Ripercorrere i problemi della giustizia italiana1 richiede necessariamente di parlare anche della situazione delle carceri italiane. È un argomento assai triste in se. Ma lo è anche perché, assieme alla situazione pessima della giustizia civile, il sistema carcerario italiano è l’altro anello più o meno ottocentesco della catena della giustizia nel nostro Paese.
L’Italia ha, da tempo immemorabile, carceri sovraffollate. A causa di un numero elevato di detenuti? O perché i posti disponibili nelle carceri sono insufficienti? Oppure perché in Italia si fa scarso uso di modalità di detenzione alternative al carcere? Come altre volte l’analisi verrà svolta facendo molto uso di metodo comparativo: l’Italia è posta a confronto con i Paesi più rappresentativi dell’Europa occidentale.
L’Italia non ha una popolazione carceraria particolarmente elevata rispetto ad altri Paesi europei. La sovrappopolazione carceraria in Italia deriva quindi quasi solo dal fatto che l’Italia ha poche prigioni, molte delle quali per giunta vecchie e malsane. Data questa situazione l’Italia avrebbe tutto da guadagnare dal fare ricorso a misure alternative di detenzione. Per molti reati (non certo per tutti), tali misure sono infatti uno strumento da preferire rispetto alla detenzione perché molto meno costose e perché inducono una minor recidiva di reato. Ma in Italia si fa ricorso a misure alternative di detenzione in modo assai più contenuto rispetto a Francia, Olanda, Belgio e Gran Bretagna. Lasciando così anche del tutto scoperte le possibilità di recupero nei confronti di chi commette reati minori: detenzione e spaccio di droga da una parte (reato per il quale di solito si è condannati al carcere), e dall’altra furti e borseggi (reati che oggi restano largamente impuniti).
Il Consiglio Europeo e la Corte Europea dei diritti umani hanno più e più volte chiesto all’Italia di adeguare il sistema carcerario agli standard minimi previsti a livello europeo. Finora con poca soddisfazione. Il Consiglio Europeo apre il suo rapporto redatto a seguito di sopralluogo effettuato in Italia nel 2019, con le seguenti affermazioni: “l’aumento del sovraffollamento nelle carceri italiane negli anni più recenti è conseguenza dell’inasprimento di una serie di pene a partire dal 2008 (per reati di droga soprattutto, aggiunta mia) combinato con il crescere di detenuti soggetti a condanne brevi, detenuti che potrebbero essere sottoposti a modalità alternative di detenzione, ma che rimangono in carcere per mancanza di personale in grado di gestire in modo tempestivo il loro passaggio a tali modalità”. Ogni commento è inutile.
Così come si può solo ricordare, in modo quasi sconsolato, la situazione reale delle strutture detentive in Italia. La gran maggioranza dei penitenziari italiani sono segnati da un degrado strutturale e da precarietà di ogni tipo, a causa soprattutto di una endemica insufficienza di manutenzione. Intere sezioni detentive hanno funzionalità ridotta, impianti tecnologici malconci e soggetti a frequenti rotture, nonché impianti igienico sanitari spesso fatiscenti. Non parliamo di Internet, che non è disponibile nella stragrande maggioranza degli istituti di detenzione. E non parliamo della facilità con la quale sovrappopolazione oggi significa percentuali elevate di contagi Covid-19.
Ma c’è qualcosa forse ancora più grave di un carcere le cui strutture sono malmesse. All’articolo 27 la nostra Costituzione recita:
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. La realtà è assai diversa. Basta guardare alla composizione del personale che lavora nelle strutture di detenzione. In Italia il 90 per cento del personale delle strutture di detenzione è addetto alle pure funzioni di custodia. Nella media degli Stati che compongono il Consiglio di Europa questo personale è pari al 69 per cento. Il personale con mansioni specializzate è quindi pari al 10 per cento in Italia e al 31 per cento nella media degli altri Paesi. In particolare, la somma delle persone in grado di occuparsi della salute dei detenuti, dei loro problemi sociali e psicologici, della loro formazione al lavoro in Italia equivale a meno del 3% del personale, contro una media del 15% negli altri Paesi del Consiglio d’Europa.
