Dinamiche di sviluppo della pianificazione sociale

Ruolo degli ambiti sociali territoriali e nuove sfide


A pochi giorni dall’approvazione del nuovo Ddl sull’autonomia differenziata con le sue inevitabili implicazioni sul versante della garanzia dei diritti sociali a livello territoriale, presentiamo le principali evidenze dell’indagine Inapp dedicata alla pianificazione sociale di zona, con un occhio particolare al delicato ruolo di coordinamento delle politiche sociali degli ATS. Previsti dalla L.328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) come spazi di attuazione e implementazione locale di una policy nazionale, a partire dal processo di regionalizzazione avviato con L.3/2001 gli ATS sono diventati spazi (sempre più autonomi e non coordinati) di ‘programmazione locale’. Eppure, tali istituzioni (locali) si sono trovate negli ultimi anni al centro di un incessante (e spesso disordinato) processo di mutamento di interventi e programmi con impatti diretti proprio sul welfare locale: da beneficiari di ingenti risorse della programmazione comunitaria attraverso il PON Inclusione 2014-2020 (oggi PN 2021-2027) e del Fondo nazionale povertà, a collettori di risorse ancor più ampie nell’ambito del PNRR, passando per soggetti fondamentali nell’attuazione del Piano Nazionale per la Non autosufficienza (PNNA).

Cosa è accaduto al lavoro di pianificazione sociale di zona in tale contesto di continuo cambiamento? Come e attraverso quali risorse strumentali, umane e di governance gli ATS hanno affrontato le sfide organizzative e di gestione quotidiana che tali processi hanno innescato? Se e come si è modificato il sistema di servizi sociali a livello locale per rispondere a bisogni della popolazione sempre più complessi?

Il report cerca di proporre alcune linee di lettura che aiutino il decisore a livello nazionale e locale a trovare risposta ai quesiti proposti, fornendo una ricostruzione articolata e non sempre omogenea della situazione. Si (ri)porta al centro del dibattito scientifico e politico il ruolo della pianificazione come ingrediente essenziale per una politica pubblica efficace nell’affrontare vecchie e nuove vulnerabilità sociali.

Il lavoro di ricerca è stato condotto nella seconda parte del 2022 attraverso la voce di coloro che a vario titolo ricoprono ruoli operativi e di gestione all’interno degli stessi ATS, ma anche dei servizi sociali comunali (SSC) e getta uno sguardo alle dinamiche di cambiamento (intervenute o meno) della pianificazione sociale.

Tra le molte evidenze emerse dall’indagine focalizzeremo qui l’attenzione su alcune dimensioni che descrivono in termini più ‘originali’ le dinamiche territoriali e presentano sviluppi interessanti per nuove prospettive di ricerca e approfondimento.

Principali risultati

Un primo aspetto riguarda quello che potremmo definire il processo di ‘sovrapposizione’ territoriale tra il territorio di competenza dell’ATS e quello dei distretti sanitari (variamente denominati a seconda dei contesti regionali) e dei Centri per l’impiego, dando seguito a quanto auspicato dal legislatore attraverso il D.Lgs. n. 147/2017 di far coincidere il territorio di competenza degli ATS con quello delle due istituzioni sanitarie e del lavoro. Poco più di un Ambito su due ha realizzato una perfetta coincidenza tra i tre bacini territoriali di riferimento, in un terzo dei casi tale coincidenza riguarda i distretti sanitari e solo un 4% con i soli CPI. Tale processo sembra favorire l’efficacia del lavoro di integrazione, producendo buoni risultati in termini di gestione ed efficacia degli interventi cosi come sostenuto da circa l’80% dei rispondenti.

Un secondo aspetto cui porre attenzione riguarda lo ‘stato dell’arte’ di due elementi costitutivi la pianificazione sociale: il piano di zona (PdZ) e l’ufficio di piano (UdP). Rispetto al primo, se è vero che la gran parte degli ATS dichiara di disporre di un piano o di un documento equivalente attualmente in vigore, l’indagine rivela tuttavia come in molte realtà il piano sembri essere fermo nel tempo e poco aggiornato. Ciò induce a pensare che vi sia la necessità di ridare importanza a tale strumento, integrandolo maggiormente con altri strumenti di programmazione (anche strategica) a disposizione degli enti locali, pena la sua concreta inutilità e, di riflesso, una minore attenzione (e investimento di tempo ed energie) da parte degli attori deputati a elaborarlo. Con riguardo all’UdP le questioni da sollevare sono sostanzialmente due: la ‘giovane età’ di tali strutture tecniche che in circa il 60% dei casi è stata istituita dopo il 2016, con una quota rilevante (oltre il 37%) nata nel quadriennio 2019-2022; la diffusa e duratura scarsità di risorse umane a disposizione e l’esigenza di adeguare alcune competenze essenziali soprattutto in termini di processi di digitalizzazione. Le due questioni riteniamo siano assolutamente rilevanti per comprendere come alcune sfide istituzionali attualmente in atto (vedi attuazione del PNRR e messa a regime delle nuove misure di contrasto alla povertà) verranno gestite da istituzioni con (forse) poca esperienza e competenze nella gestione di programmi complessi.

Un aiuto a gestire la complessità delle politiche di welfare a livello locale potrebbe arrivare dall’utilizzo di forme di gestione associata dei servizi che possono appunto agevolare il lavoro di coordinamento e pianificazione. Senza entrare nello specifico delle forme adottate, con caratterizzazioni geografiche piuttosto marcate, è interessante mettere in evidenza come, secondo i rispondenti, la gestione associata abbia prodotto soprattutto effetti positivi, principalmente in termini di razionalizzazione organizzativa (in oltre il 60% dei casi), maggiore valorizzazione delle risorse umane disponibili (in circa la metà dei casi) e un miglioramento dell’efficienza nella spesa e di riduzione dei tempi di erogazione dei servizi (in circa un terzo dei casi). Accanto a tali aspetti positivi è interessante notare come una quota significativa di ATS indica un appesantimento delle procedure burocratiche associate a tali forme di gestione (in circa il 15% dei casi), cosi come un aumento dei conflitti interistituzionali (in circa il 9% dei casi).

