Disturbo da gioco d’azzardo

Tra emergenza sociosanitaria e impegno comunitario


Karim Jamil Amirian | 2 Settembre 2024

Il gioco d’azzardo non è un gioco

Parlando di “gioco d’azzardo” si uniscono termini che rimandano a diversi universi di significato.

Il gioco costituisce la momentanea sospensione degli impegni abituali, per dedicarsi ad un’attività il cui fine è il divertimento, l’espressione di sé, la spensieratezza e la socialità; l’azzardo è una situazione incerta, i cui esiti sono affidati interamente o prevalentemente al caso, in cui la ricerca dell’emozione è connessa all’imprevedibilità e al rischio.

Il gioco d’azzardo aggiunge a questi significati la ricerca di guadagno, poiché riguarda la possibilità di una vincita tramite scommessa, che è quindi una parte importante della motivazione.

Tradizionalmente il gioco d’azzardo è stato rappresentato nella letteratura, nel cinema e nell’arte come “vizio elitario”, segno di grande disponibilità economica e di spregiudicatezza, mentre socialmente rimanda alla scarsa responsabilità soprattutto verso i familiari, costituendo oggetto di stigma e di giudizio morale.

Un significativo passaggio è avvenuto con l’inserimento del gioco d’azzardo patologico tra le dipendenze all’interno del DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), come patologia da classificare secondo i tradizionali fattori dell’analisi medica: diagnosi, eziologia, patogenesi, sintomatologia e possibili protocolli di cura, e con l’inclusione della dipendenza da gioco d’azzardo (“ludopatia conseguente a gioco compulsivo”) nei Livelli Essenziali di Assistenza (D.lg. 13 settembre 2012, n. 158), stabilendo il diritto alla cura per i soggetti affetti dal DGA (Disturbo da Gioco d’Azzardo).

“Il gioco d’azzardo patologico (…omissis…) è una malattia neuropsicobiologica del cervello, spesso cronica e recidivante, che si esplicita con comportamenti patologici compulsivi e specifica sintomatologia neurovegetativa, associata a gravi conseguenze fisiche, psichiche e sociali per l’individuo.” (Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2013).

Problema sanitario e sintomo di cambiamento sociale

Certamente, quando il gioco d’azzardo riguardava unicamente un gruppo residuale di individui “eccentrici”, che frequentavano i Casinò episodicamente, tendenzialmente benestanti in cerca di emozioni, oppure circoscritto a eventi limitati, come la lotteria nazionale, o il totocalcio settimanale, poteva essere considerato un fenomeno dallo scarso rilievo sociale.

A seguito della deregolamentazione a inizio anni ’90 (anche a fini erariali), con la pervasiva diffusione di schedine gratta e vinci, slot machine e sale giochi, e della virtualizzazione dell’offerta (inizio anni 2000), che si basa sempre più sul gioco online immediatamente accessibile, lo scenario è profondamente cambiato, raggiungendo dimensioni impensabili pochi anni fa, con un costante trend di crescita.

Secondo gli ultimi dati messi a disposizione dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, nel 2022 il volume dei soldi giocati in Italia ha raggiunto i 136 miliardi di euro, con un incremento di quasi il 500% rispetto al 2005 (28,5 miliardi), e i 150 miliardi nel 2023 (secondo quanto dichiarato dalla Sottosegretaria al Ministero dell’Economia e delle finanze Savino), molto superiore a qualsiasi altra spesa per il tempo libero (circa 41 miliardi).

Il gioco d’azzardo riguarda almeno oltre un quinto della popolazione maggiorenne, e mette in difficoltà una parte rilevante dei giocatori, di cui il 26,8% riferisce di aver dovuto richiedere prestiti per poter giocare, poiché scommette più di quanto guadagna (Eurispes, 2023).

Questo indica come il costo dell’azzardo sia fortemente disomogeneo, per cui una quota dei giocatori spende molto più degli altri, conducendo spesso la propria vita e quella dei propri familiari verso condizioni di forte indigenza e indebitamento, fino a dover ricorrere all’usura.

Con quella che alcuni hanno chiamato epidemia dell’azzardo, si sono quindi creati due insiemi in un continuum che rende facile passare dall’uno all’altro: quello dei giocatori che hanno il controllo e continuano a provare divertimento, riuscendo a limitare gli effetti, e quello di chi ne è sovrastato, i cui pensieri finiscono per essere orientati compulsivamente alle scommesse, cui spesso si aggiungono anche stili di vita meno salutari, con dipendenze da fumo, alcol e sostanze stupefacenti.