Conclusione amara: il carcere in Italia continua ad essere uno dei lati più oscuri e più incontrollati della nostra società. Detto in maniera forte, come fosse la fogna del nostro sistema penale. Una distanza abissale da quanto prevede la nostra Costituzione.
L’analisi che segue fa ampio uso di metodo comparativo ponendo l’Italia a confronto con i Paesi più rappresentativi dell’Europa occidentale.
Numero di detenuti
I detenuti italiani in strutture carcerarie sono 100 per 100.000 abitanti, uno ogni mille abitanti. Nella media di 12 Paesi europei essi sono 94. Due dei Paesi maggiori, Gran Bretagna e Spagna, hanno un numero di detenuti decisamente più elevato (circa il 30% in più rispetto all’Italia). Nei Paesi scandinavi e in Germania, per contro, i detenuti sono circa il 30-40% in meno. Nella Tavola 1 è riportato anche il numero dei detenuti nel Nord-America. Mentre il Canada ha un numero di detenuti poco lontano dalla media europea (un numero quasi uguale a quello britannico), gli Stati Uniti hanno una politica di incarcerazione di gran lunga più sostenuta, che porta a un numero di detenuti pari a circa sette volte la media europea.
Occorre ricordare che la popolazione carceraria italiana nel 2019 è salita di circa 6.000 unità rispetto al 2016, quando il numero dei detenuti italiani era pari a 90 per 100.000, ed era leggermente inferiore alla media europea di quell’anno (91).
Tavola 1
PAESI | № detenuti 2019 per 100.000 abitanti |
---|---|
Olanda | 63 |
Svezia | 68 |
Danimarca | 69 |
Germania | 69 |
Svizzera | 80 |
Austria | 95 |
Belgio | 95 |
Italia | 100 |
Francia | 105 |
Portogallo | 125 |
Spagna | 126 |
Gran Bretagna | 132 |
Media 12 Paesi | 94 |
Canada | 131 |
Stati Uniti | 639 |
Fonti: World Prison Brief 2019 e XVI Rapporto Antigone
Saturazione dei posti di detenzione
Nonostante un numero non particolarmente elevato di detenuti, l’Italia registra da tempo una situazione molto critica per quanto riguarda la saturazione dei posti di detenzione. Situazione che più volte ha portato in passato a provvedimenti di amnistia, che non sono ovviamente un modo lungimirante per risolvere il problema. Come riportato nella Tavola 2, l’indice di saturazione dei posti disponibili nel 2016 era pari al 90% nell’insieme di 12 Paesi europei. In Italia esso era invece pari a 107%, il secondo peggiore. Solo il Belgio ci superava, con un indice di saturazione superiore al 121%. Olanda Spagna e Germania erano i tre Paesi più “virtuosi” con un indice di saturazione inferiore all’80%. Nel 2019 l’indice di saturazione delle carceri italiane è salito a 120. Il sovraffollamento reale nelle carceri italiane è però ancora peggiore. Se si tiene conto dei posti effettivamente disponibili il rapporto sale, secondo il XVI rapporto Antigone, quasi a 130. Esso sarebbe particolarmente grave in Puglia (154), Lombardia (141), Friuli-VG (139), Liguria (138), Veneto (136). Sono situazioni del tutto incivili. Ancor più inaccettabili in un periodo di epidemia Covid-19.
Tavola 2
PAESI | % di saturazione 2016 dei posti di detenzione |
---|---|
Olanda | 74 |
Spagna | 78 |
Germania | 79 |
Portogallo | 87 |
Svizzera | 92 |
Austria | 96 |
Francia | 97 |
Danimarca | 99 |
Svezia | 102 |
Gran Bretagna | 104 |
Italia | 107 |
Belgio | 121 |
Media 12 Paesi | 95 |
Canada | 102 |
Stati Uniti | 100 |
Fonte: World Prison Brief 2019
Forme alternative di detenzione
In ogni Paese si fa ampio ricorso a forme alternative di detenzione, soprattutto nei confronti di persone che hanno commesso reati non violenti o di rilevanza penale non elevata. Sono alternative variamente modulate: libertà vigilata, detenzione domiciliare, detenzione parziale (solo notturna), affido a comunità o luoghi di cura specializzati, assegnamento a lavori socialmente utili. I vantaggi delle forme alternative di detenzione sono due:
- le persone sottoposte a forme alternative di detenzione presentano ovunque in media un tasso di recidiva penale molto più bassa rispetto alle persone che scontano la loro pena in carcere.