La pianificazione sociale per raggiungere gli obiettivi prefissati e rispondere in maniera efficace alle istanze del territorio deve necessariamente essere supportata da un flusso di risorse finanziarie certo e continuo nel tempo. Rispetto alle 12 fonti di finanziamento indagate una quota rilevante di ATS (oltre il 70%) fa affidamento ad almeno 5/6 fondi differenti, di provenienza sia locale che nazionale/comunitaria. L’utilizzo contemporaneo di più fondi di finanziamento favorisce per circa il 30% degli ATS una maggiore capacità di risposta e di copertura dei bisogni espressi dalla popolazione di riferimento, per il 19% un aumento della sostenibilità degli interventi mentre per il 16% una maggiore garanzia di continuità dei progetti. Di contro il 17% dichiara che la gestione di più fondi/programmi complica la gestione amministrativa. In termini più generali, è possibile affermare che il carico amministrativo generato dall’approccio plurifondo sia percepito come più difficile da gestire negli ATS con una numerosità di Comuni maggiore.

Rispetto al PNRR la quasi totalità degli ATS coinvolti nell’indagine  dichiarava a fine 2022 di essere stata in qualche modo ‘investita’ dall’onda PNRR, sia in termini di recepimento delle modalità di azione e delle regole di ingaggio peculiari del piano nazionale, sia, ancor più, nella capacità di aver concretamente presentato (al momento della rilevazione) delle proposte progettuali in tale ambito.

Di fronte a tanta complessità, il processo di rafforzamento dei servizi, avviato negli ultimi anni grazie anche all’impulso delle politiche di contrasto alla povertà, sembra aver garantito comunque un generale potenziamento del sistema di servizi specifici per affrontare tale fenomeno e incrementato il supporto ad aree di intervento essenziali quali disabilità e non autosufficienza (in oltre il 77% dei casi), infanzia e adolescenza (66%). Valori minori seppure significativi si riscontrano inoltre per i servizi di supporto alla genitorialità (57%) e servizi per agli anziani (56,7%). Rafforzati ma con minore incidenza, rispetto ai quali anche le risorse finanziarie dedicate sono minori, sono i servizi contro la violenza (rafforzato nel 23% dei casi), a favore dei giovani (circa 19%), per la salute mentale (12% circa), per l’immigrazione (12%), per il contrasto alle dipendenze (7%) e a favore dei detenuti (3%).

Le ultime due questioni su cui l’indagine getta (nuova) luce sono quelle relative ai processi di collaborazione e integrazione a livello locale e a quelli di innovazione sociale. Due ambiti che dovrebbero essere letti come lavoro comune sia quando si tratta del lavoro svolto tra le diverse aree di policy, sia in termini di strumenti e di modelli di intervento, non ultimo quando si parla di integrazione intersettoriale e maggior coinvolgimento degli attori locali (pubblici, privati e del terzo settore). L’azione prodotta dalla  pianificazione sociale per gli ATS contribuisce al miglioramento del livello di integrazione tra servizi, in particolare all’integrazione sociosanitaria ma anche tra sociale e lavoro. L’azione ritenuta meno incisiva (in circa il 70% dei contesti territoriali di Ambito sociale) è nell’ambito di integrazione tra sociale e abitativo. Un’ulteriore evidenza emerge in termini di integrazione intersettoriale nella quale ha giocato un ruolo preminente lo sviluppo e il consolidamento delle forme di collaborazione territoriale tra enti pubblici e Terzo settore.

In linea generale, un interessante segnale di innovazione è rappresentato dal rafforzamento, operato attraverso atti di programmazione di Ambito, dei servizi di supporto al lavoro destinati in particolare a soggetti portatori di specifici svantaggi. Tale aspetto segnala una responsabilizzazione degli Ambiti e al tempo stesso una specificazione tecnica del ruolo che questi svolgono nei confronti dei territori.

Alcune riflessioni conclusive

Accanto ad una serie di criticità quasi ‘strutturali’ con cui i processi di pianificazione sociale a livello locale continuano a doversi confrontare (mancanza di risorse umane, integrazione da migliorare, frammentazione e eterogeneità territoriale), l’indagine evidenzia alcune dinamiche positive di una certa rilevanza. In contesto sempre più complesso sia dal punto di vista istituzionale che dei bisogni della cittadinanza cui far fronte, infatti, il sistema dei servizi gestito dagli ATS sembra essere più maturo dal punto di vista organizzativo. Gli spazi di manovra in termini di policy rimangono tuttavia molto ampi. È necessario dare continuità all’investimento in termini di risorse economiche (ma anche umane) nei confronti degli ATS; fare in modo che il processo di rafforzamento della rete dei servizi sociali sia reso via via più semplice e coordinato, investendo in maniera mirata (ad esempio gli Uffici di Piano) e  integrando (sempre più) i processi di pianificazione sociale con le strategie messe in atto dalla gestione associata senza darne per  scontati gli effetti positivi. Infine, come la stessa indagine dimostra, è necessario investire sempre più nella disponibilità e nella condivisione dei dati sulla programmazione locale in modo da garantire una base dati codificata e omogenea, migliorando così la capacità di analisi sia di chi fa ricerca sia di chi programma e attua gli interventi.