Non autosufficienza: una riforma (ancora) da costruire


La Redazione di Welforum.it | 2 Febbraio 2024

I decreti dovevano attuare la legge delega approvata lo scorso anno (l. 33/2023). In realtà, il decreto varato dal Consiglio dei ministri il 25 gennaio (uno solo, suddiviso in 41 articoli) lo fa solo in parte. Pur presentando contenuti importanti, omette alcuni passaggi, ne cambia altri. Si è parlato di riforma dell’assistenza agli anziani, ma ciò che cambia è parziale e frequentemente rinviato: sono 13 i decreti e 4 le linee guida che dovranno essere emanati successivamente. Diversi passaggi sono animati da uno sforzo definitorio, a tratti pletorico, in cui si sancisce l’esistente, come nel caso dei PAI – Progetti di assistenza individuale, strumenti già in uso da anni in tanti territori, o come nel caso dei caregiver familiari, su cui peraltro è attivo un tavolo interministeriale per un nuovo disegno di legge.

Molti sono i temi trattati. Ci concentriamo su tre di essi, su cui l’attesa di cambiamento era particolarmente alta: la valutazione multidimensionale e l’accesso ai servizi, i servizi domiciliari, l’indennità di accompagnamento.

Primo, la valutazione multidimensionale. Qui il decreto risulta coerente con la legge delega nello sforzo di semplificare i percorsi di analisi del fabbisogno di assistenza e di presa in carico dell’anziano da parte della rete dei servizi. È prevista una valutazione multidimensionale nuova, unificata e omogenea incardinata nei Punti unici di accesso (PUA), che diventeranno la porta unitaria non solo di accesso ma anche di informazione e orientamento per le persone. Un punto unificato per l’insieme ampio di prestazioni per il cittadino, che non dovrà più fare il “giro delle sette chiese” ma potrà trovare tutte le risposte che cerca in un unico luogo.

Rimane il fatto che i PUA vengono idealmente collocati all’interno delle Case della Comunità, inizialmente previste in 1.350 sul territorio nazionale, poi ridotte a 936 per motivi legati ai costi, sottostimati. Purtroppo molte nuove Case della Comunità vanno configurandosi come dei poliambulatori a scartamento ridotto, in cronica sofferenza per il deficit di personale che affligge il Servizio sanitario nazionale, gli infermieri in primis. L’organigramma previsto dal DM 77/2022 per queste strutture, ambiziosissimo, è inoltre quasi tutto sanitario: l’integrazione con i servizi sociali è un tema lasciato ai margini, alla discrezionalità delle singole Regioni.

Secondo, i servizi domiciliari. Nel passaggio dalla legge delega al decreto attuativo scompare la prevista introduzione di un modello di assistenza domiciliare specifico per la condizione di non autosufficienza dell’anziano, oggi assente nel nostro Paese. Servizi, come noto, che risultano oggi totalmente inadeguati rispetto alla domanda di assistenza, per copertura (molto ristretta), limiti delle prestazioni fornite e caratteristiche di ciò che viene offerto.

Si prevede solo un generico coordinamento tra interventi sociali e sanitari degli attuali servizi domiciliari mentre sono assenti temi decisivi quali la durata della presa in carico, la sua intensità e il coinvolgimento di molteplici professioni. A mancare è, soprattutto, il necessario progetto d’insieme sulla domiciliarità del futuro.

Terzo, l’indennità di accompagnamento maggiorata. L’indennità di accompagnamento non viene riformata, ma viene maggiorata di una cifra fissa, 850 euro al mese vincolati all’uso di servizi domiciliari, per un periodo sperimentale di due anni, il 2025 e 2026, e per una platea molto ristretta: ultraottantenni poveri, in condizioni di salute “gravissime”, nonché residenti al proprio domicilio (si esclude l’uso della maggiorazione per pagare i costi di ricovero in struttura). Dati questi requisiti non è chiaro quanto la misura sia cumulabile con l’assegno di inclusione, che peraltro ha maglie più larghe (Isee di 9mila euro e 60 anni di età).

Con le risorse allocate, 250 milioni per ciascun anno di sperimentazione, la misura interesserà meno di 25.000 anziani. Una sperimentazione che andrebbe attentamente monitorata e valutata, ma di questo il decreto non parla. Per il 98% dei beneficiari anziani dell’indennità di accompagnamento non cambierà nulla fino al 2027, quando la sperimentazione sarà terminata e chissà quale sbocco troverà.

Il dispositivo si pone dentro l’antica tradizione italiana di non riformare ma di aggiungere qualcosa all’esistente, lasciandolo così com’è, intatto, stratificando il nuovo sopra il vecchio. Disattende sia la possibilità per il cittadino di scegliere tra opzioni diverse (tra cash e care) sia la graduazione del sostegno in base al fabbisogno di assistenza. Due pilastri che reggevano la proposta di Prestazione universale, che vengono così trascurati. Lo stesso carattere “universale” si perde a causa delle molte restrizioni alla sperimentazione, in particolare un Isee inferiore a 6.000 euro.1

Il decreto promuove sì l’uso dei servizi, ma solo attraverso la maggiorazione di 850 euro, mentre la “base” costituita dall’indennità di accompagnamento (531 euro mensili) rimane intatta, incondizionata. Da questo punto di vista anche la spinta all’emersione del lavoro privato di cura (badanti) dal mercato irregolare esce indebolita, perché solo una parte della prestazione è destinata ad assumere una badante in regola. Un doppio binario che faciliterà il cosiddetto “grigio”: lavoratrici pagate in parte in regola, in parte no.

La buona notizia è che c’è tempo fino ai primi di marzo per raccogliere il parere consultivo delle commissioni parlamentari competenti e della Conferenza unificata. E, ci si augura, dei molti soggetti della società civile impegnati a vario titolo nei processi di invecchiamento e nelle fragilità della non autosufficienza. Un mese per aiutare a migliorare il progetto di riforma.

  1. Ulteriori osservazioni si trovano nell’articolo di Costanzo Ranci pubblicato su Lavoce.info