- il costo di quasi tutte le forme alternative di detenzione è in media una frazione del costo della detenzione carceraria; le loro condizioni ambientali sono mediamente anche molto più decorose.
In Italia il numero di persone per le quali si ricorre a forme alternative di detenzione è inferiore di quasi il 70 per cento rispetto alla media di 11 Paesi europei (non è stato possibile reperire il dato relativo alla Germania). Ogni Paese ha sue normative particolari, motivo per il quale il confronto va fatto con attenzione. Ma va riscontrato che, tra i Paesi maggiori, solo la Spagna fa un uso limitato di forme di detenzione alternativa, analogo a quanto succede in Italia. Francia ne fa un uso doppio rispetto all’Italia, Gran Bretagna un uso ancora più elevato. Francia e Gran Bretagna sono Paesi in cui i cosiddetti reati ad elevata frequenza (furti e droga) hanno un peso non dissimile da quello che si verifica in Italia.
Tavola 3
PAESI | Persone sotto supervisione extra-carceraria per 100.000 abitanti |
---|---|
Svizzera | 50 |
Svezia | 100 |
Spagna | 128 |
Italia | 135 |
Danimarca | 139 |
Austria | 166 |
Olanda | 205 |
Germania | n.a. |
Francia | 262 |
Portogallo | 298 |
Gran Bretagna | 315 |
Belgio | 447 |
Media 11 Paesi | 204 |
Canada* | 368 |
Stati Uniti** | 1.230 |
Fonti: SPACE-II_Final_report_2019; * The Canadian Centre for Justice Statistics – 2019; ** Prison Policy Initiative – 2018
Purtroppo, per molti reati relativi al commercio e consumo di droghe ora in Italia si ricorre quasi solo alla detenzione carceraria. Anzi, per detenzione e spaccio di stupefacenti l’Italia applica le condanne al carcere più severe tra tutti i maggiori Paesi dell’Europa occidentale. I detenuti in carcere per reati di droga in Italia sono il 32% della popolazione carceraria totale, contro il 18% in Spagna ed in Francia, il 15% in Inghilterra ed il 13% in Germania. Come è noto in materia di narco-traffico raramente vengono colpiti i membri delle grandi organizzazioni criminali che lo gestiscono. Sono colpite quasi solo le due pedine finali di quel mercato: lo spacciatore al dettaglio e il consumatore. Ad essere arrestate e detenute sono di conseguenza persone con biografie complicate dal punto di vista personale, sanitario e sociale, ma spesso con un profilo criminale di scarso rilievo. Se condannate al carcere, queste persone escono quasi sempre così condizionate da rendere quasi automatica la recidiva degli stessi reati.
Per contro per chi commette furti o scippi in Italia vi è invece una frequente restituzione integrale allo stato di libertà senza alcun periodo di controllo e senza alcun vincolo (nemmeno per i più giovani) di permanenza in strutture in grado di tentare una loro “riconversione”. L’apparato di giustizia (legislazione inclusa) dà una rilevanza marginale al perseguimento di questo tipo di reati, proprio quelli che maggiormente contribuiscono a rendere l’Italia il Paese con il più elevato indice di insicurezza tra i maggiori Paesi dell’Europa occidentale. Solo per una minuscola frazione di questi reati (si ipotizza non sia superiore al 5%) viene comunque individuato il colpevole.
