Nell’ultimo anno della sua vigenza, il Governo Conte ha dovuto confrontarsi con una situazione grave e inedita di emergenza sanitaria, diventata al tempo stesso economica e sociale; e, in questo sforzo a cui, in verità, nessun governo è giunto preparato, ha assunto una pluralità di provvedimenti, ora per limitare i contagi, ora per rilanciare l’economia, ora per cercare le difficili compatibilità tra istanze diverse e ugualmente fondamentali.
Ciascuno potrà dare il proprio giudizio su quanto questo governo abbia ben operato, in assoluto e paragonandolo agli altri governi dei paesi occidentali. Qui l’intento è un altro: ci si chiede se, nelle sperimentazioni, talvolta inevitabilmente disordinate, di provvedimenti adottati spesso con logiche e sotto pressioni emergenziali, vi siano delle idee, magari solo parzialmente espresse, forse pensate come risposta a circostanze contingenti, di cui oggi, a mente fredda e al di fuori dell’agone politico (dal momento che tale governo non c’è più), possiamo fare tesoro.
Ciò, si intende, non nel senso di riproporli nel futuro per come sono stati formulati, ma di trarne una logica – anche al di là di quella che aveva ispirato il Governo Conte – che può essere alla base di ulteriori e diversi sviluppi. Il tutto in un contesto che, con ogni probabilità, ancora per un tempo medio lungo ci imporrà una qualche strategia di convivenza con il virus pur, auspicabilmente, con scenari di progressivo ritorno alla normalità, nella misura in cui la campagna vaccinale si rivelerà efficace e non insorgano elementi – varianti del virus, nuove infezioni – tali da riportarci nella fase più critica della crisi.
Ci si concentrerà su due provvedimenti tra loro molto diversi, entrambi assunti a ridosso del periodo delle festività natalizie: il permesso di ricevere o visitare una persona al giorno e il cashback sugli acquisti nei negozi fisici.
Le “visite”
In occasione delle restrizioni natalizie il Governo Conte ha dovuto fare i conti con una difficile situazione: i contagi, seppure in via di contenimento dopo l’impennata della seconda ondata, erano ancora molto alti e ciò si verificava in un periodo in cui radicate abitudini culturali portavano le persone ad incontrarsi. Il clima sociale – dove ai timori del contagio si sommavano rabbia e risentimenti, molto diverso da quello degli striscioni “andrà tutto bene” della primavera precedente – non era più compatibile con l’imposizione di un lockdown rigido come a Pasqua 2020.
In tale contesto, un governo già indebolito ha dovuto trovare una mediazione tra istanze diverse e tra i provvedimenti adottati vi è stata l’introduzione della possibilità di ricevere o visitare una persona al giorno, poi mantenuta nel successivo periodo anche nel caso di applicazione delle restrizioni previste per le aree con più alto contagio.
In altre sedi si può valutare in che misura tale previsione sia equilibrata – meglio una visita al giorno o due alla settimana, solo per fare un esempio – in ordine al bilanciamento delle diverse esigenze e in che misura gli italiani siano stati responsabili nel gestire tale facoltà; quello che preme evidenziare è che, magari solo per evitare decisioni troppo impopolari visto il periodo associato ai festeggiamenti, dall’inizio della pandemia per la prima volta tra le diverse istanze da contemperare è comparsa la relazione, cui si attribuisce un valore autonomo dal momento dell’acquisto di beni e servizi.
In questi mesi gli adolescenti chiusi soli in una stanza con il loro cellulare, gli anziani confinati in casa, le persone morte sole in ospedale dopo settimane di solitudine, quelle che hanno vissuto giorni senza contatto umano e le donne e minori segregati in ambienti domestici patologici, semplicemente sono stati un non-problema, circostanze da nominare (talvolta) in sede di discorsi pubblici per mostrare empatia verso le sofferenze connesse alle restrizioni, ma non una delle dimensioni che, a livello istituzionale, ci si deve far carico di tutelare, riconoscendo appunto un bisogno minimo incomprimibile di relazione. Insomma, come il reddito di emergenza, la relazione minima: quella che ad esempio portava l’Istituto di sanità olandese a consigliare ai single di trovare un compagno di lockdown o altre misure simili adottate in altri paesi e ignorate in Italia sino al periodo natalizio. Dobbiamo avere la consapevolezza che il “nessuno rimanga completamente solo”, così come il “nessuno muoia di fame”, non sono forme di allentamento delle tutele sanitarie, ma la condizione indispensabile per renderle praticabili nel medio periodo, come dovremo purtroppo fare nel nostro Paese nei prossimi mesi; e che la – a mio avviso del tutto necessaria – maggiore durezza contro pratiche di assembramento con basso contenuto relazionale ma ad altissimo rischio sanitario, non c’entrano nulla con il permettere – anzi l’incoraggiare, visto che non si può imporre – la relazione minima.
Questo significa, per fare solo un esempio, che forse ci si troverà ad avere a che fare con periodi di didattica a distanza, in cui è saggio non affollare classi e autobus; ma che in questi casi si può riorganizzare l’apprendimento in piccoli gruppi stabili di due o tre alunni, dove quindi il potenziale impatto sanitario è limitato, perché, se si deve seguire una lezione attraverso il PC o fare un compito, è importante non farlo da soli perché si impara di più e si sta meglio e anche – e soprattutto – perché un’adolescenza solitaria è di per sé patologica.
