E=mc2: Equipe=case management condiviso


Federico Grassi | 15 Luglio 2024

Nell’ultimo decennio le politiche per l’inclusione sociale e lavorativa hanno arricchito il proprio lessico del termine case manager, quasi “cooptandolo” dall’ambito sanitario, oltre che medico-ospedaliero in relazione alla gestione dei rischi e delle emergenze, e dal più vicino ambito sociale e sociosanitario, dove ad esempio viene impiegato nel contesto dell’Unità di Valutazione Multidisciplinare (UVM).

Quello del case manager è un ruolo centrale nei processi di attivazione sociale e lavorativa che coinvolgono una pluralità di servizi e che riconoscono il protagonismo delle persone che beneficiano di interventi, progetti, misure e percorsi di cambiamento da situazioni di fragilità e svantaggio. Più che un incarico da agire secondo schemi precostituiti e modalità ben impostate, è uno stile proprio e capace di adattarsi alle peculiarità del gruppo di lavoro nel quale si sviluppa. Infatti, non c’è case manager senza un gruppo, uno staff, un’equipe, una realtà complessa da coordinare ed è forse necessario riflettere proprio sugli elementi caratterizzanti la funzione multiforme, e per niente scontata, del case management nell’ambito delle attuali politiche per l’inclusione socio-lavorativa.

Se appena pochi anni fa l’espressione case manager veniva recepita con una sorta di mal sopportazione da servizi e organizzazioni che seguivano prassi di lavoro consolidate ed erano poco inclini ad approfondire questo termine anglofono, percepito lontano dalla concretezza operativa della propria quotidianità, progressivamente il suo utilizzo ripetuto, e talvolta pure ridondante, ha indotto una sorta d’involontaria assuefazione, facendo correre il rischio di dare per scontato una serie di significati e concetti che invece portano con sé elementi organizzativi non banali, metodologie operative da apprendere e strategie di governance delle politiche sociali e del lavoro.

Mentre solitamente occorrono periodi di tempo medio-lunghi per consolidare modalità operative e relazionali che si ripetono con costanza e si stratificano nel sistema dei servizi arrivandole e riconoscere come prassi, invece ha pochi precedenti l’accelerazione impressa dalle misure nazionali di contrasto alla povertà alla sperimentazione di innovazioni concettuali e metodologiche nell’ambito dell’inclusione socio-lavorativa, tra cui quella del case manager, non tanto quale ruolo o profilo professionale, quanto come propensione e facilitazione allo svolgimento della più ampia funzione del case management condiviso.  

Pur senza generalizzare, mentre possiamo affermare che già da tempo la metodologia di lavoro in equipe connotava le professioni sociali, è con questo decennio che ha iniziato ad affermarsi anche nello specifico ambito di intervento discusso in questo articolo che, invece, spesso si è sviluppato grazie alle competenze e sensibilità dei singoli professionisti. Gli operatori dei vari servizi interagivano per la “gestione del caso” di cui avevano la responsabilità come titolari della presa in carico, predisponendo interventi e sostegni che appuntavano nella cartellina personale dell’utente, chiedendo pareri, consulenze, valutazioni, ma poi solitamente rielaboravano il tutto autonomamente per arrivare alle “proprie conclusioni”. Per non parlare di quelle situazioni multiproblematiche e con prese in carico multiple, da parte di più servizi, che ponevano gli operatori di fronte a quesiti metodologici, principi teorici e dinamiche relazionali di non poco conto. Potevano essere organizzate riunioni che però, tante volte venivano vissute quasi come un confronto tra prese di posizioni di ruoli professionali diversi nella lettura del caso che contrapponevano autorevolezza, messa in discussione delle capacità e delle competenze dei professionisti, equilibri tra le parti da dover mantenere per il buon funzionamento dei rapporti istituzionali, facendo diventare complicata anche solo la calendarizzazione di un momento di scambio di opinioni. A volte ci si fermava ancora prima di partire pensando a chi avrebbe dovuto convocare la riunione e a chi l’avrebbe dovuta condurre per affermare la propria prospettiva di intervento rispetto a quella degli altri. Spesso si ricorreva all’invio di relazioni che andavano ad ingrossare la cartellina individuale, sommando valutazioni mancanti di un linguaggio comune e difficilmente confrontabili, talvolta senza riuscire a condividere una lettura comune né, tantomeno, ad avere una visione d’insieme ed organica. In larga parte i servizi afferenti all’inclusione sociale e lavorativa lavoravano a canne d’organo, senza contaminarsi né integrarsi, riuscendo raramente a costruire progettualità condivise e tese al raggiungimento di obiettivi graduali e realmente raggiungibili, ma fissando ciascuno il proprio obiettivo e le relative attività da svolgere per ottenerlo1.

