ETS, amministrazione condivisa e riforma degli Ambiti Territoriali Sociali
Analisi di tre recenti leggi regionali del Piemonte e del Veneto
Alceste Santuari | 22 Aprile 2024
A seguito dell’approvazione della Riforma del Terzo settore, molte sono state le Regioni che hanno deciso di disciplinare ex novo, ovvero di rivedere, le discipline normative già in essere in materia di Enti del Terzo settore (si pensi alla Toscana, all’Emilia-Romagna, al Molise e all’Umbria). Si tratta di interventi che delineano la cornice di riferimento nell’ambito della quale gli enti di terzo settore, nello specifico, e non lucrativi, in generale, sono chiamati a svolgere le proprie funzioni e attività di interesse generale. In questa prospettiva, le discipline regionali sono intervenute anche a definire il quadro istituzionale e giuridico in cui collocare i rapporti di partenariato che, in conformità alle previsioni contenute nel Codice del Terzo settore, gli Enti del Terzo settore possono attivare con le pubbliche amministrazioni.
Nel contesto sopra delineato, la Regione Piemonte, con due leggi, distanziate di pochi giorni l’una dall’altra (l.r. 14 marzo 2024, n. 5, recante “Norme sull’amministrazione condivisa dei beni comuni per la promozione della sussidiarietà” e l.r. 25 marzo 2024, n. 7, recante “Norme di sostegno e promozione degli enti del terzo settore piemontese”), ha inteso definire la cornice normativa in cui collocare l’azione degli Enti del Terzo settore, in particolare nei loro rapporti giuridici con le pubbliche amministrazioni.
Non essendo questa la sede per una disamina puntuale delle singole disposizioni contenute nelle leggi in argomento, si ritiene tuttavia utile richiamare alcuni aspetti delle leggi regionali piemontesi, al fine, soprattutto, di individuarne le direttrici portanti e, quindi, comprenderne i possibili sviluppi futuri, anche alla luce degli interventi normativi previsti dal PNRR, quali le leggi in materia di politiche a favore delle persone anziane e di riforma della disciplina giuridica in materia di disabilità, per citarne soltanto alcuni.
In primo luogo, la legge piemontese n. 5 disegna la framework normativa entro la quale i cittadini, singoli e organizzati, in ossequio al principio di sussidiarietà, declinato negli strumenti dell’amministrazione condivisa, si assumono responsabilità pubbliche e di interesse generale ai sensi dell’art. 5 del Codice del Terzo settore. Risulta così valorizzato, potenziato, legittimato e promosso l’utilizzo di beni pubblici in funzione collettiva e comunitaria. I beni comuni, in questo senso, infatti, rappresentano l’apogeo della collaborazione paritaria tra istituzioni pubbliche territoriali e la cittadinanza attiva.1 In quest’ottica, l’art. 4 della legge in parola stabilisce che “l’amministrazione condivisa dei beni comuni, intesa quale strumento per il pieno sviluppo della persona, è aperta a chiunque, cittadino singolo o associato, senza necessità di ulteriore titolo di legittimazione”. È chiara la voluntas legis: l’organizzazione e la gestione dei beni comuni deve coinvolgere una platea estesa, e non ristretta, di soggetti interessati ad assumersi responsabilità comunitarie. Si tratta di responsabilità che la legge intende misurare e valutare sulla base di criteri predeterminati, “tenendo conto in particolare degli obiettivi perseguiti, dei risultati ottenuti, delle risorse disponibili e utilizzate, nonché del valore pubblico, sociale, culturale, ambientale, estetico ed economico prodotto” (art. 3, comma 2, l.r. n. 5/2024).
La l.r. Piemonte n. 7/2024, in ossequio alle prerogative regionali, è finalizzata a “sostenere e promuovere” gli enti del terzo settore regionale. Degno di nota, tra gli altri, è l’art. 4, che, da un lato, si “rivolge” agli ETS, in quanto iscritti al Runts e, dall’altro, agli enti non lucrativi non iscritti nel Runts, ma che svolgono attività di interesse generale “ai sensi dell’art. 118, quarto comma” della Costituzione. Il legislatore regionale, in questo senso, è consapevole che un numero affatto marginale di enti non lucrativi non è ancora iscritto al Runts, (e forse non intende iscriversi) e, pertanto, sarebbe rimasto escluso dalla possibilità di collaborare con le P.A. regionali nella realizzazione di attività, servizi, interventi e progetti di interesse generale. Al fine di sostenere e potenziare l’intero “universo” delle organizzazioni non lucrative impegnate in attività di pubblico interesse, il comma 4 del medesimo articolo prevede, nello specifico, il riconoscimento del ruolo e delle funzioni delle associazioni sportive dilettantistiche. Si tratta di un importante previsione, in specie nell’ottica della consapevolezza che gli enti sportivi dilettantistici, come peraltro previsto nell’art. 5 del Codice del Terzo settore, contribuiscono in modo significativo alla coesione e integrazione sociale, anche dei soggetti fragili.
