Dalla Casa all’abitare

L’approccio multidisciplinare e l’integrazione degli sguardi


Raffaele Gnocchi | 23 Settembre 2024

Gli strumenti tradizionali di politica abitativa (l’alloggio di edilizia residenziale pubblica, i contributi per l’affitto) per la loro strutturale scarsità e indisponibilità da diversi anni sono in grado di rispondere in modo molto marginale alle domande abitative di chi si trova in difficoltà. Per rispondere a queste situazioni, i Comuni, spesso in collaborazione con il terzo settore, si adoperano per individuare soluzioni alternative o crearne di nuove, non sempre peraltro accessibili a tutti. Le competenze, le risorse, i modelli, gli approcci adottati in queste soluzioni si discostano fortemente dalle misure tradizionali, con riferimento agli standard, alle modalità di funzionamento ma soprattutto alle competenze messe in campo. Si può affermare che le modalità di gestione delle cosiddette “emergenze abitative”, nel loro discostarsi dalle misure tradizionali, aprano il campo a nuove possibilità di intervento, a nuove competenze, a nuovi modelli che, in alcuni casi, quando non sono concepiti in modo riduzionistico, possono portare un contributo importante e innovativo per affrontare la questione abitativa attuale e il ripensamento, necessario, delle politiche abitative tradizionali. Il contributo che segue1, a partire dall’esperienza di un pedagogista impegnato sui temi dell’abitare nell’ambito lodigiano, prova a fornire una cornice interpretativa tanto attuale quanto originale alla questione abitativa, offrendo interessanti e utili spunti di riflessione e azione per gli operatori e i policy maker.

 

Si parla molto del problema casa. Il tema è dibattuto da nord a sud del paese, da esperti e non che, tuttavia, nella propria vita hanno dovuto confrontarsi con la questione. Da più parti sale l’allarme per i numeri che giorno dopo giorno crescono: in Italia nel 2022 si contano 41.8492 provvedimenti di sfratto emessi dai tribunali italiani. A questo dato si aggiunga che le richieste di esecuzione presentate all’ufficiale giudiziario ammontano a 99.316. E non tutti i soggetti “usciti di casa” (30.385 gli sfratti eseguiti nello stesso anno con l’intervento dell’Ufficiale giudiziario) hanno trovato una degna soluzione. Le politiche abitative e quelle sociali sono il possibile luogo di risposta all’emergenza abitativa, ma anche alle varie forme di povertà, da quelle più lievi a quelle estreme (Gnocchi 2009).

Nell’area della gestione delle emergenze e delle povertà abitative, si legge con più forza come la questione casa compendi sia questioni strutturali sia questioni relazionali. Abitare esprime compiutamente l’insieme delle dinamiche interne ed esterne che la casa, o forse dovremmo dire l’abitare, veicola. Il profilo delle persone che si rivolgono ai servizi chiedendo supporto ci dice che stanno avvenendo cambiamenti strutturali, culturali, economici che generano profili di domanda mutabili, ma anche difficilmente intellegibili, come se mancassero i luoghi e gli strumenti concettuali per comprenderli e accompagnarli. Frequentemente si accusa il sistema di “non normare” adeguatamente la questione individuando strumenti ad hoc ma vi sono alcune questioni aperte che prescindono dalle cornici normative:

  • quando parliamo di emergenza abitativa ci si deve riferire sempre e comunque a casi sociali?
  • vanno sempre accompagnati con gli strumenti del servizio sociale?
  • deve occuparsene sempre e solo il servizio sociale?

Da un lato permane la questione degli standard delle politiche abitative e quindi la ricerca di una lettura quantitativa del fenomeno “povertà abitativa” con le relative risposte in termini di “offerta abitativa”. Anche se l’impressione è che i sistemi di welfare siano sempre un poco in rincorsa ma anche che manchi una flessibilità strutturale per affiancare le questioni.

Dall’altro si apre la questione delle competenze.

Competenze tecniche si devono affiancare a competenze relazionali. In tal senso la dimensione multidisciplinare si caratterizza come luogo di scambio epistemologico, ma soprattutto quale luogo di ri-definizione di un paradigma sia interpretativo sia operativo. Un piccolo passo in più. La questione casa compendia sia questioni strutturali sia questioni relazionali. Abitare esprime compiutamente l’insieme delle dinamiche interne ed esterne che la casa, o forse dovremmo dire l’abitare, veicola.Il tema casa è una questione che implica relazioni di accompagnamento e aiuto perché “la casa può creare un problema o può risolverlo, può rendere sopportabile una situazione intollerabile, può contribuire a rendere piacevole e serena la nostra esistenza o gravarla fino al punto da rimanerne schiacciati” (Castelli Gattinara, 1981, p. 9).