Le uniche stime ufficiali sui giocatori problematici in Italia (utilizzando il Problem Gambling Severity Index – PGSI) sono quelle dell’Istituto Superiore della Sanità (ISS, 2019) che indica in 1,5 milioni le persone che hanno perso il controllo sul proprio comportamento, mentre i giocatori affetti da DGA (secondo la nosografia del DSM) sarebbero compresi tra 300mila e 1.300mila (Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2013), con conseguenze dirette più o meno gravi su 6 persone per ogni giocatore, oltre a rilevanti danni per l’ambiente di lavoro (Guarinello, 2024), facendone una delle principali problematiche socio-sanitarie che esistono attualmente nel nostro paese.

Regolamentazione giuridica e tutela della salute

Il gioco d’azzardo in Italia è stato al centro di iniziative regolamentative di politica economica, fiscale, di ordine pubblico, sicurezza e contrasto ai fenomeni criminali ad esso legati, ma, a fronte dei dati allarmanti per la salute, anche di importanti azioni di cura della dipendenza e di difesa delle categorie più vulnerabili.

Come affermato, è stato riconosciuto che ci si può ammalare di azzardo con DL n. 158 del 2012, e con il DPCM 12 Gennaio 2017 è stato definito il trattamento multidisciplinare del DGA tra i LEA, conferendo una responsabilità alla PA e ai decisori, laddove ignorino le indicazioni delle autorità sanitarie.

La più importante azione di finanziamento delle politiche sanitarie è l’istituzione del Fondo per il gioco d’azzardo patologico, con la Legge di Stabilità del 2016, con cui si andavano a finanziare i Piani Regionali che dovevano declinare territorialmente iniziative in linea con il Piano di azione nazionale (predisposto dal neonato Osservatorio nazionale per il contrasto del gioco d’azzardo).

In termini più generali, l’impegno pubblico ha visto regolamentare il gioco d’azzardo con indicazioni sulle allocazioni dei punti della rete fisica di gioco (a distanza dai luoghi sensibili, art. 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23), e con il DL n. 87 del 2018, che ha previsto specifiche norme concernenti il divieto di qualsiasi forma di pubblicità di giochi e scommesse, l’inserimento di formule di avvertimento, da inserire sui tagliandi delle lotterie e sugli apparecchi, sui  rischi di dipendenza.

All’evidenza dei fatti, gli avvisi sembrano non arginare un fenomeno che ha visto un costante trend di crescita negli ultimi anni, mentre i divieti sono o tardivi, come i vincoli sulla distanza che non sono retroattivi in gran parte delle regioni, o facilmente aggirabili, come il divieto di pubblicità, che viene eluso con altre forme di comunicazione, come la promozione di siti di scommesse.

Il contrasto al gioco d’azzardo, una responsabilità condivisa

L’attività regolamentativa dello Stato sembra approvare e tutelare una tendenza generale della società italiana di questi anni, ovvero una vocazione a giocare soldi, sia come divertimento, sia come opportunità di guadagno; quella parte, molto minoritaria, di persone che si ammalano di DGA, entrano nel sistema di cura del SSN, così come avviene per chiunque e per qualsiasi attività.

Allora quale è il problema rispetto alla diffusione del gioco d’azzardo? E in che modo questo problema riguarda il Terzo Settore?

Una prima questione riguarda la normalizzazione del fenomeno, sia relativamente alle dimensioni che ha assunto, sia rispetto all’evoluzione antropologica: sembra che una società incapace e rinunciataria ad organizzare le proprie energie per un miglioramento collettivo e con un impegno condiviso (ispirazione fondante la cittadinanza attiva), si stia ripiegando verso tante isolate scommesse, che hanno come obiettivo un immediato guadagno personale, scommesse quasi sempre fallimentari, e che causano rilevanti costi sociali (Lucchini, Comi, 2018).

Ma anche all’interno dell’assetto che si sta delineando, le criticità e la necessità di intervento da parte del Terzo Settore sono molteplici.

Limitandosi al DGA, infatti, i dati (sebbene incerti) sono molto indicativi: almeno 300mila persone sono malate, e più di un milione ne stanno subendo le pesanti conseguenze.

