Il nostro welfare sociale e sociosanitario è finanziato da un mix di fonti (fondi sociali e sanitari) e il budget a disposizione dei vari territori è il risultato delle scelte allocative di vari livelli di governo. Un settore da sempre connotato dall’assenza di politiche di medio-periodo e con un destino lasciato alle scelte contingenti delle singole manovre annuali. Di solito, dopo la manovra finanziaria di ogni anno, erano chiare almeno le sorti per l’anno successivo; quest’anno la situazione è ancora più incerta e quanto mai complessa.
Le prospettive dopo la legge di bilancio
Le risorse per l’assistenza sociosanitaria
Con la legge di bilancio (L. 232/2016) il finanziamento per la sanità 2017 si è assestato sui livelli annunciati nel corso del 2016 (i famosi 113 milioni, due in più rispetto all’anno precedente). Queste risorse aggiuntive sono finalizzate a scopi specifici quali il rinnovo dei contratti del personale, i piani vaccini e i farmaci innovativi.
Vale la pena ricordare che nel 2017 sono entrati in vigore nuovi Lea (DPCM 12/01/2017): a questo scopo sono stati destinati, già dal 2016, 800 milioni in più di Fondo Sanitario Nazionale (FSN). Nell’adeguare l’elenco delle prestazioni garantite dal SSN ai nuovi bisogni emergenti e alle nuove priorità sociali e sociosanitarie, non è stato riconosciuto alcun fabbisogno aggiuntivo per i servizi di assistenza sociosanitaria, negando quindi le necessità delle regioni di rafforzare servizi come quelli per la LTC o quelli per i disturbi dell’età evolutiva1 (eloquente a questo riguardo la relazione tecnica ministeriale di accompagnamento dei nuovi LEA con fabbisogno pari a zero per il Capo IV). Ci si aspetta invece, con l’entrata in vigore del DPCM 12/01/2017, il potenziamento in altre aree quali i nuovi vaccini, i nuovi dispositivi protesici e tecnologici per i disabili, gli screening neonatali e la PMA.
Alcune regioni in passato nell’allocare le risorse aggiuntive hanno riconosciuto una priorità per i servizi sociosanitari, ma con questa serie di fattori esogeni che indirizzano le nuove risorse su altri interventi, è difficile aspettarsi nuovi investimenti in questo comparto.
I fondi per le politiche sociali
La manovra per il 2017 ha di fatto riconfermato l’andamento del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (FNPS), introducendo invece qualche novità in materia di Fondo Nazionale Non Autosufficienza (FNNA), in primis un leggero incremento dello stanziamento (da 400 a 450 milioni). Nella stessa legge di bilancio c’è anche un’apertura verso la possibilità di considerare l’alzheimer tra le gravissime disabilità (si prevede di realizzare un’apposita ricognizione numerica tra le regioni, anche al fine di adeguare i criteri di riparto). Ci si domanda se un’integrazione così limitata possa essere sufficiente a coprire le dimensioni della questione alzheimer e, in ogni caso, a poter sostenere il percorso di introduzione dei livelli essenziali per la non autosufficienza di cui si era tornati a parlare negli ultimi mesi nell’ambito del FNNA. A fine 2016, in occasione del “Decreto Sud”, un emendamento ha rafforzato, solo per il 2017, il FNNA, portandolo a 500 milioni.
Per quanto riguarda invece gli altri finanziamenti settoriali che avevano fatto la propria comparsa nel 2016:
- il fondo per il c.d. “Dopo di noi” (legge 112/2016) è stato solo parzialmente rifinanziato (90 milioni nel 2016, 38 milioni per il 2017, con un recupero a 56 nel 2018-2019);
- è proseguito il sostegno statale alle spese relative all’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con disabilità fisiche o sensoriali (70 milioni), trasformandosi però da fondo sociale a fondo per l’istruzione.
La manovra di fine anno ha sostanzialmente riconfermato il quadro dei fondi sociali 2016, senza particolari incentivi allo sviluppo dell’offerta di servizi di welfare locale. Piuttosto, si è preferito intervenire sul sostegno della domanda/contributi monetari, attraverso i “premi alla nascita” (art. 1 c. 353 L. 232/2016) in sostituzione del fondo per le politiche per la famiglia e i voucher nidi gestiti dall’Inps.