La l.r. n. 7/2024 dedica poi l’intero Capo IV ai “Rapporti fra enti del terzo settore e pubblica amministrazione”, nei quali sono contemplati gli istituti giuridici collaborativi tra P.A. ed ETS, segnatamente, co-programmazione, co-progettazione, convenzionamento e utilizzo dei beni pubblici. Come altre leggi regionali (cfr. l.r. Emilia-Romagna n. 3/2023), il Capo IV è rivolto a tutti gli enti pubblici (regionali, comunali, aziende sanitarie locali), i quali possono coinvolgere gli ETS:
- Nei processi di co-programmazione, intesa quale attività “istruttoria”, attraverso cui acquisire gli interessi e i bisogni rappresentati dagli ETS e dalle altre amministrazioni (pubbliche) ed elaborare il quadro dei bisogni e dell’offerta sociale. Al termine del percorso di co-programmazione, l’art. 9, comma 3, stabilisce che gli enti pubblici “possono assumere eventuali determinazioni conseguenti nelle materie di propria competenza”. Si tratta di una previsione che ribadisce la piena responsabilità istituzionale degli enti pubblici nella formulazione delle proposte conseguenti e la loro libertà di scelta in ordine alle modalità attraverso cui implementare quanto emerso nel corso del confronto in sede di co-programmazione. In questa prospettiva, l’art. 10, comma 3 assegna alle pubbliche amministrazioni la facoltà di utilizzare le risultanze emerse nel corso della fase di co-programmazione per modificare ovvero integrare gli strumenti di pianificazione e gli atti di programmazione, previsti dalla disciplina di settore. La co-programmazione, quindi, intesa quale procedimento che può risultare utile e prodromico per intervenire sulle decisioni strategiche delle pubbliche amministrazioni coinvolte e che già sono state adottate ovvero che devono essere ancora adottate;
- Nei processi di co-progettazione, i cui avvisi devono, inter alia, indicare se “il soggetto o i soggetti sono chiamati anche alla gestione del servizio”. Questa specifica disposizione merita una particolare attenzione, atteso che si tratta della puntuale declinazione di quanto contenuto nell’art. 55, comma 3 del Codice del Terzo settore, laddove si legge che la co-progettazione “è finalizzata alla definizione ed eventualmente [corsivo dell’A.] alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti”. La fase di co-progettazione, pertanto, non deve necessariamente concludersi con l’“affidamento” della gestione dell’attività, servizio, intervento ovvero progetto condiviso tra P.A. e ETS partecipanti;
- Nelle convenzioni (e patti di accreditamento), da sottoscriversi esclusivamente, in conformità a quanto previsto nell’art. 56 del Codice del Terzo settore, con le organizzazioni di volontariato e con le associazioni di promozione sociale. L’art. 13, comma 3 della legge regionale in parola precisa che il maggior favore rispetto al mercato, previsto nell’art. 56 sopra richiamato, deve essere valutato “oltre che con riferimento alla convenienza economica, anche in relazione ai maggiori benefici conseguibili per la collettività in termini di maggior attitudine del sistema a realizzare i principi di sussidiarietà, universalità, solidarietà, accessibilità e adeguatezza”. Benché si tratti di una valutazione già contenuta nel d.m. 72/2021 e accolta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea per legittimare l’esclusione di simili accordi convenzionali dalle regole della concorrenza, appare condivisibile la scelta del legislatore piemontese di ribadire che il confronto comparativo tra il ricorso al mercato e quello allo strumento convenzionale non si basi unicamente su valutazioni di carattere economico, come, invece, talvolta, accade;
- Nella concessione di benefici e premialità: la previsione contenuta nell’art. 17 della l.r. n. 7/2024 costituisce una prospettiva innovativa nella valorizzazione del ruolo e delle funzioni svolte dagli ETS, in quanto essa prevede che la Regione, nella concessione di patrocini, finanziamenti, benefici e vantaggi economici, per le attività di interesse pubblico, oggetto di bando rivolto agli enti pubblici, “può assegnare premialità specifiche alle reti di partenariato che coinvolgono enti del terzo settore selezionati dagli enti pubblici in esito a un procedimento di co-progettazione o co-programmazione”:
Il ddl del Veneto2, recante “Assetto organizzativo e pianificatorio degli interventi e dei servizi sociali”, è attuata in conformità “a quanto previsto dalla legge 8 novembre 2000, n. 329[…]” (art. 1, comma 1 – Finalità e principi), è finalizzato a sostenere “la centralità, lo sviluppo, il benessere, l’empowerment della persona, della famiglia e della comunità”. I servizi sociali sono organizzati nel rispetto dei noti principi di universalità, equità, omogeneità, efficacia, efficienza, economicità, responsabilità, adeguatezza, trasparenza, cui si aggiungono i principi di generatività e innovazione. Chi scrive ritiene che questi due ultimi principi citati (art. 1, comma 4, lett. f) rappresentino le leve su cui costruire, in particolare, rapporti collaborativi con gli ETS e le altre organizzazioni socialmente responsabili, che operano nel comparto dei servizi sociali.
