Dimissioni protette: i progetti PNRR


I bisogni di assistenza non sempre si esauriscono dopo un ricovero ospedaliero. Di dimissioni protette si parla da almeno vent’anni. Recentemente sono diventate un LEPS, ossia un Livello essenziale di prestazione sociale. Come tale andrebbero garantite su tutto il territorio italiano, da tutti i Comuni, singoli e associati, in stretto raccordo con le Asl, quindi in raccordo col LEA relativo alla continuità assistenziale.

In quanto LEPS le dimissioni protette sono disciplinate dalla legge 234 del 2021, all’articolo 1, comma 170. Il “Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023” ne definisce inoltre contenuti, obiettivi, modalità di accesso, professioni coinvolte, destinatari (pag. 59 e successive). Riguardo quest’ultimo punto, i destinatari, il Piano li limita alle persone anziane: un aspetto discutibile in quanto le dimissioni protette non dovrebbero avere limiti di età, ma lo scopo di sostenere situazioni fragili, croniche, comunque complesse, che attraversano diverse fasi della vita.

La Missione 5 del PNRR, Componente 2, Linea 1.1.3 “Rafforzamento dei servizi sociali a favore della domiciliarità”, ne finanzia lo sviluppo e l’applicazione nei territori (e sono molti, soprattutto in alcune Regioni) che si sono candidati su questa linea di finanziamento.

Progetti candidati e ammessi sulla M5C2 Linea 1.1.3

Regione

Numero progetti

Stanziamento (in euro)

Beneficiari

Lombardia

32

10.431.948

4.230

Campania

18

5.779.924

2.285

Lazio

18

6.043.494

2.358

Sicilia

17

5.573.929

2.543

Veneto

16

5.279.958

2.145

Emilia-Romagna

15

4.949.780

2.179

Puglia

13

4.619.989

1.750

Toscana

13

4.289.442

2.152

Piemonte*

9

2.048.000

970

Calabria

6

1.978.768

810

Liguria

6

1.979.877

907

Sardegna

6

1.977.861

750

Marche

5

1.650.000

807

Abruzzo

4

1.319.999

500

Friuli-Venezia Giulia

4

1.319.997

655

Umbria

3

989.973

375

Basilicata

2

660.000

250

PA Trento

2

660.000

250

Molise

1

330.000

125

Valle d’Aosta

1

329.987

125

PA Bolzano

0

 

 

TOTALE

191

80.647.678

26.166

 *I dati di stanziamento del Piemonte presentano evidenti errori di imputazione, che abbiamo corretto.

Fonte: MLPS, Monitoraggio dell’avanzamento delle attività per regione | Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

 

Un’estesa attività di formazione e accompagnamento dei progetti PNRR svolta da chi scrive ci dice che molti territori, partiti un po’ in ritardo su questa partita, sono oggi attivi e stanno sviluppando un’intensa progettualità condivisa con i presidi ospedalieri, anche perché la scadenza di tali progetti si avvicina: il primo semestre del 2026. Il Pnrr ha puntato molto, oltre che sulle Case della Comunità, sulle Centrali Operative Territoriali (COT), inizialmente previste nel numero di seicento, successivamente ridotte a 524, da realizzarsi entro il 2024. Per le dimissioni protette, le COT dovrebbero avere un ruolo cruciale. In gergo, centri di transitional care deputati a fare incontrare la domanda di assistenza con le relative disponibilità, pubbliche o private, sul territorio.

Se il PNRR prevedeva in più passaggi Case della Comunità con una forte integrazione tra interventi sanitari e sociali, con una stabile presenza di servizi sociali, il DM 77/2022 parla di una generica “integrazione con i servizi sociali” senza indicare quali e con quale modalità. Tutto fa pensare che essa avverrà con i servizi che stanno fuori, nel territorio: anche perché lo standard di personale per la Casa della comunità Hub prevede solamente un assistente sociale. Un assistente sociale per un bacino di 50.000 persone significa che questa figura si limiterà a fare da tramite tra i servizi sanitari interni e quelli sociali presenti sul territorio. Una situazione che porta verso un modello a vocazione sanitaria, con un sociale totalmente ancillare. È qui che si materializza il rischio di diventare qualcosa di molto vicino a dei poliambulatori.