Successivamente sono arrivati molteplici stimoli alla riflessione culturale e metodologica che hanno favorito il cambio di paradigma dal “lavorare in molti sullo stesso caso” a “lavorare insieme” secondo un approccio che integra la complessità dei bisogni, senza più segmentarli per ricercare l’ambito di competenza e la titolarità di un servizio piuttosto che di un altro, secondo principi innovativi diventati anche oggetto di giornate di studio e corsi di formazione. Ma particolarmente significativa è soprattutto la produzione normativa e documentale orientata a potenziare la funzione di case management di nuovi significati. Basti considerare quante volte sono utilizzati determinati termini e concetti in alcuni dei principali testi di riferimento del settore2 e come la riflessione culturale e metodologica sia andata avanti anche a livello regionale.

In Toscana, ad esempio, un contributo decisivo è arrivato con la DGR 544/2023Linee guida Integrazione Sociale-Lavoro” tese ad attivare equipe multiprofessionali per la valutazione di bisogni complessi e per la presa in carico integrata, promuovendone la diffusione capillare sul territorio anche attraverso seminari e momenti di confronto su come renderle pienamente operative. L’attenzione al tema e la tensione verso la piena integrazione tra servizi sociali, sociosanitari e del lavoro si sono fatte così intense da essere accolte dalle Direzioni dei Settori “Welfare e Innovazione Sociale” e “Lavoro” di Regione Toscana che hanno promosso un processo di revisione del documento, condotto nei mesi scorsi dalla Cabina di regia tecnica del Tavolo Regionale per la protezione e l’inclusione sociale, che ha portato alla redazione delle nuove “Linee guida operative per l’equipe multidisciplinari” che dovrebbero presto diventare oggetto di un Atto della Giunta Regionale. Nel documento (ad oggi non ancora pubblicato) si afferma che “il concetto di presa in carico integrata si sviluppa anche attraverso la condivisione della funzione di case management, in relazione alla prevalenza del bisogno di cui l’utenza è portatrice, pertanto, all’interno della equipe multidisciplinare il case manager è la figura che opera nel servizio competente in riferimento al bisogno prevalente”. Quest’affermazione è tanto più importante perché frutto del lavoro congiunto di referenti di servizi ed Ambiti Territoriali Sociali che si sono confrontati in seno alla Cabina di regia tecnica scambiandosi documenti e pareri ed analizzando strumenti in un processo di condivisione paritario che ha valorizzato l’apporto e le sensibilità di tutti. Questo clima pienamente collaborativo è stato sicuramente favorito dalle prassi consolidate anche grazie allo stimolante lavoro portato avanti con l’esperienza della Comunità di Pratica3 che sta aiutando il sistema dei servizi pubblici e privati della Toscana nell’esercizio dell’autoriflessione e della conoscenza reciproca. Solamente nel 2023 sono stati oltre 200 i professionisti delle zone sociosanitarie afferenti alle 3 A.USL Centro, Nord-ovest e Sud-est che si sono incontrati, scambiandosi idee secondo un approccio sfidante tipico di un processo di contaminazione consapevole ed arricchente. Operatori sociali, sociosanitari, del lavoro, del Terzo settore si sono raccontati, posti domande senza nascondere difficoltà ma anzi andando a riconoscere i rispettivi punti di forza4 tanto da fornire una rappresentazione viva di quanto espresso nel Rapporto regionale sulla Povertà e l’inclusione sociale rispetto alle positive valutazioni degli operatori sul lavoro d’equipe5.