In tal senso “per definire una condizione di piena abitabilità, debbano essere soddisfatti alcuni criteri relativi a tre aree: fisica (uno spazio abitativo adeguato sul quale una persona e la sua famiglia possano esercitare un diritto di esclusività); sociale (la possibilità di mantenere in quello spazio relazioni soddisfacenti e riservate); giuridica (avere un titolo legale riconosciuto che ne permetta il pieno godimento).” (Biasin 2022, p. 29).

Ma è anche necessario declinare il tema come esperienza trasformativa, come luogo di investimento pedagogico, cioè, ambito nel quale le persone sono accompagnate dal momento che “abitare è un’esperienza cruciale perché genera competenze tacite e informali, sollecita la capacità di apprendere da sé e dall’esperienza (Reggio, 2010) attivando da essa una conoscenza per il futuro, per ricostruire e condividere con gli altri il (proprio) mondo.

Senza spingersi troppo in là con le riflessioni ci pare che un tema cruciale legato all’”esserci” in un luogo che diviene “il luogo” dove depositare tutto se stessi sia l’Essere solidali secondo l’accezione proposta da Jollien (2001) per il quale nelle esperienze della vita la prossimità con l’altro parte da una differenza evidente, eppure nella comune sorte ci si può ritrovare al fianco di chi transita per valli oscure. “Nulla ci univa, ma tutto ci riuniva”. L’abitare come dato simbolico! Bidou (2012) ricorda che Abitare è risiedere; l’individuo ha un domicilio, un territorio come ambito di espressione e di azione; in quanto residente, la persona sviluppa pratiche dello spazio investite di valori, significati, riconoscimento.

Abitare è dimorare e presuppone una sorta di ancoraggio fisico, temporale e psicologico per cui l’individuo è capace di appropriarsi di un luogo, sapendo gestirne i differenti aspetti sociali, tecnici, economici, simbolici al di là dello spazio occupato per viverci, secondo modalità materiali e ideali (uso degli spazi, routines, senso di comunità, memoria, appartenenza, rappresentazioni).

Abitare è anche essere-al-mondo che richiama alla dimensione planetaria e a quella esistenziale perché riguarda le molteplici interazioni (formative, trasformative, deformanti) che si giocano tra l’individuo e il suo ambiente.

L’abitare è infatti un saper stare in un luogo che fornisce un supporto identitario.

Per questo ci pare che, lo spazio abitativo non è solo mero contenitore bensì è il “terzo educatore” (Malaguzzi, 2010), in quanto svolge un’azione paidetica che si iscrive in una progettualità educativa che può far emergere capacitazioni personali, competenze collettive e processi di (ri)significazione a tutto vantaggio delle persone abitanti (Biasin, 2022).

Simeone (2002) ci ricorda come l’approccio educativo al tema dell’esercizio dell’adultità chiede il passaggio da interventi centrati sul problema a interventi centrati sulle capacità e sulle competenze personali. Questa è una possibile chiave di lettura, ma anche una possibile chiave di volta circa la significazione dei processi di accompagnamento all’abitare.

Si potrebbe concludere dicendo che la persona (le persone), nell’atto di abitare evidenzia i legami ontologici e le funzioni epistemologiche nella sua relazione con gli altri, nella messa in prossimità/a distanza dal mondo. L’abitare ha dunque a che fare con le dimensioni esistenziali, politiche, antropologiche e pedagogiche della definizione di sé del soggetto con i luoghi di vita, di lavoro, di relazione. La dimensione personale è quindi sia personale sia collettiva.

Rigenerare le persone in un cammino di autonomia abitativa significa ri-cucire tutte le dimensioni che le appartengono integrando i limiti di cui la persona è portatrice in una prospettiva evolutiva, personale e responsabile (Gnocchi – Viganò, 2023).

  1. Il contributo prende spunto dall’intervento presentato nel 2024 in occasione della Comunità di Pratiche sul Welfare abitativo organizzato da IRS e KCity, e della Comunità di Pratiche sull’Inclusione sociale delle famiglie fragili, promossa da Regione Toscana, in collaborazione con Federsanità-Anci Toscana e IRS.
  2. Fonte Ministero dell’Interno, dati anno 2022.