Malgrado non sia stata data continuità al sostegno dei servizi socioeducativi per la prima infanzia nell’ambito dei fondi sociali, un aiuto dovrebbe comunque arrivare dal fronte istruzione. Con l’avvento de “la buona scuola” si è tornati a parlare di “diritti all’educazione nella fascia 0-6 anni”, facendo deviare la questione nidi dai confini delle politiche sociali a quelli dell’istruzione. A tale scopo è in corso di istituzione, presso il Ministero dell’Istruzione/università/ricerca, un fondo da ripartire tra le regioni, che contribuirà anche alle spese di gestione dei servizi educativi per l’infanzia2 (oltre che alle spese per l’infanzia) per milioni 209 nel 2017, 224 nel 2018 e 239 milioni nel 20193. Accederanno al fondo prioritariamente i comuni con offerta carente, secondo i criteri stabiliti con un accordo da definire con le regioni. Come dire che lo Stato darà un sostegno per compensare le situazioni con offerta più arretrata, ma il servizio nidi continuerà ad essere finanziato da un mix di fonti (risorse comunali, fondi regionali, compartecipazioni degli utenti a cui le risorse statali daranno un contributo marginale4). Un quadro sempre più articolato, se si aggiungono i contributi alle famiglie delle regioni, quelli dell’Inps e i benefici fiscali.
Per completare la panoramica delle novità in materia di fondi per il welfare , merita un approfondimento la questione della lotta alla povertà, per la quale la legge di bilancio ha stanziato complessivamente 1,7 miliardi per il 2017. Le risorse aggiuntive rispetto al 2016 sono state modeste (150 milioni), comunque si è compiuto uno sforzo di ricomposizione di vari canali che in precedenza avevano finanziato programmi settoriali (social card, ASDI, risorse 2016) per confluire in un programma unitario (il Rei)5. Sebbene ancora lontano da coprire il fabbisogno per intervenire sulla povertà assoluta e per garantire il pieno universalismo, si tratta di un importante progresso per il nostro sistema di welfare, anche rispetto alle modalità operative. Consisterà principalmente di un beneficio monetario per le famiglie (presumibilmente erogato dall’Inps secondo criteri d’accesso definiti a livello nazionale), ma la L. 33/2017 prevede anche una quota da destinare ai territori per rafforzare la rete dei servizi locali per il contrasto alla povertà e l’inclusione: stando al Memorandum recentemente diffuso, il Governo si è impegnato a garantire che perlomeno il 15% del Fondo strutturale sia vincolato ai servizi locali per l’inclusione.
Le novità in itinere
Su questo quadro già di per se’ instabile è arrivato il terremoto delle vicende di febbraio. Va premesso che nell’ottica di assicurare gli equilibri di finanza pubblica, le ultime manovre nazionali avevano addossato un fardello decisamente rilevante alle regioni, con l’assunto che ci fossero margini di comprimibilità nella loro spesa: definito l’obiettivo di risparmio per questo comparto, è stata lasciata alle regioni la scelta dei canali su cui operare i tagli, incluso il FSN.
Questo processo ha comportato, per il 2017, innanzi tutto una rideterminazione al ribasso del FSN rispetto al livello definito con la legge di bilancio per 422 milioni. Si tratta del concorso al risanamento teoricamente dovuto dalle regioni a statuto speciale che, dopo un lungo braccio di ferro istituzionale tra le autonomie speciali e le regioni ordinarie, è stato trasformato in una limatura al FSN. La sanità dovrà raggiungere gli ambizioni obiettivi 2017 con risorse ridotte e le già compromesse possibilità di sviluppo dei servizi sociosanitari non possono che essere ulteriormente contenute.
Ma lo scossone più forte ha interessato i fondi per le politiche sociali; con un “fuori sacco” nella conferenza Stato Regioni del 23 febbraio, il sacrificio richiesto alle regioni per assicurare gli equilibri di finanza pubblica è stato tradotto, con l’accordo di queste ultime, in una riduzione di una serie di trasferimenti statali per 485,2 milioni complessivi. A farne le spese soprattutto i fondi sociali, con il FNNA che torna a 450 milioni, perdendo il recupero di fine anno, e il FNPS che scende a 99,7 milioni (non lontano da quello degli anni bui 2011-2012, quando era stato quasi azzerato).
