Di fronte alla nuova emergenza Covid, diamo spazio agli operatori sanitari immigrati


Maurizio Ambrosini | 13 Novembre 2020

Il personale sanitario rappresenta nel mondo il maggior fenomeno di mobilità internazionale dell’immigrazione professionalmente qualificata. Secondo l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), comprendendo anche l’assistenza agli anziani, il flusso transfrontaliero interessa circa 100 milioni persone, prevalentemente donne.

I più coinvolti in questo movimento sono i paesi anglofoni in via di sviluppo, come le Filippine e l’India, che forniscono infermieri e infermiere ai paesi anglofoni ricchi, Stati Uniti in testa. Dalle Filippine parte circa un quarto del personale infermieristico che emigra oltre confine a livello mondiale. L’80% si dirige verso gli Stati Uniti, spesso dopo aver effettuato tappe intermedie in Medio Oriente o in Sud Africa.

Australia, Regno Unito, Canada, Nuova Zelanda, Irlanda, partecipano a questo drenaggio di risorse di cura. I paesi sviluppati dell’Estremo Oriente, come Giappone, Corea, Singapore, a loro volta attraggono personale sanitario dai loro vicini meno sviluppati.

Per limitarci ai due casi principali, negli Stati Uniti un rapporto del Center for Migration Studies di New York,1 uscito nella scorsa primavera, ha reso noto che è arrivato dall’estero il 16% dei lavoratori dei servizi sanitari a livello nazionale, con picchi  del 33% nello Stato di New York e del 32% in California. Nel Regno Unito, primo importatore europeo, statistiche non recentissime mostrano che circa un quarto degli infermieri sono stranieri, ma in certe aree superano il 50%.

La stessa Africa fornisce medici e altro personale sanitario al resto del mondo, tanto che si stima ci siano più medici africani fuori dall’Africa che in Africa. Il Nord-Africa arabo, per esempio sopperisce alla gravi carenze di personale sanitario dei paesi del Golfo Persico. Il Ghana anglofono perde invece a vantaggio dell’Occidente il personale sulla cui formazione ha investito ingenti risorse. Gli operatori sanitari migrano anche all’interno dell’Africa, da paesi più poveri a paesi che possono offrire stipendi migliori: per esempio, dalla Repubblica Democratica del Congo verso il Kenya, dal Kenya verso il Sud-Africa e la Namibia.

In Europa sono invece attualmente soprattutto i paesi dell’Est a provvedere ai fabbisogni di operatori sanitari dei paesi dell’Ovest, con la Germania in prima fila nell’alimentare questo genere di flusso. Non stupisce quindi che da anni si parli di “pesca di frodo” di medici, infermieri e tecnici da parte dei paesi più forti a danno dei più deboli, benché parzialmente compensata dall’invio di rimesse in direzione opposta.

Il fenomeno esiste anche in Italia, sebbene se ne parli assai poco, anche in temi di pandemia e di carenza di personale nelle corsie degli ospedali. Secondo l’AMSI (Associazione Medici Stranieri in Italia), il personale sanitario di origine straniera operante in Italia assomma a 77.500  persone, tra cui 22.000 medici e 38.000 infermieri, a cui vanno aggiunti con numeri inferiori  fisioterapisti, farmacisti, odontoiatri e altri professionisti della sanità. L’Italia è la seconda destinazione per gli infermieri rumeni in Europa, dopo il Regno Unito. Nel panorama nazionale spicca il caso della Lombardia, in cui un infermiere su tre ha origini straniere, mentre la regione perde personale infermieristico a vantaggio della vicina Svizzera.

 

Il grande paradosso consiste nel fatto che malgrado gli allarmi sui fabbisogni di personale insoddisfatti (la FNOPI, Federazione degli Ordini delle Professioni Infermieristiche ha stimato qualche anno fa un deficit di 70.000 infermieri, destinato ad aumentare nel tempo), il sistema pubblico rimane sostanzialmente inaccessibile per i professionisti arrivati dall’estero: solo il 10% è riuscito a entrare nella sanità pubblica, mentre l’80% lavora in ospedali e cliniche private.

Questa divaricazione tra pubblico e privato sorprende un po’ giacché nel 2013 una legge, recependo le direttive europee, aveva abolito la norma risalente al periodo fascista che escludeva gli stranieri dai concorsi pubblici. La liberalizzazione non vale però per i dirigenti, come per i giudici e i vertici delle forze di sicurezza: chi chiede di occupare questi posti deve essere italiano. Il guaio è che i medici, secondo un DPCM del 1994, sono considerati dirigenti. Quindi niente medici con cittadinanza straniera nei reparti degli ospedali pubblici.

