Finalmente il disegno concreto per una nuova assistenza a domicilio


Sergio Pasquinelli | 12 Ottobre 2021

Il “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza” è un’ampia coalizione sociale nata al fine di valorizzare al meglio l’occasione storica offerta dalla riforma nazionale dell’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, prevista dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)1.

Il Patto ha iniziato a produrre un “Piano Nazionale di Domiciliarità Integrata per gli anziani non autosufficienti”. Si tratta di un documento che vuole essere proposta per la legge di Bilancio 2022. Il documento completo si trova qui2.

Il Piano inizia la costruzione dei servizi domiciliari di cui l’Italia ha bisogno, utilizzando i nuovi fondi già previsti e aggiungendo gli altri necessari. Le azioni da compiere consistono nel cambiare il modello d’intervento dell’Adi (Assistenza domiciliare integrata, delle Asl), nello stanziare maggiori risorse per il Sad (Servizio di assistenza domiciliare, dei Comuni) e nel realizzare risposte integrate. Il Patto ritiene necessario rafforzare l’intera filiera dei servizi: domiciliari, semi-residenziali e residenziali. Gli investimenti del PNRR e le recenti normative concentrano i nuovi stanziamenti per la non autosufficienza sugli interventi a domicilio: il loro utilizzo è in via di definizione. Adesso è, quindi, il momento di presentare una proposta per la domiciliarità.

Le direzioni sono quelle più volte sottolineate su Welforum in particolare negli ultimi due anni. Riprendiamo i passaggi più salienti del Piano, partendo dagli obiettivi della visione di medio-lungo periodo verso cui tendere:

  1. Una sola risposta integrata. Superare l’attuale separatezza tra il Sad e l’Adi, i due servizi domiciliari pubblici esistenti in Italia.
  2. La possibilità di ricevere il giusto mix di prestazioni che la non autosufficienza richiede. Sono: i) servizi medico-infermieristico-riabilitativi, ii) sostegno nelle attività fondamentali della vita quotidiana, iii) azioni di affiancamento e supporto a familiari e badanti. Attualmente la presenza di ii) e iii) è estremamente contenuta.
  3. La possibilità di ricevere assistenza per il tempo necessario. In genere la non autosufficienza si protrae a lungo e richiede interventi frequenti. L’intensità degli interventi (numero di visite per utente) e la durata del periodo di assistenza devono, dunque, essere adeguate. Oggi, in prevalenza, intensità e durata sono troppo limitate.

 

Il Piano Domiciliarità comincia il percorso nella direzione di tali obiettivi, ampiamente condivisi a livello internazionale e assegnati dal PNRR alla riforma del settore. Per affrontare le normali difficoltà attuative di ogni processo di cambiamento ambizioso, come questo, è essenziale un approccio graduale: il Piano Domiciliarità prevede un primo pacchetto di azioni nel 2022 e il loro progressivo ampliamento nel tempo. Occorre, parimenti, avere una visione chiara della direzione di medio-lungo periodo: è quella indicata sopra, che accomuna il Piano Domiciliarità e la successiva riforma. Dopo averla varata, dunque, il Piano vi confluirà.

Il Piano intende connettere le attività degli attori responsabili della domiciliarità, a livello locale (Comuni e Asl) così come nazionale (i Ministeri competenti per la non autosufficienza, Welfare e Salute). Solo agendo su entrambi i livelli è possibile costruire risposte integrate.

 

Si prevede che i Ministeri del Welfare e della Salute costituiscano una Cabina di Regia nazionale unitaria, responsabile delle leve cruciali di governo del Piano: (i) i fondi (programmazione congiunta dell’impiego dei nuovi finanziamenti a disposizione dei due Ministeri); (ii) il loro utilizzo (definizione delle indicazioni per l’uso congiunto, da parte di Comuni e Asl, del complessivo pacchetto di risorse addizionali); (iii) la relativa verifica (responsabilità del sistema di monitoraggio dedicato).

Nei territori, il Piano Domiciliarità stabilisce che – nel 2022 – tutti gli Ambiti sociali (Comuni) e i Distretti sanitari (Asl) stipulino un accordo per realizzare insieme i requisiti organizzativi di base per un approccio integrato: (i) l’unità di valutazione multidimensionale, dove esaminare le condizioni dell’anziano e individuare gli interventi più adeguati, (ii) il progetto personalizzato integrato, che comprenda il complesso delle prestazioni pubbliche fruite e le raccordi con l’attività dei familiari e delle badanti, (iii) il responsabile del caso, punto di riferimento nel tempo per ogni soggetto coinvolto. Gli ulteriori passi necessari per costruire risposte integrate – ad esempio lo sviluppo dei punti unici di accesso – seguiranno negli anni successivi, in coerenza con l’approccio graduale del Piano.

Tali indicazioni per i territori sono già contenute in numerosi atti, ma risultano inapplicate in molte parti del Paese. È nell’attuazione, infatti, che si giocano i percorsi di cambiamento. Pertanto, il Piano Domiciliarità dedica uno sforzo particolare a costruire le condizioni per l’effettiva traduzione in pratica, a livello locale, di queste e delle altre azioni previste.