Allo scopo di rendere efficace, efficiente ed omogeneo il sistema degli interventi e dei servizi sociali regionali, la legge in considerazione stabilisce che la funzione socioassistenziale sia esercitata nelle forme disciplinate dal TUEL (Testo unico sugli enti locali) e, in particolare, attraverso l’azienda speciale consortile, ente strumentale degli enti locali con propria autonomia e forma giuridica disciplina dal diritto pubblico.
Dopo aver ribadito le funzioni della Regione, dei Comuni e delle aziende sanitarie locali, la legge regionale individua negli ETS, nelle formazioni sociali, nella comunità, nelle parti sociali, nelle società benefit e nelle imprese socialmente responsabili gli altri soggetti del sistema integrato dei servizi e degli interventi sociali, i quali sono chiamati e invitati, in particolare, a partecipare alla pianificazione degli interventi di welfare territoriale (art. 7, commi 1 e 2).
Il fil rouge dell’intero impianto normativo è infatti la gestione associata, integrata e coordinata degli interventi e dei servizi sociali, che è chiamata ad esprimersi, nello specifico, nel perimetro dei nuovi ATS attraverso il Piano di Zona. Nella costruzione di quest’ultimo, riconosciuto quale “strumento fondamentale” della programmazione territoriale, la legge assicura la partecipazione degli ETS, “anche attraverso i procedimenti di co-programmazione e co-progettazione” (art. 13, comma 4). Si tratta di una previsione che ha il merito di cristallizzare in norma regionale quanto già invalso in alcuni territori. Si tratta della possibilità per le pubbliche amministrazioni di avviare percorsi di co-programmazione su specifici temi, che poi possono essere ricondotti in unità e coerenza nell’ambito del Piano di Zona.
Nell’ottica di favorire, potenziare e promuovere azioni integrate e coordinate, la legge prevede l’istituzione della Rete regionale per la gestione associata e l’inclusione sociale, declinata a livello locale nella Rete territoriale per la gestione associata e l’inclusione sociale, alla quale, tra gli altri, partecipano anche gli organismi rappresentativi del Terzo settore. Lo scopo delle Reti in parola è quello di promuovere appunto la condivisione delle scelte programmatiche e di indirizzo nonché il monitoraggio e la valutazione a livello territoriale in materia di politiche sociali.
In questo modo, è possibile dare stabilità e continuità anche ai processi di co-programmazione a livello territoriale, che potranno essere dunque “alimentati” da confronti e valutazioni in itinere, che potranno contribuire a rendere anche i procedimenti di co-progettazione maggiormente aderenti ai fabbisogni e alle priorità individuate.
Qualche osservazione conclusiva in ordine ai provvedimenti normativi regionali esaminati.
Ancora una volta, emerge con chiarezza il ruolo “effettivo” degli ETS nei processi di pianificazione e realizzazione degli interventi e dei servizi sociali, unitamente ad un ridisegno istituzionale delle funzioni e competenze degli enti locali e delle aziende sanitarie, chiamati, congiuntamente, a favorire il coinvolgimento dei soggetti non lucrativi, ma anche degli altri soggetti giuridici vocati a realizzare attività e impatti sociali.
Al riguardo, la legge regionale del Piemonte n. 7/2024 descrive con puntualità e chiarezza i requisiti, i criteri e l’impostazione che le procedure che gli enti pubblici debbono seguire quando intendano coinvolgere attivamente gli enti del terzo settore. Si potrebbe, dunque, affermare che la legge regionale contribuisce in modo netto a identificare gli istituti giuridici cooperativi quali strumenti ordinari, non eccezionali e funzionali a realizzare interventi e servizi sociali.
Le Regioni, in questo senso, anche quelle a statuto ordinario, hanno un potenziale rilevante per guidare, sostenere, valorizzare i processi di collaborazione tra enti pubblici e soggetti privati, specie non lucrativi, ivi inclusi quelli non iscritti nel Runts.