A livello nazionale, inoltre, le recenti “Linee di Indirizzo aggiornate sugli elementi fondanti la presa in carico, sociale integrata e il progetto personalizzato per la valutazione delle condizioni di svantaggio6 introducono una categorizzazione dello svantaggio che incasella le persone, circoscrive i loro bisogni come se fosse possibile procedere con un processo di “fusione a freddo” degli elementi di fragilità e povertà che le contraddistinguono. Parrebbe quasi che dopo tutto il percorso fatto negli ultimi dieci anni dovessimo arretrare da misure basate sull’universalismo selettivo ad altre di carattere categoriale. Paradossalmente però, questa classificazione che porta a “crocettare” una delle condizioni di svantaggio presenti nell’elenco predisposto a livello ministeriale quasi fosse un esercizio di tassonomia, sta portando alla sempre maggiore presa di consapevolezza che indietro non si può tornare, anzi. È come se la transizione dal Reddito di Cittadinanza verso le nuove misure Assegno di Inclusione e Supporto per la Formazione e il Lavoro abbia destabilizzato il sistema dei servizi sociali, sociosanitari e del lavoro, facendo prendere ancor più coscienza del valore di quanto costruito finora. E infatti, è indispensabile che i disagi complessi vissuti dalle persone siano accolti, valutati ed orientati verso progettazioni personalizzate proprio da quell’equipe multidisciplinare che riconosce nel case management condiviso uno dei suoi principali tratti distintivi. Non si tratta più, o non soltanto, di organizzare alcune attività finalizzate alla maggiore integrazione sociale e all’inserimento lavorativo, convocare riunioni, tirare le fila degli impegni presi dai vari soggetti della rete, ma di tenere insieme una molteplicità di livelli relazionali, ambiti d’intervento, elementi organizzativi, risorse economiche e fattori temporali secondo una logica di ascolto, elaborazione e valorizzazione tipica dei processi di capacitazione. Governance e operatori, reti e sistema dei servizi, beneficiari, famiglie e contesti sono chiamati in causa da questo approccio che declina al plurale la funzione del case management rinnovando stili operativi, strumenti e modalità di lavoro che trovano nell’equipe multidisciplinare il contesto naturale in cui sprigionare la propria potenzialità e fondare strategie di presa in carico integrata, in quanto “si configura come: un luogo inclusivo: che offre opportunità di “tessitura” interprofessionale per “cercare di tenere tutti dentro allo stesso progetto”; un luogo di co-decisionalità: nel quale confrontare i propri punti di vista, al fine di arrivare alla definizione condivisa del Quadro di analisi e della progettazione, evitando la frammentarietà degli sguardi e la dispersione delle informazioni;  un luogo generativo: dove la condivisione di processi di analisi, progettazione e valutazione favorisce la costruzione di un linguaggio condiviso, […] e la corresponsabilità nell’agire dei servizi (Milani et al., 2015, sez. 2)7.

In questa accezione ampia e proattiva, anche la dimensione organizzativa dell’equipe ha una valenza educativa che imprime significato ai dettagli, mette a terra elementi metodologici e veicola principi. Nell’equipe “a geometria variabile”, la cui composizione prende forma in relazione alla complessità delle situazioni e alla multifattorialità del disagio8, è dunque indispensabile cercare di riconoscere il bisogno prevalente tra tutti quegli elementi di svantaggio cumulati tra loro. A fronte di questa esigenza “la dimensione gerarchica va dunque in secondo piano a favore di una dimensione di corresponsabilità reale, nella quale si integrano efficacemente gli apporti che ogni professionista e ogni non professionista, in quanto parte dell’equipe multidisciplinare, può garantire nel progetto9. Tutti gli operatori sono messi in discussione e, se necessario, sono chiamati a fare un passo di lato, tanto che anche chi ha segnalato la persona potrebbe non essere poi individuato come case manager del caso laddove non operi nel servizio competente in riferimento al bisogno prevalente emerso nell’analisi condotta collegialmente10. Lo sguardo multiprofessionale dovrà essere rivolto sia verso la prospettiva dei bisogni, dello svantaggio e delle potenzialità della persona, sia verso quella delle opportunità e degli strumenti a disposizione nello specifico contesto storico e territoriale.