 

Occorre cambiare il modello d’intervento dell’Adi. L’Adi è il servizio domiciliare più diffuso. Lo ricevono il 6,2% degli anziani e la spesa annuale è di 1,3 miliardi. Nei prossimi anni, i fondi cresceranno notevolmente (+ 578 milioni nel 2022 a salire sino a + 1,6 miliardi nel 2026). Per utilizzarli al meglio, però, bisogna cambiare l’Adi.

Infatti, in Italia prevale un modello di Adi prestazionale: l’erogazione di singole prestazioni di natura medico-infermieristico-riabilitativa per far fronte a specifiche – e circoscritte – esigenze sanitarie, in assenza di una risposta che prenda in considerazione le molteplici dimensioni della 5 vita legate alla non autosufficienza e la loro complessità. Tale modello si riflette in livelli d’intensità e durata molto bassi. Il valore medio di ore erogate annualmente per utente è pari a 18 e il periodo della presa in carico, perlopiù, non supera i 2-3 mesi (ad es. quelli successivi ad una dimissione ospedaliera). La realtà degli anziani però, richiede interventi più ampi e articolati, e quindi, un sostegno più frequente assicurato per periodi ben più lunghi. Non a caso, la definizione di assistenza agli anziani non autosufficienti della Commissione Europea esclude l’Adi prestazionale da questo settore del welfare.

Si deve evitare di utilizzare le nuove risorse per riprodurre – su scala maggiore – le criticità attuali. Il Piano Domiciliarità, dunque, prevede nel 2022 un atto nazionale che: (i) ri-disegni l’Adi a partire dalle effettive condizioni degli anziani e, dunque, puntando agli obiettivi strategici illustrati all’inizio, e – di conseguenza – (ii) incrementi l’intensità degli interventi, cioè il numero di visite domiciliari per utente e la loro durata nel tempo (differenziandole in base alle specifiche situazioni).

 

Inoltre, vanno incrementati i fondi per il Sad. Il Sad copre solo l’1,3% degli anziani, la spesa annuale ammonta a 347 milioni e non è previsto alcun incremento significativo di risorse. Il servizio pare così destinato a rimanere residuale e l’auspicato sviluppo di risposte integrate a diventare irrealistico, a causa dell’ampliamento del divario quantitativo con l’Adi (nel 2026, ogni 100 Euro per l’Adi se ne spenderanno 12 per il Sad).

Si prevede che gli utenti crescano progressivamente: 2,6% degli anziani nel 2022, 2,9% nel 2023 e 3,3% nel 2024. A tale scopo il Piano prevede, nella Legge di Bilancio 2022, un nuovo finanziamento dedicato al Sad: +302 milioni di Euro nel 2022, +373 nel 2023 e +468 nel 2024. L’utenza, il prossimo anno, raddoppierebbe rispetto a oggi, per poi continuare a crescere progressivamente: 2,6% degli anziani nel 2022, 2,9% nel 2023 e 3,3% nel 2024. Il finanziamento sarebbe legato al riconoscimento del Sad come livello essenziale delle prestazioni, in modo da strutturarne la presenza nei territori in modo stabile. Si assicurerebbe così uno standard percentuale minimo di anziani raggiunti in tutto il Paese e si garantirebbero alle Regioni che già lo rispettano risorse per incrementare ulteriormente l’offerta.

 

Il Piano prevede anche di ripensare il modello d’intervento. Oggi prevale quello per anziani disagiati: la sola non autosufficienza generalmente non basta per poter ricevere questo servizio, utilizzato per rispondere a situazioni la cui complessità dipende anche da reti familiari particolarmente carenti e/o da ridotte disponibilità economiche dell’anziano. La prospettiva, invece, è di aprire progressivamente il Sad agli anziani non autosufficienti in quanto tali e alle loro esigenze.

Sia nel Sad che nell’Adi, dunque, si intende compiere un’operazione simile: avviare un processo di superamento del modello d’intervento oggi prevalente (rispettivamente del disagio e prestazionale) per meglio focalizzare i servizi sulla reale situazione di anziani e famiglie, nella direzione degli obiettivi presentati all’inizio. Tale percorso convergente crea le condizioni per realizzare risposte integrate.

  1. Il Patto è stato costituito dalle realtà sociali che hanno proposto l’introduzione della riforma nel PNRR e che si sono intensamente battute per il raggiungimento di questo obiettivo, trovando ascolto da parte delle Istituzioni. Lo compongono attualmente 43 organizzazioni, che rappresentano gli anziani non autosufficienti, i loro familiari, i pensionati, gli operatori del welfare e i gestori dei servizi, affiancate dal Network Non Autosufficienza per il coordinamento scientifico. Il Patto è nato il 20 luglio 2021 e si scioglierà al momento dell’approvazione della riforma.
  2. La proposta con i vari allegati si trova qui.