Molte esperienze territoriali ci dicono che il fulcro di un buon sistema di dimissioni protette sta nella costituzione di una governance di sistema, che lavori sulla convergenza tra enti, soggetti e professioni diverse: essenzialmente che costruisca un’alleanza tra ospedale, medicina di base, servizi sociali e famiglie, come visualizzato nel grafico. Senza accordi, regolamenti, protocolli di intesa, che costruiscono le basi di questa alleanza, a livello di Ambiti territoriali e di Distretti, il rischio è quello di rimanere su un piano poco solido.

La necessità di comparare e integrare le diverse fonti normative e di finanziamento a sostegno dei percorsi di presa in carico integrata per le persone non autosufficienti viene sottolineata peraltro dal Piano Nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023 e dal Piano Non Autosufficienza (PNA) 2022-24, sua parte integrante. Sul piano programmatorio, attraverso la costruzione di processi e percorsi integrati a livello istituzionale tra Aziende sanitarie e Ambiti territoriali sociali e la garanzia di “équipe integrate multi-professionali, adeguatamente formate e numericamente sufficienti, in grado di accogliere, valutare, co-costruire con la persona e la sua famiglia il progetto di assistenza integrato”. E sul piano finanziario, attraverso il concorso delle risorse provenienti da canali di finanziamento diversi: comunitari, nazionali, regionali.

Le risorse della M5C2 del PNRR rappresentano infatti solo una tra le diverse fonti di finanziamento delle dimissioni protette, che comprendono: 1) i fondi sanitari dedicati dalle Regioni alle cure domiciliari integrate, comprese 2) le risorse della M6C1 del PNRR – Linea 1.2 “Casa come primo luogo di cura e telemedicina”; 3) una quota dedicata del Fondo nazionale politiche sociali (FNPS); 4) le risorse del Fondo non autosufficienza (FNA).

Da questo punto di vista le Regioni potrebbero giocare un ruolo importante, non solo per la definizione di percorsi condivisi tra comparto sociale e sanitario ma anche per la strutturazione di modelli di gestione integrata delle risorse disponibili. Non tutte le Regioni prevedono però questo tipo di supporto.

Peraltro, la presenza di linee di finanziamento diverse dovrebbe aiutare a costruire progetti oltre i 30 giorni di durata, indicati dal “Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023” (pag. 61) e su cui i progetti PNRR si stanno concentrando. Cosa succede dopo 30 giorni dalle dimissioni se il ritorno a casa si stabilizza, ma con bisogni consistenti di assistenza? Come sostenere bisogni che in diversi casi richiedono una intensità e una diversificazione non disponibili con i servizi tradizionali (i SAD in primo luogo)? A queste domande potranno rispondere i progetti in corso se affiancati da concrete azioni di monitoraggio e valutazione.

La figura che segue sintetizza le tre principali fasi definitorie e procedurali delle dimissioni protette, che chi scrive segue negli orientamenti di intervento sul campo, e che dovrebbero essere al centro degli accordi e protocolli di intesa tra Presidi ospedalieri e Ambiti territoriali sociali.

 

Le dimissioni protette sono un elemento qualificante una sanità davvero di prossimità, uno fra i molti, certo, ma non meno importante di diversi altri. Tanto più diffuse e coordinate saranno, quanto più gli stessi servizi sapranno gestire l’imprevisto. Tutelare le dimissioni dall’ospedale vuol dire evitare alle famiglie le pene di un welfare fai-da-te, attraverso la protezione di una rete di servizi che si occupa del benessere collettivo. Per essere efficaci occorrono territori adeguatamente dotati di servizi, aperti, attrezzati all’emergenza. In tanti casi si tratta ancora di un obiettivo da raggiungere.