 

La crisi del sistema sanitario provocata dal Covid-19 sembrava aver smosso le acque, in ossequio al principio secondo cui non di rado occorre la spinta di un emergenza per prendere decisioni da tempo necessarie. Nel decreto Cura Italia è stata introdotta all’art. 13 la possibilità di esercitare professioni sanitarie nel nostro paese con un titolo conseguito all’estero, secondo “specifiche direttive dell’Unione Europea”(art. 13). Ciò che più conta, le Regioni sono state autorizzate ad assumere temporaneamente i professionisti formati all’estero, aprendo loro le porte del sistema pubblico. Sta di fatto però che l’ASGI (Associazione di Studi Giuridici sull’Immigrazione) ha scoperto, controllando i bandi di concorso usciti in questi mesi, che nessuno recepisce la norma che ammetterebbe gli operatori sanitari formati all’estero. Non è dato sapere se il problema derivi dall’abitudine a riprodurre con il “copia e incolla” i testi dei bandi precedenti, dalla scarsa chiarezza della norma o dalla riluttanza a leggere, interpretare e applicare un testo legislativo di 77 pagine. Difficile però eludere il sospetto di resistenze corporative, ossia della tenace resistenza ad aprire agli stranieri le porte dell’impiego qualificato.

Un altro paradosso infatti rimanda a una situazione in cui comunque gli operatori sanitari di origine straniera in forme precarie, come professionisti esterni, mediante intermediari come le cooperative o assunti da strutture sanitarie private, hanno contribuito a fronteggiare la prima fase dell’emergenza Covid. Due medici, Samar Sinjab e Manuel Efrain Perez, hanno purtroppo perso la vita. Altri, dopo aver trovato un’assunzione durante i mesi più cupi della scorsa primavera, sono stati licenziati quando l’emergenza sembrava passata. Forse ora verranno riassunti, in base a un cinico approccio “usa e getta”. Allo stesso modo, l’ampio risalto accordato all’arrivo in soccorso del nostro paese di medici cinesi, cubani e albanesi, non si è tradotto in un’apertura della sanità pubblica ai loro connazionali e colleghi già presenti e operanti in Italia da anni.

 

Se di fronte alla pandemia stride la contraddizione tra fabbisogni inevasi e operatori sanitari sottoutilizzati, il problema sottostante riguarda la sostanziale indifferenza delle nostre politiche migratorie nei confronti dell’immigrazione qualificata. Mentre i paesi sviluppati competono nell’attrarre personale straniero in possesso di competenze richieste dal sistema economico e sociale, con la sanità in primo piano, l’Italia si è specializzata nell’inclusione di lavoratori con un profilo professionale scarsamente qualificato. Le ripetute sanatorie per le lavoratrici addette a compiti assistenziali alle dipendenze delle famiglie sono un po’ il simbolo, oltre che la risultante di questo approccio sul piano delle politiche pubbliche. Per citare un altro esempio, gli avari decreti flussi che si susseguono ogni anno offrendo 30.850 ingressi, hanno al cuore i fabbisogni di lavoro stagionale (18.000 visti), poi l’esigenza di concedere pacchetti di permessi di soggiorno ai governi che collaborano per i rimpatri (6.000 visti). La domanda di operatori sanitari invece non compare, nemmeno nell’ultimo decreto flussi uscito a settembre. Come se nel frattempo non fosse successa una catastrofe sanitaria.

Ora che la pandemia ha ripreso a infuriare e le forze per fronteggiarla scarseggiano, sarebbe più che mai il caso di cambiare approccio, rimuovere le resistenze e fare finalmente spazio, anche nel sistema pubblico, ai professionisti di origine straniera che potrebbero venirci in aiuto. Per giustizia verso di loro, ma soprattutto nell’interesse del nostro paese e del suo sistema sanitario.

  1. Scaricato dal sito il 25 maggio 2020

Commenti

Di fronte a tanta ignoranza e prepotenza da parte dei nostri governanti non si può e non si deve rimanere indifferenti specialmente in questo periodo di emergenza.
Assumono medici appena laureati…….ma sono italiani e quindi “si può fare” ……e non assumono medici stranieri che, probabilmente, possono vantare un curriculum di tutto rispetto.
Questi retaggi culturali sono vergognosi.
Forse sarebbe il caso di lanciare una petizione a riguardo.
Grazie