Conclusioni
Come si è visto l’Italia ha una popolazione carceraria di poco superiore alla media di 12 Paesi europei. Data la quasi storica incapacità del nostro Paese di dotarsi di strutture di detenzione quanto meno non indecenti, ci sarebbe molto da guadagnare nel fare ricorso a misure alternative di detenzione in misura analoga a quanto fanno altri Paesi europei dove l’occorrenza di reati è paragonabile a quanto avviene in Italia. Per molti reati (non certo per tutti), tali misure sono infatti uno strumento da preferire rispetto alla detenzione perché decisamente meno costose e soprattutto perché inducono una minor tasso di recidiva.
Ma In Italia, come si è visto, si fa ricorso a misure alternative di detenzione in modo assai più contenuto rispetto a Francia, Olanda, Belgio e Gran Bretagna. Lasciando così anche inevasa la possibilità di effettuare un maggiore recupero soprattutto nei confronti di chi è colpevole di reati minori: detenzione e spaccio di droga da una parte (reato per il quale di solito si è condannati al carcere), e dall’altra furti e borseggi (reati che oggi restano invece largamente impuniti).
A conferma di quanto ora detto riprendiamo il rapporto del Consiglio Europeo citato in apertura che imputa l’aumento del sovraffollamento nelle carceri italiane all’inasprimento di una serie di pene a partire dal 2008 combinato con il crescere di detenuti soggetti a condanne brevi. “Detenuti che potrebbero essere sottoposti a modalità alternative di detenzione, ma che rimangono in carcere per mancanza di personale in grado di gestire in modo tempestivo il loro passaggio a tali modalità”. Frasi pesanti, che conviene riportare senza commenti.
Così come si può solo riportare, in modo quasi sconsolato, la situazione reale di gran parte delle strutture detentive in Italia. La gran maggioranza dei penitenziari italiani sono segnati da un degrado strutturale e da precarietà di ogni tipo, a causa soprattutto di una endemica insufficienza di manutenzione. Intere sezioni detentive hanno funzionalità ridotta, impianti tecnologici malconci e soggetti a frequenti rotture, nonché impianti igienico sanitari spesso fatiscenti. Non parliamo di Internet, che non è disponibile nella stragrande maggioranza degli istituti di detenzione.
Ma c’è qualcosa forse ancora più grave di un carcere le cui strutture sono malmesse. Nella media europea del 2015 (ultimo censimento fatto) riferita ai 47 Paesi che fan parte del Consiglio d’Europa, gli educatori erano il 3,5% delle persone che lavorano in strutture detentive, in Italia il 2,2%. I medici e gli infermieri erano il 4,3% del personale, in Italia lo 0,2%. Gli assistenti sociali e gli psicologi erano il 2,2% percento in Europa, in Italia lo 0,1%. Ed infine i formatori in Europa sono il 4,8%, mentre in Italia non esistono formatori in carcere. Per contro risulta che in Italia il 90 per cento del personale era personale “generico” di custodia. Nella media degli Stati che compongono il Consiglio di Europa questo personale era pari al 69 per cento.
Ultima annotazione. Che sembra tecnica, ma non intende esserlo. Si dice spesso che il 68% dei carcerati diventa rapidamente recidivo dopo aver scontato la pena in carcere. Mentre per le persone affidate a misure alternative di detenzione il tasso di recidiva sarebbe pari solo al 20%. Si tratta di una differenza gigantesca dovuta ovviamente anche al fatto che essa fa riferimento a due popolazioni con un profilo criminale molto differenziato. Ma proprio per questo motivo è fondamentale evitare una mescolanza detentiva tra popolazioni che sono suscettibili di effettivo recupero in percentuali molto diverse. Ma la cosa non sembra interessare gran chè. Le percentuali di recidiva che sono state appena citate risalgono purtroppo a una ricerca “privata” fatta nel 2007. Nulla di più recente o di più ufficiale è dato sapere. Nel 2012 era stato annunciato dal Ministero della Giustizia l’avvio di una ricerca per avere dati ufficiali e aggiornati sul fenomeno della recidiva dopo il periodo di detenzione, ma ad oggi non se ne è più avuta notizia. Anche su questo ogni commento è superfluo.
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