra importante affermare che i costi appena descritti non sono molto diversi da quello che costa qualsiasi figlio avviato a un il proprio percorso di vita adulta. Come un figlio per il quale la famiglia fa qualche sforzo in più per garantire, ad esempio, un certo percorso di studi. Lo stesso deve essere anche per un giovane con disabilità. Occorre investire sul suo presente per poter avere una situazione migliore in futuro. Occorre dargli fiducia e cercare fuori dalle mura domestiche chi può aiutarci a creare per lui un futuro sereno e certo.
Se questo è vero per le famiglie non lo è di meno per l’Ente pubblico. Investire oggi cifre modeste per percorsi educativi personalizzati collegati a progetti di residenzialità, permetterà di prevenire le emergenze, a beneficio di tutti i soggetti coinvolti e con una migliore gestione della spesa.
Sono ormai più d’uno i partecipanti ai nostri progetti abitativi rimasti orfani, senza che questo abbia creato sconvolgimenti nella loro vita. Questo a vantaggio dei diretti interessati, la cui vita, a parte il dispiacere momentaneo, è proceduta come sempre. A vantaggio dei loro fratelli e sorelle, per i quali le proprie vite familiari non verranno ulteriormente sconvolte. A vantaggio, permettetemi di dirlo, dei genitori stessi, perché è capitato che alcuni di loro fossero riusciti ad esprimermi la serenità di vedere il proprio figlio fragile “sistemato” e con un buon futuro davanti. Si può fare.