Tante le perplessità su questa scelta, sia nei metodi, sia nei contenuti:
- Come è possibile che le regioni abbiano scelto di concentrare i sacrifici, invece che nella gestione delle proprie risorse autonome, sul budget di altri soggetti (gli ambiti, principali destinatari dei fondi)?
- perché il fondo più colpito è il FNPS (si ricorda che con la L. 328 è nato proprio per garantire l’unità delle politiche rispetto alla frammentarietà dei fondi settoriali preesistenti)? Finanzia forse interventi di serie B (si pensi ad esempio al SAD, alle spese per i minori allontanati ecc), ad esempio rispetto agli assegni di cura per le gravissime disabilità del FNNA sui quali c’è più attenzione mediatica?
- Si è forse pensato che i nuovi investimenti per povertà, servizi educativi fossero sostitutivi di quelli per le politiche sociali?
Uno sguardo d’insieme
Nell’ultimo anno si è tornati a parlare della necessità di istituire su vari fronti i livelli essenziali (per i servizi socioeducativi, per i non autosufficienti, per la povertà) e della necessità che finanziamenti per il sociale diventassero strutturali. Rispetto a questi obiettivi i fondi sociali tradizionali avrebbero dovuto rappresentare un’infrastruttura per garantire l’unitarietà e l’intersettorialità dei vari interventi, in un sistema connotato da frammentarietà e disomogeneità territoriale. Le recenti vicende hanno evidenziato invece la fragilità e la vulnerabilità del sistema di finanziamento ed i limiti in termini di capacità di cooperazione interistituzionale nel massimizzare gli sforzi dei vari livelli di governo in questo settore.
Anche il settore sociosanitario è esposto a una seppure relativamente ridotta instabilità e sconterà la mancanza di investimenti sufficienti a tenere il passo con l’evoluzione dei bisogni.
Gli sviluppi più recenti
A fine marzo, Governo e regioni hanno annunciato la volontà di non procedere al taglio dei fondi sociali concordati il 23 febbraio (per approfondimenti vedi notizie qui e qui). Nello specifico, sembrerebbe che i 50 milioni del FNNA saranno reintegrati con uno sforzo delle regioni nell’ambito delle proprie risorse autonome, mentre il Governo recupererà risorse per il fondo per le politiche sociali. Il fatto che tutte le regioni saranno contemporaneamente impegnate a contribuire ad un unico programma nazionale per la non autosufficienza (per i 50 milioni), rappresenterà una novità nella storia del welfare territoriale; sinora il livello di sostegno socioassistenziale per anziani e disabili delle singole regioni era rimesso alla discrezionalità locale (i vari dei processi di riforma del finanziamento dei sistemi decentrati , ad esempio la L. 42/2009, non hanno precisato quale sia la responsabilità finanziaria delle regioni in ambito socio-assistenziale). Tuttavia, l’avvento di questa scelta in corso d’anno, presupponendo modifiche ai bilanci regionali già approvati, con rinvio alle successive sessioni di bilancio, non potrà che causare incertezze e ritardi all’erogazione degli interventi del 2017 e alla costruzione di politiche di medio termine. Insomma, l’annunciato ripristino sarebbe stato un rimedio al pasticcio contingente, piuttosto che uno strumento per dare al finanziamento delle politiche sociali quella strutturalità e organicità tra i vari livelli di governo di cui si avrebbe tanto bisogno. Di certo, non è stata considerata una questione urgente, come dimostra il mancato inserimento del ripristino dei fondi sociali nella cosiddetta “manovrina” appena approvata (DL 24/4/2017 n. 50): una storia dal finale ancora aperto?
- L’unico bisogno che ha ricevuto una qualche attenzione è l’autismo, con un apposito fondo da 5 milioni finanziato per il 2016 e di fatto non erogato. Nel 2017 lo stanziamento è riconfermato e si prevede la possibilità di utilizzare i residui 2016
- Oltre che a interventi di investimento nel patrimonio immobiliare scolastico e a spese per la formazione del personale
- il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 7/4/2016 ha approvato i decreti attuativi della L. 107/2015.
- La spesa complessiva a livello nazionale del 2013 si aggirava sui 1,2 miliardi.
- Questo obiettivo sembrerebbe tuttavia parzialmente disatteso dal decreto in via di emanazione sul SIA (che modifica la scala di valutazione dei richiedenti) che finalizza alla prosecuzione dell’ASDI una parte delle risorse teoricamente da destinare al REI.