Cittadini che hanno diritto alla cura, in quanto affetti da una patologia riconosciuta, ma di cui il SSN non si sta facendo carico, stante che oltre il 95% dei malati di DGA non sono attualmente seguiti dai servizi (OISED, 2023), e almeno 285mila (ma potrebbero essere oltre un milione) persone e le loro famiglie sono lasciate a gestire in solitudine la malattia, che alcuni ipotizzano essere effetto voluto da una scientifica pianificazione industriale (Dow Schull, 2015).

Siamo quindi di fronte ad una situazione analoga ad altre che hanno già visto un impegno della società civile, ovvero un problema socio-sanitario molto rilevante, ma per il quale le risposte predefinite e standardizzate risultano incapaci nell’attivare una domanda e una relazione di cura.

Ecco dunque una questione urgente, di cui il Terzo Settore è chiamato a farsi carico: come costruire relazioni di cura, ma anche di soccorso e supporto, per tutte quelle famiglie che attualmente risultano invisibili e isolate, e con i giocatori che non stanno chiedendo un trattamento (Bellio, 2023)?

Una domanda che certamente chiama in causa la PA, poiché, oltre ad investire nelle forme di risposta consolidate (ad esempio, interpretando la problematica come esito di scarsità di risorse, ed aumentando il personale dei SerD per accogliere maggiore utenza), sta iniziando a leggere il fenomeno come più complesso, e cercando di attivare le comunità nella sperimentazione di proposte inedite, tramite percorsi di co-progettazione, di condivisione e interconnessione tra servizi, ad esempio con prese in carico integrate, che spazino dal problema sanitario, a quello psicologico, sociale ed economico.

La stessa domanda chiama in causa il Terzo Settore, nel promuovere un’attenzione pubblica alle nuove forme che sta assumendo il disagio sociale, soprattutto in certe aree del paese.

Infine, è una domanda che riguarda anche chi si occupa di metodologia della progettazione sociale.

Vediamo, sinteticamente, in che senso.

In primo luogo, rispetto ai processi di elaborazione condivisa degli interventi, ovvero della co-progettazione tra pubblico e privato.

Stanti le linee guida ministeriali e regionali, che costituiscono un importante perimetro procedurale, quali processi operativi e gestionali possono favorire un’efficace collaborazione nel coinvolgere le risorse di un territorio per contrastare il gioco d’azzardo? Quali possono essere i criteri specifici, ad esempio, per strutturare un Avviso? Quali sono i principi metodologici da aver presente, rispetto ad altre forme di co-progettazione, nella definizione di processi collaborativi, di ruoli e fasi, di competenze e obiettivi intermedi e finali, per lo sviluppo di interventi sul gioco d’azzardo?

In secondo luogo, rispetto ai processi progettuali, sia in fase di costruzione, sia in fase realizzativa.

Quali sono le azioni e i metodi più efficaci per attivare percorsi di presa in carico di persone affette da DGA? Con quali modelli e riferimenti disciplinari è possibile analizzare il problema e definire forme di intervento più coerenti? Come agire in chiave preventiva, stante che le persone chiedono aiuto soprattutto in situazioni ormai di gioco problematico conclamato (Bijker, 2022)?

Come costruire una rete di sostegno alle famiglie in difficoltà? Come intervenire sulle dimensioni relazionali, che sembrano le più critiche nella presa in carico dei giocatori patologici (Rolando et al., 2023)? Che ruolo è possono avere i familiari, gli ex giocatori o i giocatori stessi, nei progetti di intervento? Come impostare un processo di apprendimento e di miglioramento continuo del sistema?

Per la prevenzione e il contrasto al DGA sono stanziati annualmente circa 50 milioni di euro, cui le regioni aggiungono risorse proprie, che si sommano alle risorse strutturali del SSN.

Ma ad una ricognizione sul dibattito e sulla produzione scientifica sembra ci si limiti a cercare di validare i differenti protocolli terapeutici, o a precisare i criteri giuridici dell’amministrazione del gioco d’azzardo: ancora marginale è la riflessione sistematica sugli interventi sociali, su come le comunità possano costruire una relazione con quel 95% di giocatori nascosti, e con i sistemi familiari e sociali a loro prossimi.

Sembra in secondo piano, cioè, un confronto su come le reti territoriali possano attivare le proprie risorse per innescare processi trasformativi dei contesti, di accoglienza e inclusione complessiva, un confronto sempre più urgente per una problematica che è molto più, e anche qualcosa di molto diverso, che una semplice patologia che colpisce gli individui più vulnerabili.