Laddove l’obiezione fosse che ciò rischia di tradursi, in caso di nuove situazioni di contagio catastrofiche, in un allentamento indiscriminato delle misure di contenimento – obiezione che potrebbe essere sensata vista la propensione ad ammassarsi in taluni luoghi delle nostre città – rispondo che è meglio un utilizzo intensivo dell’elettronica, accantonando i potenziali problemi di privacy per verificare che quella praticata sia effettivamente una “relazione minima”, alla negazione della relazione.
Ma, al di fuori dei ragionamenti sull’emergenza sanitaria, anche nell’auspicabile caso di progressivo ritorno alla normalità, è importante che la relazione minima – spesso, in alcuni casi, da ricostruire dopo questi difficili mesi – non appartenga solo al dominio delle libertà individuali incomprimibili, ma sia un obiettivo esplicito delle politiche: non un rischio tollerato, ma, appunto, un obiettivo da perseguire e garantire.
Il cashback
La seconda misura potenzialmente più interessante di quanto possa sembrare a prima vista è il cashback, cioè, come noto, il rimborso di una quota del denaro speso in esercizi commerciali. Utilizzato come strumento di rilancio dei consumi, di contrasto del nero e di seppur minima perequazione a vantaggio dei negozi fisici rispetto al commercio online avvantaggiato oltremisura dalla pandemia, ha potenzialità che vanno esplorate.
Perché non pensare al cashback – un cashback graduato e differenziato per territorio – come uno strumento per rendere più appetibili le attività che si svolgono in territorio periferici, così da orientare i cittadini (oggi) a non assembrarsi in poche vie del centro e (in generale) a frequentare e quindi rendere vitali i quartieri di periferia e le aree interne? Se si creano le condizioni economiche, grazie allo “sconto automatico costituito” dal cashback, per cui le persone scelgano di andare a bere qualcosa nella birreria del quartiere, comprino il pane nel negozio sotto casa e fanno la spesa nel supermercato di quartiere, si ottengono con ogni probabilità delle esternalità positive tali da compensare i costi dell’operazione.
Vi è infatti oggi una diffusa consapevolezza dei costi della desertificazione commerciale delle periferie urbane o delle aree interne: pochi negozi e pochi servizi fanno di alcune zone luoghi degradati e abbandonati; così come vi è ampio consenso che le azioni di riqualificazione partano dall’insediamento di esercizi commerciali e di luoghi di ritrovo che hanno forse una sostenibilità stentata, ma generano esternalità positive preziose. E, per inciso, in questa epoca di pandemia abbiamo anche consapevolezza che al contrario l’addensamento in aree ristrette, siano essi vie e piazze del centro cittadino o luoghi di struscio vacanziero che pullulano di locali di ristorazione e di svago, siano stati tra i vettori principali della tragica seconda ondata. Ma, mentre questo secondo aspetto auspichiamo possa essere superato nel giro di qualche mese, il primo rimane.
Un utilizzo mirato e differenziato del cashback potrebbe rappresentare una delle misure più immediate e facili da implementare per ristabilire l’equilibrio tra aree centrali e periferiche. Cashback crescenti per attività commerciali insediate nelle periferie dimenticate può rendere agibile l’insediamento di attività, rendendole attrattive per gli acquirenti. Magari si potrebbe limitare (o meglio annullare) l’attuale cashback per gli acquisti in ipermercati e centri commerciali e premiare maggiormente negozi di quartiere e di piccoli paesi, quelli che svolgono un’importante funzione di presidio sociale (a differenza degli ipermercati che dirigono folle verso non-luoghi) e (a differenza degli ipermercati) non possono avere economie derivanti dalla dimensione: cashback nullo per ipermercati, 10% come ora per gli altri negozi fisici, dal 20% al 30% per negozi fisici a seconda di quanto la zona sia isolata o degradata (tra l’altro adempiendo così anche all’altra funzione di questa misura, la limitazione del pagamento senza scontrino, che è comunque già nullo negli ipermercati e più diffuso in altri esercizi commerciali).
Inoltre si tratta di una misura più semplice da applicare rispetto ad altre strategie di incentivazione, come i bandi per accordare contributi ad un’iniziativa anziché ad un’altra sulla base di un progetto che viene presentato, valutato, deve essere monitorato con un dispendio di tempo ed energie non trascurabile: quante volte un soggetto presenta una proposta di questo genere e la vede (eventualmente) finanziata due o tre anni dopo quando i promotori hanno scelto di fare altri mestieri e il contesto è cambiato (senza che il progetto possa cambiare, perché la burocrazia non lo capirebbe)?
Pensiero laterale
Probabilmente in questo strano e tragico anno, tanto a livello nazionale che a livello locale, sono state sperimentate o anche solo abbozzare risposte alla crisi che possono ispirare ragionamenti, magari diversi rispetto allo spirito dei provvedimenti adottati, che però è utile conservare e sviluppare. Alcune cose sono ovvie, come la diffusione degli strumenti di comunicazione e di lavoro a distanza, entrati a far parte, definitivamente, della vita di tutti noi. Altre vanno cercate, come nei due esempi sopra, con salti analogici, mettendo insieme elementi apparentemente distanti. Speriamo di essere in grado di farne tesoro.