Nessun professionista da solo può orientarsi nella complessità dello scenario attuale rappresentato da regole dei sistemi di ammissione e rendicontazione di progetti, particolarità delle risorse provenienti da molteplici fondi multilivello e caratteristiche specifiche di determinati target, garantendo la necessaria capacità di creare collegamenti, trovare sintesi operative e pensare gli interventi da attivare in maniera integrata e in sincronia temporale11. Questo genere di equipe valorizza tutti i suoi componenti e quanti altri possano apportare contributi costruttivi, connotandosi secondo uno stile di case management maturo, capace di approcciarsi alla valutazione e alla progettazione personalizzata in termini organizzativi e prospettici anche per elaborare un piano complessivo ed organico di servizi, attività, sostegni e prestazioni che, potremmo raggruppare nel termine Budget d’inclusione, mutuando e sviluppando quanto già normato per il Budget di salute e/o Budget di progetto che integrano risorse economiche, professionali e sociali12. Questo concetto rappresenta un ulteriore step nella costruzione di un sistema per l’inclusione sociale e lavorativa sempre più integrato, in cui tutti i soggetti dell’equipe multidisciplinare condividono contributi e risorse avendo a cuore che anche quanto messo a disposizione dagli altri funzioni bene, sviluppando quel senso di responsabilità reciproca anche nel buon utilizzo delle risorse, nel rispetto del principio di appropriatezza della spesa e della necessaria attenzione al cosiddetto doppio finanziamento. Si sviluppa così una potenzialità enorme in termini di capacità di programmazione e pianificazione, che porta a teorizzare, prendendo in prestito la famosa formula, che E=mc2, l’Equipe sprigiona la sua energia agendo secondo i principi del case management condiviso

