Il sociale nel Pnrr: tre cose da cambiare


Sergio Pasquinelli | 13 Dicembre 2022

Si parla di modificare, correggere, adeguare il Pnrr alle mutate condizioni economiche e sociali del Paese. L’oggetto e l’entità di queste modifiche sono ad oggi ancora molto incerti, ma non sembrano intaccare le parti del Piano che riguardano il welfare sociale e la sanità. E invece anche su questi terreni vale la pena fare una riflessione seria, perché ne va dell’utilità di risorse ingenti, della loro efficacia reale. Almeno tre, tra le diverse possibili, sono le modifiche da mettere in cantiere, e anche con una certa urgenza. 

Primo. Guardiamo ai bambini, la fascia 0-6 anni (Missione 4). Il Piano Nazionale investe su questa età 3,7 miliardi di euro, una cifra ingente. Nel caso delle scuole dell’infanzia, fascia 3-6 anni, se tutto andrà come previsto da quanto programmato e dalle risorse stanziate, avremo fra quattro anni un totale di 1 milione 422mila posti disponibili, con una popolazione prevista inferiore a 1,3 milioni di bambini. Insomma avremo più posti a disposizione che potenziali fruitori: un paradosso prodotto anche dalla denatalità, che richiede evidentemente una robusta correzione. L’idea può essere quella di riorientare un determinato ammontare di risorse verso le spese di gestione corrente dei servizi (anziché in conto capitale) nella fascia 0-6 anni, un punto di indubbia sofferenza. Passare da una spesa in conto capitale in una spesa corrente non è sempre possibile, ma è un passaggio che va tentato. 

Secondo. Nel caso degli anziani (Missione 6), il PNRR investe 4 miliardi a favore dei servizi domiciliari, di cui 2,72 miliardi per il loro potenziamento, 0,28 miliardi per l’istituzione delle Centrali operative territoriali (Cot) e 1 miliardo per la telemedicina. Per quanto riguarda i servizi domiciliari, si punta al potenziamento dell’ADI delle Asl, con l’obiettivo di raggiungere il 10% della popolazione anziana. Una cifra decisa a tavolino, giustificata come soglia “che ci avvicina all’Europa” ma avulsa da qualsiasi lettura del bisogno (italiano), e oggetto in questo momento, nelle Regioni, di conteggi surreali su cosa significhi “raggiungere” questa popolazione: se basta, per esempio, un solo prelievo o una sola medicazione a domicilio per arrivare a questa percentuale. I servizi domiciliari oggi hanno un problema di qualità prima che di quantità, soffrendo di gravi limiti di estensione, intensità, durata, e con un carattere fortemente prestazionale. Peraltro, l’obiettivo di superare questi limiti è già presente nello schema di Legge Delega sulla non autosufficienza (ora in attesa di essere approvato dal Parlamento), attraverso servizi orientati a integrare sociale e sanità. 

Terzo. Il governo top-down del cambiamento, che il PNRR impone, rischia di produrre sprechi, al meglio, o danni, al peggio, come dimostrano i punti sopra riportati. Va intrapresa una nuova governance dei progetti: mi riferisco soprattutto a quelli del “sociale” della Missione 5, che contiene diverse linee di lavoro, piuttosto frammentate tra loro: si va da interventi a sostegno della povertà ad azioni a favore delle capacità genitoriali, da misure a favore dei minori vulnerabili alle politiche per le pari opportunità, al sostegno all’accesso e al mantenimento dell’abitazione. 

I progetti finanziati si trovano così soli nell’interagire con soggetti statali percepiti come lontani. Come affermano Cristiano Gori e Valentina Ghetti “oggi i territori sentono l’esigenza di una maggiore e più continuativa interlocuzione con il livello centrale, ad esempio potendo contare su riferimenti e interlocuzioni dirette, non mediate dalla piattaforma, in caso di chiarimenti o di analisi di necessità specifiche, e su una maggiore attenzione a garantire il continuo aggiornamento delle Faq e la diffusione delle comunicazioni a tutti gli Ambiti coinvolti. Attenzioni comunicative necessarie, che se non adeguatamente presidiate rischiano di minare l’efficacia del processo1”. In questo senso, anche un maggiore ingaggio dei corpi intermedi, Regioni, Enti locali, Distretti, in termini chiari e con ruoli definiti, evitando sovrapposizioni e interferenze, aiuterebbe ad accompagnare i progetti territoriali, a renderli più incisivi sulle problematiche che affrontano, a valutarne le ricadute, anche attraverso occasioni di comunicazione e confronto oggi più che mai necessarie.

  1. Valentina Ghetti, Cristiano Gori, “Quel che manca per fare del PNRR davvero un’opportunità”, LombardiaSociale, 7 novembre 2022.