  1. Assegno di Inclusione. Linee guida per la definizione dei Patti di Inclusione, maggio 2024, p. 36: “Giungere alla costituzione concreta dell’equipe multidisciplinare è, nondimeno, nella maggior parte dei territori, un’impresa di difficile realizzazione. Gli assetti organizzativi dei servizi sono, infatti, talvolta, impostati su un modello di lavoro a canne d’organo, dove le diverse professionalità afferenti al sociale raramente comunicano tra di loro e le diverse organizzazioni di servizi (sociale, sanitario, scolastico, della formazione, delle politiche abitative, del lavoro, della giustizia ecc.) sono rigidamente separate da recinti geografici, culturali, cognitivi, linguistici ecc. Il lavorare in equipe presuppone invece il superamento di queste logiche organizzative lineari e spesso gerarchiche, a favore di una logica ecologica imperniata sulla circolarità fra i saperi delle diverse professioni e delle organizzazioni, in modo da rendere possibile le collaborazioni interistituzionali e interdisciplinari”.
  2. Nella proposta di introduzione del REIS (2014) case manager 4 volte; nel SIA (2016) responsabile del caso 8 volte, responsabile del progetto 2 volte, responsabile operativo del programma 1 volta; nel REI (2018) responsabile delle attività previste dal patto di servizio personalizzato 4 volte, responsabile dell’analisi preliminare 1 volta; nelle Linee guida del Reddito di Cittadinanza (2019) case manager (o operatore responsabile della famiglia piuttosto che del caso) 7 volte quale figura di riferimento dell’equipe; nel Piano Nazionale degli Interventi e dei Servizi Sociali 2021-2023 (2021) case management 3 volte; nell’Atto di programmazione regionale per gli Interventi e Servizi di contrasto alla povertà Regione Toscana (2022) 4 volte assistente sociale case manager; nel DM 77 (2022) case manager 1 volta; nel Piano Attuativo Regionale GOL (2022) responsabile del caso 1 volta, responsabile della presa in carico 1 volta, responsabile dell’inserimento lavorativo 2 volte, responsabile dell’attività 1 volta, responsabile del Patto di servizio 1 volta. Più recentemente, nelle Linee guida per la definizione dei Patti di Inclusione dell’Assegno di Inclusione (2024) case manager (o operatore responsabile della famiglia piuttosto che del caso) 8 volte, responsabile famiglia 1 volta, responsabile del Patto 1 volta.
  3. La Comunità di Pratica sull’Inclusione Sociale in Regione Toscana è promossa da Regione Toscana, ANCI, Federsanità ANCI Toscana, Istituto degli Innocenti, Centro Regionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza e IRS – Istituto per la Ricerca Sociale di Milano; nel 2023 il tema è stato “Porta unitaria d’accesso e presa in carico integrata”, nel 2024 è “Percorsi d’inclusione e abitare”.
  4. Le Povertà e l’Inclusione Sociale in Toscana. Settimo Rapporto. 2023 Regione Toscana, Osservatorio Sociale Regionale, ANCI pp.113-114: “La contaminazione tra comunità professionali diventa fulcro strategico dei processi di attivazione sociale e lavorativa al punto da rappresentare una metodologia di lavoro ormai imprescindibile, tanto da resistere anche durante la recente pandemia, ma anzi facendo avvicinare professionisti che, un tempo facevano più fatica a lavorare insieme. Assistenti sociali, psicologi, educatori, orientatori e consulenti dei servizi per l’impiego ed altre figure professionali hanno sperimentato il valore, e il piacere, di lavorare in maniera coordinata, condividendo le funzioni di case management”.
  5. Le Povertà e l’Inclusione Sociale in Toscana. Settimo Rapporto. 2023 Regione Toscana, Osservatorio Sociale Regionale, ANCI p. 136: “L’équipe aiuta nel proprio lavoro, contribuisce a renderlo maggiormente efficace ed appropriato alle singole situazioni delle molte persone che vengono incontrate e a cui dare risposte, informazioni, opportunità, generando talvolta una pesantezza professionale che può essere contrastata, proprio grazie alla condivisione multiprofessionale”.
  6. Decreto Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 104 del 24 giugno 2024 che va ad aggiornare e sostituire il precedente DM 160 del 29 dicembre 2023.
  7. Assegno di Inclusione. Linee guida per la definizione dei Patti di Inclusione, maggio 2024, p. 36.
  8. Assegno di Inclusione. Linee guida per la definizione dei Patti di Inclusione, maggio 2024, p. 35: “Data la differenziazione delle forme organizzative presenti negli Ambiti territoriali sociali, è plausibile ipotizzare l’equipe multidisciplinare come un gruppo “a geometria variabile” composto da uno “zoccolo duro” di operatori e da una serie di professionisti e operatori che si possono aggregare di volta in volta e a seconda della situazione: operatori dei centri per l’impiego, insegnante, pediatra, mediatori culturali, ecc”.
  9. Assegno di Inclusione. Linee guida per la definizione dei Patti di Inclusione, maggio 2024, p. 34.
  10. DMLPS 93 del 11 giugno 2024 “Linee guida per la costruzione di Reti di servizi connessi all’attuazione dell’Assegno di Inclusione”, Allegato II, Art.7 Il Patto per l’inclusione Sociale: “Il patto per l’inclusione individua, sulla base della natura del bisogno prevalente emergente dalle necessità di sostegni definite nel percorso, una figura di riferimento che ne curi la realizzazione e il monitoraggio, attraverso il coordinamento e l’attività di impulso verso i vari soggetti responsabili della realizzazione dello stesso. […] Le equipe multidisciplinari identificano il case manager che avrà cura di attivare e monitorare gli interventi assegnati […] Questi è tenuto a coordinare l’attuazione degli interventi, svolge funzione di referente dell’equipe multidisciplinare nei confronti degli interlocutori esterni, cura la continuità degli interventi programmati, la rilevazione e verifica dei risultati ottenuti e, ove necessario, propone all’equipe multidisciplinari ed alla famiglia la ridefinizione del programma personalizzato”.
  11. F. Grassi, AdI, SFL, GOL e FSC: l’incontro tra opportunità, strumenti e risorse per cittadini e servizi, Welforum.
  12. A. Failli, Capiamo bene e facciamo i conti giusti: il budget di salute, Le Parole della salute. D.lgs. n. 62 del 3 maggio 2024 “Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato”.